La Falce del Tempo

[Nevio del Drago]

Immaginate un tavolo in legno di quercia, sulla cui superficie
sia stata creata da mano di esperti falegnami una scacchiera
costituita da marmo bianco e onice... sorretto da un unico
piede costituito da una clessidra d'ametista, su cui è inciso
il destino di tutto il creato, al cui interno scorre una
finissima sabbia che da quando tutto ebbe inizio segna lo
scorrere del tempo.
Quel tavolo sta in una stanza da cui a volte passano le anime
prima di raggiungere la loro destinazione e a volte, le anime
ritornano dal luogo da cui sono venute, se riescono a vincere
la partita a scacchi.
In quella stanza dove il tempo non esiste, circondato dal nulla,
Ichlim stava giocando la sua ultima partita contro la Morte.

...

Un freddo vento spazzava il campo mentre i saltimbanchi si
affrettavano a montare le tende per passare la notte. Mentre il
sole scompariva all'orizzonte, una donna cercava d'accendere un
falò al centro dell'accampamento... periodicamente qualcuno
degli uomini scaricava nelle immediate vicinanze la legna secca
che era riuscito a raccogliere al limitare del bosco lì
appresso.
Un elfo accoccolato sulla cima di un masso di circa tre metri
d'altezza si proteggeva dal freddo usando il suo pesante
mantello verde... si era arrampicato sulla roccia di modo che
nessun visitatore, gradito o sgradito che fosse, potesse
avvicinarsi all'accampamento senza essere individuato in
precedenza. Mentre montava la guardia, acompagnava con una
piccola arpa le parole di una filastrocca che aveva sentito
cantare dal padre quando era ancora un fanciullo.

Il primo viandante sa camminare,
Il secondo viandante sa cantare,
Il terzo viandante sa sperare,
Il quarto viandante sa imparare,
Il quinto viandante sa studiare,
Il sesto viandante sa capire,
Il settimo viandante sa morire.

In quel momento si fermò per aiutare un'umana del campo
a sederglisi di fianco... era riuscita ad arrampicarsi fin
lassù, ma non riusciva a trarsi in cima al masso.
Era una ragazza di 26 anni circa, dalla carnagione
chiarissima e dai capelli corvini tagliati a caschetto.
Principale motivo d'afflizione del padre per via dei suoi
modi decisamente troppo poco femminili ed eccessivamente
schietti, era scappata dal monastero in cui era stata
chiusa per unirsi alla compagnia di saltimbanchi.
Il suo nome era Iriaria, ed era felice di poter indossare
brache di tela marroncina senza che nessuno le rammentasse
che era disdicevole per una donna mostrare le proprie forme
pubblicamente.
L'elfo, che era di più ampie vedute circa i rapporti
sociali col sesso opposto, incurante delle forme di Iriaria
(nulla che non si fosse mai visto prima) proseguì la
filastrocca.

L'ottavo viandante sa rinascere,
Il nono viandante sa crescere,
Il decimo viandante sa insegnare,
L'undicesimo viandante sa volare.
Il dodicesimo viandante sa vedere,
Il tredicesimo viandante sa creare.

"Piuttosto monotona come filastrocca, non trovi?"
"Beh, mio padre me la cantava per farmi addormentare..."
Ridendo la ragazza rispose all'elfo:
"Vuoi forse farci addormentare tutti?"
riendo a sua volta l'elfo rispose:
"No, no! -poi fattosi serio disse- in effetti la ripeto
spesso nella mente... cercando di capirne il significato."
"Ah sì? E perchè mai vorresti capire il significato di
una filastrocca per bambini?"
"Perchè nasconde la chiave per accedere ai tredici mondi."

...

Qualche centinaio di chilometri più in là un mago di corte
si lambiccava la mente nell'arduo tentativo di capire chi
fosse il personaggio di cui le rune divinatorie annunciavano
il ritorno... nel frattempo un vagito squarciava il silenzio
di un'alta torre e un sovrano sollevava il primogenito
sopravvissuto alla morte materna, battezzandolo col nome di
Ichlim. Un nero gatto persiano rispondente al nome di
Grinosto che fino a pochi istanti prima sonnecchiava sornione
su di una poltrona, spalancò un occhio per fissare il rumoroso
nascituro... un occhio arancione, una finestra spalancata
sull'Inferno.


[ " The Darkness is My Light " by L' Oscuro Signore ]

Il sole era ormai calato, solo le cime dei monti erano illuminate
dalla sua rossatra luce che le faceva apparire sanguinolente.
Ai margini occidentali della foresta, un sottile strato di nebbia si levava
di poco dal suolo celandolo alla vista ed attenuando i rumori, forse a causa
di ciò, la figura che uscì dal recinto di alberi era silenziiosa come la
morte, e parimenti sinistra.
Nero era il destriero, e di nero il suo cavaliere era impaludato da un lungo mantello.
Lo stallone si fermò, mentre colui che portava, stava osservando il
paesaggio che li circondava; i capelli gli scendevano fino alle spalle come
una folta e scura criniera, ed un gelido vento gliela scompigliava.
Dopo alcuni istanti la lugubre figura riprese il suo viaggio.

...

Terminato il suo turno di guardia, Shalantasa, il bardo elfico, si diresse
alla sua tenda.
Attraversando l'accampamento, si fermò accanto al fuoco tendendovi le mani
infreddolite, e notò Zarco che stava fissando le fiamme, che guizzavano
caoticamente e sprigionavano scintille.
"Scorgi forse il futuro in quella danza di luce che distrugge la materia,
Zarco?"
"Forse Sha' " gli rispose Zarco, continuando a contemplare le lingue di
fuoco, poi distolse lo sguardo puntando il suo unico occhio verso Shalantasa
"Vorrensti forse conoscerlo? " gli chiese con un sogghigno, accarezzandosi
la barba.
"E sostituire la sorpresa dell'imprevisto con l'ineluttabilità del Fato?
No, grazie" rispose sorridendo e raggiunse la sua tenda.

...

Shalantasa si aggrappò ad uno spuntone di roccia, la scalata era
massacrante, mancava poco alla cima, ma lui era già stremato. Guardò in
basso, Iriaria non sembrava in condizioni migliori, no, non era stata una
saggia idea portarsela appresso.
Tornò a rivolgere gli occhi verso la cima, doveva raggiungerla, doveva
recuperare la Lacrima ghiacciata, un antico gioiello per loro vitale, non
ricordava bene il perchè, ma era necessario che lo trovasse.
Non si sarebbe arreso, anche se ogni muscolo del suo corpo gli consigliava
di lasciarsi andare.
Infine, la sua mano toccò la cima di quel ripido ed impervio monte, si
issò sulla vetta e tirando la corda che lo univa ad Iriaria, la aiutò a
raggiungerlo.

Si ritrovarono su un'ampia zona rocciosa, che formava un cerchio al cui
centro si ergeva un edificio di marmo bianco e di nero basalto.
Anche se il bianco e il nero sembravano alternarsi equamente tra le colonne
ed i muri della costruzione, ed il pavimento assomigliasse ad una
scacchiera, l'elfo aveva l'irrazionale sensazione che il colore scuro in
qualche modo prevalesse.
Dopo qualche istante di esitazione i due si risolsero a varcare la soglia.
Si ritrovarono in una sala che pareva occupasse tutta la costruzione; essa
conteneva solo un altare, al centro, ed un trono, anch'esso di basalto,
verso il fondo.
Shalantasa ed Iriaria si avvicinarono all'altare, che rifletteva con un
bagliore azzurrino la luce che riceveva dall'alto. Erano ormai a pochi passi
dalla fonte di quel bagliore,
"Chi siete e che volete?" tuonò una voce.
Proveniva dal trono, e l'elfo notò solo in quel momento che qualcuno l'occupava.
Poiché l'essere era abbigliato di nero, i loro occhi non l'avevano distinto dal seggio.
"Cerchiamo la Lacrima ghiacciata, Sire" rispose Iriaria prima che Shalantasa
potesse proferir parola.
"E' davanti a voi" l'elfo avanzò ancora e vide il gioiello: la fonte della
luce azzurrina era una gemma grossa come il suo pugno.
Si chinò a raccoglierla, uno scatto, un sibilo, un urlo.
Shalantasa si volse verso la sua compagna, distesa a terra, gemente, un
dardo era conficcato nella spalla, a poca distanza dal cuore.
"Dannato bastardo" gridò l'elfo girandosi a fronteggiare il nemico: la sua
mano reggeva ancora la balestra.
"calmati elfo, come avrai già visto, il colpo non è stato mortale, ma il
dardo e' avvelenato."
"Maledetto" sibilò furiosamente Shalantasa.
"Ah ma la puoi ancora salvare" continuò con tono beffardo la scura figura
"Vi sono due nicchie, una alla tua destra, l'altra nella parete opposta. Una
contiene l'antitodo, l'altra un libro che rivela il segreto per accedere ai
tredici mondi.
La scelta di uno ti precluderà l'altro, ed hai pochissimo tempo per
decidere, poichè fra poco la tua amica morirà."
Shalantasa guardò le due nicchie, che si erano magicamente illuminate, come
gli era stato detto, una ospitava un libro, l'altra un'ampolla contenente un
liquido rosso ambrato, la conoscenza a cui da tanto tempo anelava, la vita
di Iriaria.
Corse verso la rientranza del muro e ne prese il contenuto, guardò verso
l'altra nicchia, non conteneva più nulla.
Sospirando, ritornò velocemente dalla donna e le sollevò la testa con un
braccio, mentre con l'altro stringeva a sé il libro.
"Mi dispiace" le sussurrò al'orecchio, lei lo fissò, poi chiuse gli occhi
spirando.
Non era stato uno sguardo colma d'odio, ma di tristezza.
Shalantasa voleva piangere, ma non ci riuscì, ancora una volta gli sembrò
che l'oscurità prevalesse nell'edificio. Questa volta sapeva di esserne la
causa.

...

Aprì gli occhi e si alzò velocemente, si appoggiò sulle spalle il
mantello verde ed uscì dalla tenda. Il sole non era sorto da molto,
nell'accampamento qualcuno era già sveglio, era stato solo un sogno. Ma
perchè aveva agito a quel modo.
Zarco stava provando il suo numero, dalle sue mani apparivano, svanivano e
danzavano monete e palline.
Si era unito a loro pochi mesi prima, Shalantasa non sapeva molto di lui, ma
tra gli artisti di strada era consuetudine non porre domande, ognuno era
libero di raccontare della sua vita ciò che voleva, non era il passato di
chi si voleva unire a loro ad essere importante, bensì il suo talento.
Iriaria stava assistendo allo spettacolo a bocca aperta e con lo sguardo
sognante. Zarco era molto abile ad ammaliare il suo pubblico.
In quel momento indossava il suo abito di scena: la tunica ed il mantello
blu ed una benda colorata, che nascondeva la cicatrice che lo aveva reso
orbo dall'occhio destro.
Si avvicinò a loro mentre Zarco terminava la sua prova, Iriaria battè le
mani felice e l'artista fece un'inchino verso di lei, poi si accorse di
Shalantasa.
"Salve maestro musico. Ma che ti è accaduto? Hai una faccia così scura."
"Ho solo avuto un incubo" rispose, guardando in direzione della ragazza, per
un attimo gli sembrò che Iriaria lo stesse fissando con la stessa tristezza
negli occhi, che aveva avuto nel suo sogno; inghiottì la saliva e sbattè
le palpebre, no si era sbagliato, lei stava sorridendo e nel suo sguardo era
presente la consueta gioia.
"Perche' non ci narri una storia?" Chiese Iriaria.
"Avete qualche richiesta in particolare?"
"Ne conosci una sulla caduta di Gorania?" domandò a voce bassa Zarco.
"Non ho molte conoscenze su quella tragedia, non abbastanza per comporci un
lamento. So solo che dopo qualche mese che era sotto assedio, all'improvviso
venne espugnata, misteriosamente, e che nessun abitante si salvò." Iriaria
rabbrividì a sentire quelle parole.
"Peccato, mi sarebbe piaciuto scoprire se la storia fosse falsa o meno" disse lentamente Zarco,
e accorgendosi dell'attenzione che gli prestava il bardo aggiunse "Quel tipo
era mezzo ubriaco, diceva di far parte dell'esercito assediante e, anche se
mi sembrava abbastanza sincero, potrebbe avermi detto solo menzogne."
"Su racconta quello che ti ha detto, per noi bardi queste informazioni sono
preziose come l'oro"
"Va bene. Allora, l'evento accadde piuù di una ventina di anni fa, quando
ero ancora un ragazzo. Secondo una leggenda Gorania era inespugnabile, né
le armi né magia potevano scalfirne o varcarne le mura, il male non poteva
entrare. Nella città regnava l'amore, l'armonia e la sicurezza, e finché i
suoi abitanti avrebbero vissuto in pace, non rispondendo agli attacchi dei
loro nemici, la città li avrebbe protetti.
Quell'uomo mi assicurò che la leggenda corrispondeva a verità: nei cinque mesi che
avevano assediato quelle mura tutti gli attacchi erano falliti, senza che gli abitanti
facessero alcunché per difendersi.
Alcuni cittadini si limitavano a salire sugli spalti sorridendo loro con ingenuità ed
invitantoli ad abbandonare il loro intento ed a mutare vita.
Il capo degli assedianti era ormai convinto a rinunciare, quando si unirono
all'esercito uno stregone ed il suo apprendista.
Due giorni dopo il loro arrivo, qualche ora dopo l'alba, un soldato portò
un bambino vicino alle mura e gli avvicinò la spada alla gola. Con qualche
incanto lo stregone aveva fatto sì che l'immagine dei due fosse come
riflessa nel cielo, di modo che chiunque all'interno della città potesse
vedere la scena.
Dopo qualche minuto, varie persone salirono sugli spalti, tra cui una donna
disperata, sicuramente la madre del bambino.
Ad un cenno del mago, il soldato sgozzò il bambino.
Un grido straziante venne dalle mura.
Poi la madre, sconvolta dal dolore, lanciò una pietra che aveva trovato sui
merli degli spalti.
La pietra durante il volo acquistò velocità, anziché perderne, e colpì
mortalmente il soldato.
A quel punto fu dato l'ordine di riprendere gli attacchi. Non era come nei
mesi precedenti, le mura venivano scalfite, le persone sugli spalti si accasciavano,
colpite dalle frecce.
Sguarnita e senza difesa gorania capitolò.

Dopo che Zarco ebbe concluso, un greve silenzio cadde per qualche istante su
di loro.
"Grazie Zarco, dal tuo racconto trarrò fuori un canto struggente.
Se l'avrò finito stasera lo eseguirò per voi.
"L'amore come arma usata dal male per sconfiggere il bene." Disse Shalantasa,
senza accorgersi che Iriaria aveva assunto un'aria cupa e sconfortata.

1