Silkar Tale
La viva luce dell’alba si rifletteva sulle lucide pietre, profondamente intagliate, della Fortezza del Mana mettendo in rilievo le rune dal significato sconosciuto. Il cielo completamente privo di nubi e l’afa insistente erano chiaro segno dell’avvento dell’estate, stagione in cui le pianure allagate in primavera dalla salata acqua del mare divenivano paludi morte ed inospitali. In cima ai possenti bastioni decine di guardie armate di archi scrutavano in ogni direzione, mentre all’interno del perimetro le truppe erano impegnate nell’armarsi, nel montare pesanti catapulte, nel farsi benedire dai chierici in abiti azzurri o semplicemente nel fare congetture sul proprio destino. Ogni uomo sapeva che l’imminente battaglia era la più impegnativa che il re Ruel Praidàrt avesse dovuto affrontare, ogni uomo sapeva che la maggior parte dell’esercito, inviata ad intercettare il nemico nelle pianure saline, era stata distrutta e che le perdite tra le legioni di Viridomaro, il barbaro conquistatore che in due anni, dal nulla, era diventato padrone di mezza Valtessa, erano state minime. Ora quegli uomini giacevano tra le basse acque stagnanti attendendo che le armature spezzate si arrugginissero e che l’abbassarsi delle acque permettesse finalmente alle bestie di cibarsi dei loro corpi. L’unica speranza alla quale si aggrappavano i pochi rimasti alla Fortezza era la forte magia lanciata secoli addietro sulle sue mura dal buon Yaregon, magia che, secondo la leggenda, rendeva i bastioni inespugnabili. In realtà non erano in molti a crederci, ma , si sa, in situazioni estreme la fede riaffiora e, perfino i più scettici, ora si sottoponevano al tocco dei chierici con umiltà e sussurravano le poche preghiere che gli erano state insegnate da bambini, quando la valle era un paradiso in pace con tutte le razze. Molti si lasciarono trascinare dai ricordi della loro fanciullezza felice, sotto il comando di un re giusto quale era Ruel Praidàrt. I fieri soldati e cavalieri dell’esercito reale nelle loro scintillanti armature ornate dell’effigie d’argento della casata Praidàrt, la stella a quattro punte, formavano un buffo quadro così mischiati con nani scontrosi che trascinavano le loro barbe lunghe fino a terra e contadini, coraggiosi, ma inesperti nell’uso delle armi, che tentavano di impratichirsi maneggiando con difficoltà qualche spada corta, mentre un fabbro umano litigava con uno gnomo rosso, una delle stirpi più ammirate per la loro ingegnosità, convinto di saper montare meglio dell’uomo le catapulte. Alcuni ufficiali ordinavano di distribuire barili d’acqua lungo le mura in modo da ridurre i danni di un eventuale attacco con dardi incendiari e disponevano barricate interne al perimetro, come ultima, disperata difesa.
In una stanza all’interno del castello un uomo alto e corpulento, ma ormai vecchio, osservava una cartina ed ascoltava i discorsi di due militari con le insegne da generale.
"Se mi lasciasse un centinaio di uomini potrei tagliare le linee di rifornimento dell’esercito di Viridomaro e costringerlo a ripiegare..."
"Sei molto coraggioso, Vuultor, ma la cosa non funzionerebbe. Cinquemila uomini sono morti nella battaglia delle pianure saline. Sono morti in un solo pomeriggio di guerra ed hanno appena scalfito le legioni nemiche. Il messaggero ha parlato chiaro. I barbari hanno armature di una resistenza inaudita mentre le nostre si tagliano come burro al tocco delle loro armi. Questo significa che è implicata la magia e solo queste mura possono proteggerci."
Il volto del generale Vuultor Damonitus si fece grave di preoccupazione, facendo intendere il suo scetticismo riguardo alla vecchia leggenda.
"Non per molto, sire. Se non ci uccideranno con l’acciaio lo faranno con la fame e non credo che qualcuno dei nostri alleati abbia intenzione di attaccare un nemico così prodigioso."
"Hai ragione... Ascolta, Vult, so che quanto sto per dirti ti sconvolgerà, ma ti prego, fa esattamente come ti dico e non discutere... Questa notte mi sono sottoposto all’Ultimo Oracolo e.."
"COSA? Ma, mio Signore... chi si sottopone a quella stregoneria non sopravvive una stagione, è la regola ... sapere, ma poi morire...voi non dovevate..."
"Lo so, ma io dovevo sapere... e poi, con quello che ho visto, ti assicuro che per me non è cambiato nulla. Io morirò nella battaglia, tutti quanto moriranno. La magia lanciata sulle mura non è una leggenda, ma... insomma, saprai in futuro come andranno le cose e racconterai a mio figlio che suo padre è morto con onore"
"Se io devo morire avrò ben poco tempo per raccontare qualcosa al principe. Nemmeno lui ne avrà per ascoltarmi a meno che qualcuno non lo porti via e..."
Gli sguardi dei due uomini si fecero intensi e l’espressione del militare mutò da incomprensione a disappunto quando capì. Si voltò un attimo verso il suo compagno e comprese che l’amico doveva già sapere tutto.
"Mio Signore, io non posso abbandonare la Fortezza! I miei uomini si aspettano di essere guidati da me e.."
"Vult! Io sono il tuo Re e tu farai come ti dico! Prenderai con te mio figlio e lo proteggerai mentre lasci la Fortezza attraverso il nido..."
Attraverso il nido! Certo è l’unico modo per evitare l’esercito di Viridomaro e le paludi, l’unico modo è... passando sotto l’esercito nemico!
"Ora capisco... capisco perché devo farlo io... non so se usciremo vivi dal nido, mio Sire ..."
"Verranno con te Fassit e mia nipote Lara. Se mia moglie fosse ancora viva..."
"Mio Signore, so che voi avete già espresso un giudizio sulla questione, ma... se la Signorina Lara non fosse vostra nipote? Voglio dire che finora abbiamo ignorato le dicerie della vecchia Viviana, ma in situazioni come questa ... se quella donna non fosse la figlia di vostro fratello, ma ..."
"Lei è mia nipote! Viviana sì è inventata tutta quella storia della ninfa, dello scambio, della neonata mezzaumana e tutto il resto! A causa di queste stupide dicerie mia nipote non ha mai avuto uno spasimante, mai un amico vero, mai fiducia da nessuno che conoscesse Viviana o le sue ...profezie. Avrei dovuto uccidere quella strega quando la incontrai, trent’anni fa..."
"Farò come mi ordini, mio Re."
Era raro che Vuultor desse del ‘tu’ al sovrano, capitava solo quando il generale doveva eseguire ordini che, proprio, non gli andavano a genio e questo era un comando al quale avrebbe volentieri disobbedito. Il re conosceva il suo braccio destro abbastanza da immaginare il suo stato d’animo, ma sapeva anche che, una volta accettata la situazione Vult avrebbe eseguito l’ordine con la solita efficienza, avrebbe rischiato la vita e l’anima pur di portare a compimento la sua missione, era un vero, autentico, raro cavaliere.
Al calare delle tenebre, mentre pochi soldati riuscivano ad abbandonarsi al loro ultimo sonno ristoratore, mentre l’immobilità dell’aria faceva credere che perfino il vento fosse fuggito da quei luoghi condannati alla distruzione, mentre qualcuno con l’udito fine si concentrava per capire se il suono lontano che sentiva giungere da ovest era veramente, come appariva, un canto levato da migliaia di voci sicure della vittoria, all’interno dell’edificio reale Vuultor Damonitus si preparava ad affrontare quello che lui considerava un disonore imperdonabile. Scaricatosi degli imbardamenti e delle insegne da generale indossò un’armatura più umile, ma più efficace per combattere nel sottosuolo. Il lungo mantello in dotazione all’esercito reale di Valtessa, che lo avrebbe sicuramente impacciato, aveva lasciato posto ad un semplice mantello corto di colore azzurro, i raffinati gambali di cuoio ornati d’argento erano stati sostituiti con pezzi di metallo pesanti ed efficaci, sebbene meno appariscenti. Vuultor Damonitus stava per rinfoderare la sua vecchia spada quando una mano bloccò i suoi movimenti.
"Vult, vecchio mio, so di averti costretto ad accettare un disonore, ma tu sei l’unico di cui mi fidi, l’unico al quale consegnerei mio figlio per il resto della sua vita."
Il vecchio re, sceso nei sotterranei per poter parlare con più libertà, fissava il suo braccio destro negli occhi rivelando un rapporto di stima ed amicizia che avrebbe reso orgoglioso qualsiasi altro, ma non Vuultor Damonitus. Lui aveva davanti agli occhi l’immagine di un falò attorno al quale sei dei suoi valorosi uomini, sei soldati che avrebbero sacrificato sé stessi senza esitazione ad un suo gesto, aspettavano che la loro carne fosse abbastanza cotta per consumarla in un ultimo pasto. Inizialmente gli uomini erano in silenzio, poi una voce tagliente chiedeva agli altri : "Hei, voi avete visto il generale ultimamente? Al raduno serale non c’era ed io ho visto il suo attendente girare da solo per tutto il pomeriggio... non è mai successo..."
"Beh, veramente una volta è successo..." Parlava il più anziano del gruppo "non al generale, ma, tanti anni fa, capitò che, prima di una battaglia scomparisse un comandante degli arcieri... si era preso paura ed era scappato..."
Scappato ... scappato ... scappato ...
Improvvisamente Vult veniva riportato alla realtà da un nuovo, delicato tocco dell’anziana mano e, nonostante cercasse di assumere un’aria di approvazione il sovrano aveva capito quale fosse lo stato d’animo del veterano. Aveva inoltre capito che quel pensiero non era destinato ad abbandonare la mente del militare fedele e nemmeno l’autorità di un re poteva rimediare a simili problemi.
"Ti ricordi delle campagne di Nardos , Vult ?"
"Come dimenticare, mio Sire... erano giorni meravigliosi. Forse l’unico periodo di pace che ho avuto dal giorno della mia nascita. Ricordo le meravigliose feste che quella gente aveva organizzato per voi, ricordo i banchetti, i giochi, ma, soprattutto ricordo la cordialità di quel popolo..."
"E ricordi..."
"Si, Signore, ricordo anche lei, ma preferirei di no!"
"Non voglio chiederti perché non sei tornato là, né perché non ci sei rimasto allora, ma ti chiedo di portare mio figlio a Nardos. E’ lontano abbastanza, è un posto accogliente e, cosa più importante, laggiù nessuno conosce mio figlio. Lo so, ci sono tanti altri posti, ma quello è l’unico che è rimasto in pace per millenni, che non ha eserciti perché non ne ha bisogno, e poi laggiù vive una persona di cui ci possiamo entrambi fidare..."
"Nonostante la cosa non mi garbi riconosco che si tratta della scelta migliore per il giovane principe. Quei contadini hanno scelto bene il luogo del loro esilio, l’altopiano di Nardos è inespugnabile e spazioso"
"Andrai là con il mio medaglione e farai in modo che Fassit cresca secondo i più alti ideali cavallereschi..."
Come posso insegnargli gli ideali cavallereschi, proprio io che abbandono le mie truppe...
"Desidero che tu prenda la mia spada e la mia armatura"
"Ma Signore!"
"Tanto non ci entrerei più! Dovrebbe invece essere perfetta sul tuo corpo forte ed alto com’ero io qualche anno fa... qualche ... decina di anni fa in verità. Inoltre il metallo di cui sono fatte, l’adamantio verde, è il più resistente che si conosca. Capisci dunque che si tratta di un ... diciamo investimento sulla vita di mio figlio... quell’eterno materiale servirà bene sia te che mio figlio, quando sarà cresciuto. Aspettami qui..."
L’uomo risalì la ripida scala a chiocciola con fatica e zoppicando leggermente, rivelando appieno la sua età. Vuultor Damonitus iniziò a spogliarsi, gettò a terra la massa di metallo lucido che andò a ricoprire quella precedentemente formata dalla divisa abituale del guerriero emettendo una serie di rumori acuti e tintinnanti che echeggiarono tra le vecchie e basse mura. Indossare l’armatura del re era una cosa che lo riempiva di eccitazione. Erano trascorsi alcuni minuti ed il suo corpo cominciava a sentire l’umidità caratteristica delle stanze costruite così in profondità nel suolo, le due fiaccole ardevano vivacemente, ma non servivano a riscaldare l’ambiente così l’omone iniziò a battere i piedi, poi a camminare su e giù, poi a saltellare, poi...
Una risatina acuta ruppe la solitudine del soldato che si voltò di scatto vedendo, seduta su uno scalino, una meravigliosa giovane donna che lo osservava divertita. Il militare si rese conto di quando dovesse essere ridicolo, in quella calzamaglia nera, mentre saltellava come un bambino.
"Oh, mio dio! Il generale Vuultor si sta esibendo in una parata! Che fierezza, che portamento! Ah, ah, ah"
Vedendo che la ragazza non accennava a smettere Vuultor cercò di rivolgerle uno sguardo feroce , uno di quegli sguardi che raggelava il sangue ad un troll, si sforzò, ma comprese che era impossibile assumere un aspetto falsamente cattivo guardando un viso così dolce, così perfetto, così ... inumanamente raffinato. Questa era la teoria di Vult e, osservando nuovamente Lara in tutta la sua perfezione non restò affascinato come accadrebbe a qualsiasi uomo se ella fosse stata una qualsiasi donna. Ripensò alle dicerie al suo riguardo, a Viviana che diceva, con la sua voce rauca e catarrosa :"E’ una ninfa, mio Re, non è tua nipote. Sua madre si innamorò di un uomo che, insensatamente, concepì un figlio con lei e, di conseguenza, morì subito dopo. La maledizione del grande dio Zarox non era stata sufficiente a dividere i due, ma poi la ninfa non seppe dove mettere la neonata che non sarebbe stata accettata nel suo gruppo. La maledetta aveva partorito da appena due giorni e, udendo che nelle vicinanze transitava la carovana di vostro fratello con la moglie in cinta, attese la notte, somministrò alla sventurata donna una diabolica pozione che provocò il parto prematuro e la morte della mai abbastanza compianta sposa. Vostro fratello ricorda che la pargoletta gli venne portata non dalla levatrice bensì da una sua sostituta, una donna bellissima a sentire lui, anche se molto sporca e mal vestita. Ricorda inoltre che la bimba era forte e pesante, una neonata così a sette mesi chissà cosa sarebbe divenuta a nove..."
"Viviana, mia nipote è nata prematura proprio perché già formata e la morte della madre è stata solo un incidente, tu...mi hai già sottoposto la tua idea al riguardo ed io ti ho già ricordato che Lara ha gli occhi dello stesso, particolarissimo colore verde intenso di suo padre, mentre le ninfe hanno tutte gli occhi grigi. Ne abbiamo parlato a lungo, non voglio più tornare sul discorso!"
Dei passi echeggiarono lungo le scale e Lara si infilò con la sua solita agilità e grazia, per nulla sminuita dai pesanti pantaloni maschili e dalla camicia da boscaiolo che le piaceva indossare, nell’angolo più buio della stanza diventando invisibile all’occhio distratto. Un contadino dal corpo massiccio entrò nella stanza e depositò il grosso fardello che portava sul pavimento. Rialzandosi rivolse al generale un’occhiata colma di disprezzo, poi tornò da dove era venuto. Vuultor Damonitus abbassò lo sguardo immaginando ciò che l’umile uomo aveva pensato vedendolo in preparativi per una sicura fuga. Il grosso zaino che Vult aveva preparato, infatti non lasciava dubbi. Inoltre quella stanza aveva un accesso diretto al nido, il labirinto sotterraneo che in quel momento rappresentava l’unico modo di evitare le truppe nemiche e le paludi ad est nello stesso tempo. Lara uscì dall’oscurità e, lentamente, si avvicinò al soldato che tratteneva a stento un singhiozzo. Lei immaginava che quella situazione fosse terribile per un individuo votato all’onore in battaglia, al coraggio, al sacrificio. Il generale Vuultor Damonitus era, infatti, un cavaliere discendente da una famiglia di cavalieri e, nonostante comprendesse l’importanza della sua nuova missione era ferito nel profondo da quella fuga.
"Generale, io ... non volevo ridere così... cioè ... non siete ridicolo con quella calzama... beh, forse un po’ , ma..."
L’uomo ignorò completamente le parole della ragazza e si chinò ad aprire il sacchetto di pelle estraendo poi i pezzi della stupenda armatura. Lei decise di lasciarlo fare senza più fiatare. Constatata la dimensione generosa dei vari componenti Vuultor Damonitus valutò di poter indossare la sua attrezzatura usuale: un paio di pantaloni pesanti, una maglia di lana, un sottile corpetto di cuoio morbido e le fasce di maglia metallica in corrispondenza degli snodi dell’armatura che indossò per ultima. Con l’elmo in una mano e la pesante spada nell’altra costituiva uno spettacolo ben diverso da prima! Si caricò in spalla lo zaino e comprese quale enorme vantaggio avesse l’adamantio oltre alla robustezza. Il peso dell’intero equipaggiamento, infatti, era pari al solo corpetto dell’armatura in ferro che aveva provato poco prima. Si ritrovò agile e meglio protetto ed apprezzò la maneggevolezza dello spadone.
"Molto meglio, ora"
"Signorina Lara, non sarebbe il caso che lei si preparasse?"
"Ho la mia balestra e la faretra. Sono vestita pesante e nello zainetto custodisco razioni che mi sfameranno per qualche giorno. Io non ho bisogno di armature, mi impacciano..."
"Come volete, ma sappiate che il nido non è un bel posto e..."
Altri passi, questa volta numerosi preannunciarono il re con il figlio in braccio e tre guardie che presero posto ad un argano nascosto nella stessa zona buia che Lara aveva usato per scomparire. Cigolando una porta di pietra sottile si mosse rivelando un corridoio illuminato da fiaccole.
"Ho mandato alcuni uomini a liberarvi la strada ed accendere le fiaccole. Ora il transito dovrebbe essere più sicuro, ma sappi che quel labirinto nasconde pericoli sempre nuovi, soprattutto se ci si perde. Quattro dei soldati che ho mandato là dentro non sono più tornati..."
Così dicendo il sovrano baciò il figlio di sei anni e lasciò che questi prendesse la mano di Lara. Un ultimo sguardo tra il vecchio e Vuultor Damonitus, poi i tre penetrarono nel labirinto allontanandosi da quel luogo condannato e da quelle persone che non avrebbero mai più rivisto.
La fuga era iniziata.
Cap 1 : Destino segnato
Finalmente sono andati! L’Ultimo Oracolo mi ha permesso di sapere che per qualche ora ancora saranno al sicuro, li ho visti al sicuro fino ... alla mia fine...
La stregoneria chiamata Ultimo Oracolo era una delle meno utilizzate di tutte e, forse una delle più antiche. Chi si sottoponeva al rito vedeva nel futuro, un anno nel futuro a meno che l’individuo non morisse prima di quel tempo. Se egli non doveva morire di morte naturale, dopo un anno esatto dal rito si ammalava e, in pochi giorni moriva. Il vecchio re, però, aveva visto la sua morte imminente ed allora la magia si era arrestata. Aveva visto il destino suo e del suo popolo, quello dell’esercito nemico, quello di Viridomaro che avrebbe trovato la morte come ogni altro, senza possibilità di scampo. Il re aveva visto la sua decisione di far allontanare il figlio, prima di prenderla, aveva visto che la sua armatura sarebbe stata indossata da un altro uomo, aveva visto tutto ed ora non poteva far altro che seguire il sentiero tracciato dal destino. Già si immaginava quanto sarebbe divenuto affollato il Flegetonte, il fiume dell’inferno che trasportava i morti alle loro pene. Seduto sul trono, ritrovandosi nella stanza completamente solo, si ritrovò a pensare ai propri peccati, un po’ di avarizia, un po’ di menzogne, talvolta l’eccessiva violenza nei confronti degli avversari catturati, tutte cose importanti, ma irrisorie se paragonate a quella che lui considerava la sua colpa più grande, il suo più grande errore... l’aver cacciato Lucilla, sua moglie solo perché l’opinione pubblica la considerava una strega... Lui era attaccato al potere, al trono e non voleva che il popolo fosse contro di lui... ricordava di aver più volte negato che sua moglie si dilettasse di magia, di aver chiesto con sicurezza "Cara , dimmelo che non è vero ... io già lo so, ne sono certo, ma voglio sentirtelo dire..." e lei, piangendo "Vedi ... quando tu sei fuori io ... vado in biblioteca e leggo i libri di Yaregon, quelli sulla stregoneria e ... " Quello che capitò dopo era impresso nella mente del vecchio uomo, sempre presente nei suoi incubi con l’immagine della sua mano che colpiva il viso della donna, che la cacciava con cattiveria... per una stupida credenza popolare. Gli uomini potevano dedicarsi alla magia ed essere venerati da tutti, le donne invece no! Questo era stato insegnato dai chierici di Zarox, il dio creatore del bene e del male, il dio creatore e padre degli altri dei che non poteva essere mai contraddetto... nonostante tutto quello che aveva fatto di male...
Proprio Zarox aveva creato le ninfe, così belle ed indifese... un gruppo di briganti ne trovò due in una locanda, le poverette si erano perdute seguendo la loro incorreggibile curiosità e voglia di esplorazione... chiesero aiuto agli uomini che, commettendo peccato mortale, non resistettero alla loro bellezza, approfittarono di loro e poi le uccisero entrambe... Zarox decise che, da quel giorno, solo un immenso amore avrebbe spinto un uomo verso una ninfa perché, dopo un eventuale notte di passione l’uomo sarebbe inevitabilmente morto.
Il re era convinto che la causa delle disgrazie di sua nipote, più che le dicerie della vecchia Viviana, fosse proprio la maledizione del dio che aveva bollato per sempre le ninfe come creature pericolose, da evitare, cosicché anche solo il dubbio era un repellente formidabile. In assenza di una tale maledizione sua nipote avrebbe avuto una vita normale, perfino se le voci fossero state vere, infatti, la cosa sarebbe stata di poco interesse, sarebbe passata attraverso le terre di Valtessa come una folata di vento, presto dimenticata ed ignorata dalle generazioni giovani e libertine.
Il vecchio sperava che, nelle terre di Nardos, la fanciulla potesse ottenere l’anonimato che aveva tanto desiderato, sperava che trovasse un onesto giovane e lo prendesse per marito e che avesse con lui tanti pargoli forti e nobili d’animo. Ma nemmeno lui era veramente immune dall’atroce dubbio...
La porta si spalancò ed un soldato entrò di corsa dicendo : "Maestà ... ci siamo!"
Il cuore del sovrano accelerò il suo battito mentre con passi veloci l’uomo saliva le scale ripide che portavano sui possenti bastioni fitti di arcieri e guerrieri corazzati.
La vista dell’esercito nemico non provocò in lui alcuna reazione poiché quell’immagine gli era apparsa già una volta, grazie all’Ultimo Oracolo. Non tentò di negoziare, sapeva di non averlo fatto, non lasciò la posizione così esposta, sapeva che non sarebbe stato colpito da alcuna freccia. Attese. Con lui attesero i suoi soldati, i chierici, i contadini, i bambini, le donne, il vento perfino. Tutto era avvolto da un’immobilità e da un silenzio innaturali. Il tempo pareva fermo, i barbari attendevano, i loro comandanti attendevano, la morte attendeva ghignando invisibile, puntuale all’appuntamento. Nelle retrovie delle legioni invincibili un uomo, affianco alla possente figura di Viridomaro in sella al suo destriero, stava ripassando, ad occhi chiusi, una cantilena che si era preparato da tempo. Nel suo abito nero era poco visibile agli occhi del re e dei suoi fedeli, sembrava una nullità nei confronti del conquistatore barbaro sul suo enorme cavallo da guerra, non aveva nemmeno un’arma, una corazza, nulla che ostentasse potere e ferocia, non era affatto lo stile di un barbaro... ma era ben più temibile dello stupido, grosso fantoccio che gli stava vicino! Era più potente di ogni arma, più potente di ogni esercito, più potente di molti maghi sulla Terra, più potente della stregoneria lanciata sulle mura della Fortezza del Mana. Una sola cosa gli mancava: la visione del futuro. Questo comunque non sminuiva la sua sicurezza mentre cominciava a muovere, nell’aria immobile, le sottili dita e, intanto, sussurrava le parole magiche dai suoni aspri e taglienti che aveva studiato con tanto impegno. Nonostante il cielo fosse limpido e sereno all’improvviso un debole fulmine si scaricò su una delle antiche torri illuminando, per un attimo soltanto, la pietra con una radiazione rossa ed intensa. Il mago continuò la tiritera ed i fulmini divennero più frequenti e più potenti, mentre un forte vento improvviso si levava e le guardie sui bastioni morivano a decine, a centinaia, fulminate e carbonizzate nelle loro armature. L’uomo dalla veste nera dovette iniziare ad urlare le parole per sovrastare l’ululato del vento e molti barbari si chiesero se quell’uomo avesse veramente il controllo di quell’incredibile potere. Il cielo divenne grigio e cupo, le saette colpivano la roccia senza scalfirla, bruciavano le anime senza avvicinarsi al corpo del sovrano che, sapeva, sarebbe morto poco dopo. Vento, pioggia, fulmini, rumore, fuoco e terrore, poi qualcosa di imprevisto. Le rocce respinsero le saette, si accesero di una luce verde mentre, in prossimità delle scalfitture runiche, partivano raggi argentei verso ogni direzione distogliendo il mago dal suo compito. Questo non doveva accadere! I raggi argentei non erano pericolosi, non ferivano al loro tocco ed i chierici interpretarono quel fatto come un intervento diretto degli dei. Cominciarono pregare e si inchinarono a terra in segno di reverenza ed appoggiando le mani sulla pietra la sentirono tiepida. Poi calda. Poi rovente. Poi il re fissò diritto negli occhi il conquistatore barbaro e questo, nonostante fosse lontano, intercettò lo sguardo creando una sorta di collegamento telepatico tra i due.
Sei finito.
Parve dire il volto del sovrano che assaporava quel tragico meraviglioso momento ignorando il dolore che gli veniva dai piedi, ignorando le urla dei suoi soldati che affondavano nella roccia, ormai quasi liquida, ignorando gli spruzzi di lava che partivano dalla base delle mura. La terra divenne bruna, la pioggia evaporava prima ancora di toccare il suolo, la Fortezza del Mana riversava tutto il suo potere attorno a sé ricoprendo legioni e campi con la sua bruciante presenza. Gli spruzzi di roccia liquida cadevano anche oltre le truppe barbare, rendendo folle anche un tentativo di fuga. Il conquistatore seppe in un momento di dover morire ed attese la lava con fierezza, mentre il mago che, compresa la situazione, stava pronunciando altre parole, forse appartenenti ad un incantesimo che lo portasse lontano da lì, venne raggiunto da un lapillo che distrusse il suo fragile corpo in un attimo. Tutti furono raggiunti dalla morte feroce e rovente, tutti quanti, perfino il re che, però morì con un sorriso di soddisfazione sul volto.
CAP 2. Roccia contro roccia
I tre camminavano velocemente lungo il corridoio stretto ed umido. Ad ogni deviazione il militare consultava la mappa che teneva in mano, scrutava i cunicoli con attenzione e si incamminava dentro ad uno di essi, seguito a ruota dalla ragazza e dal bambino. Lara teneva Fassit per mano e nell’altra reggeva una lanterna ad olio. Vuultor stringeva, con la mano libera, l’elsa della magnifica spada di adamantio, il nobile e resistentissimo metallo verde e tentava di fare meno rumore possibile con i suoi stivali corazzati, senza però riuscire ad evitare che il suono brillante del prezioso metallo sulla roccia del pavimento echeggiasse nei lunghi corridoi. Preoccupato da quel rumore si fermò, cercò nel piccolo zaino la corda di cuoio che solitamente usava per legare la selvaggina e avvolse gli stivali in modo da renderli un po’ più silenziosi. Erano in cammino da un paio di minuti quando sentirono la pietra tremare e videro una nuvola di polvere levarsi dalle antiche mura e dal soffitto ricco di radici e muffe. Fermatisi solo per un momento, guardandosi l’un l’altro negli occhi, ripresero immediatamente la marcia cercando di immaginare quale eccezionale urto potesse essersi trasmesso così in profondità. La galleria era infatti costruita a circa dieci metri dal suolo e sopra di loro c’erano tonnellate di terra morbida, inadatta a trasmettere suoni e vibrazioni. Eppure il tonfo era stato forte e spaventoso. Dopo pochi secondi un altro rumore, più lieve del precedente ruppe il silenzio, poi un terzo ed un quarto dall’intensità spaventosa. Vuultor si aspettava che, da un momento all’altro, il soffitto a volta gli crollasse sulla testa, mettendo subito fine alla sua missione. Ma così non fu. Dopo vari secondi di calma totale ripresero a camminare osservando sempre con ansia le antiche rocce che li sovrastavano. Procedettero con la solita cautela per un altro minuto e, mano a mano che si allontanavano dalla fortezza, Vuultor calcolava con approssimazione la distanza. Duecentocinquanta metri in cinque minuti.Circa quaranta minuti per giungere all’uscita, dato che il piccolo labirinto era lungo, se non si sbagliava strada, due chilometri circa. Mentre consultava nuovamente la mappa per decidere la direzione si accorse che il freddo umido di pochi minuti prima era scomparso. L’umidità era rimasta, anzi si era levata una leggera e fastidiosa nebbiolina, ma la temperatura sembrava esseri alzata un poco. Forse era solo per il fatto che si erano scaldati camminando o perché si erano abituati all’ambiente... Comunque non era il caso di distrarsi e, con una rapida occhiata alle sue spalle, per accertarsi che i suoi due protetti lo seguissero, riprese il cammino. Lara si asciugò il sudore dalla fronte e sentì la tensione aumentare, senza saperne il motivo. I suoi sensi la avvertivano di un pericolo e, sebbene la situazione sembrasse completamente sotto controllo, si attendeva una sorpresa. Attraversarono una stanza a cupola con cinque diverse deviazioni e si diressero verso una di esse seguendo i risoluti passi dell’omone. Quella stanza era diversa, caratteristica non solo per il fatto di essere l’unica stanza che avevano incontrato al momento, ma perché era cosparsa di incisioni runiche ed indicazioni in linguaggi a loro sconosciuti. Mano a mano che avanzavano Lara diveniva più agitata, più nervosa, era consapevole che c’era qualcosa di pericoloso e vicino, molto vicino. Sapeva inoltre che il nido, così veniva chiamato il labirinto in memoria del tempo passato in cui era stato dimora di arpie e pipistrelli dalle dimensioni incredibili, era un luogo piuttosto pericoloso anche solo nei due chilometri che avrebbero dovuto percorrere. Stranamente non avevano ancora incontrato nessuna minaccia, era strano, nonostante la spedizione degli uomini del re di pochi giorni prima. Mentre cercava di scacciare quel pensiero dalla sua mente vide il generale estrarre la spada ed assumere una posizione stabile, a gambe leggermente divaricate e piegate, classica dei guerrieri esperti. Il respiro dell’uomo era lento e silenzioso, la sua attenzione totale, i suoi nervi tesi al massimo. Anche lui aveva percepito qualcosa.
"Ho sentito un rumore" bisbigliò l’uomo ruotando leggermente la testa. Il sudore gli colava lungo la fronte e faceva bruciare i grandi occhi castani attenti al minimo movimento mentre le vigorose mani stringevano la presa sull’elsa dorata. Gli attimi diventano ore per un guerriero in allarme e Vuultor ebbe il tempo di immaginare quale minaccia emettesse un soffocato e strascicato rumore come quello che sentiva. Dovevano essere passi cauti di un agile e piccolo animale o qualcosa di simile. Decise di avanzare lentamente. Un passo, un altro poi dall’oscurità nebbiosa emerse una sagoma, un contorno che presto si delineò. Era ferma immobile e distante, si avvicinarono lentamente ad essa e scoprirono che si trattava di un uomo. Almeno dei resti di un uomo, dato che il cadavere, appeso a gambe in su, era spolpato della carne e della pelle, un suo braccio era in terra in una pozza di sangue rappreso e in un angolo giaceva l’armatura metallica ancora intatta e l’elmo spaccato a metà. Volgendo lo sguardo verso il cranio del miserabile vide dove era giunto il letale colpo... I rumori che prima aveva udito erano scomparsi. In quel punto il corridoio era un po’ più largo e Vuultor fece segno a Lara, la quale non era immune da quello spettacolo, ma faceva di tutto per mantenere la calma, di coprire gli occhi al bambino e seguirlo mentre schivava con cautela il corpo. L’odore di morte era intenso e varie volte la ragazza trattenne il respiro pur di non riempirsi i polmoni di quel gas malefico. Qualche mosca stava banchettando sull’uomo appeso, qualcun’altra gli volava intorno senza ronzare, quasi invisibile essendo nera ed immersa nell’oscurità. Silenziosamente aggirarono l’ostacolo e lo superarono tirando tutti un sospiro di sollievo, i due adulti per essere passati oltre, il bambino per aver nuovamente la vista libera dalla graziosa, ma per lui decisamente fastidiosa, mano della ragazza.
"Guarda verso il corridoio Fassit, non ti voltare !"
Nel pronunciare quella frase Lara tentò di assumere un’aria severa e grave e vi riuscì pienamente poiché in quel momento la sua innata allegria era sopraffatta dalla tensione e dal ribrezzo. Non appena il bambino ebbe eseguito l’ordine si voltò verso il guerriero che stava esaminando il cadavere con attenzione meccanica, dettata dall’esperienza.
"Lo hanno legato con lacci di cuoio a quel gancio, là fra quelle due pietre... un buon lavoro..."
"Per piacere..."
"No, no. E’ un buon lavoro e il corpo è stato spolpato per bene, non alla svelta, devono aver usato degli utensili e raccolto il sangue, vedi..."
La grossa mano dell’uomo si mosse ad indicare un cerchio rosso sul pavimento, segno della passata presenza di un recipiente o qualcosa di simile.
"Vuultor, credi che siano Goblins ?"
"Forse orchi, ma più probabilmente Goblins. Un orco che ti colpisca in testa te la stacca. Il sangue si è solidificato ed il corpo è gelido, però lo stato di decomposizione indica che quest’uomo è morto da non più di due giorni, più probabilmente uno. Il re non mi ha detto quando ha mandato i suoi uomini, ma questo è uno dei dispersi, senza dubbio..."
Mentre i due eseguivano l’analisi il bambino, stanco ed annoiato dell’attesa, si era lasciato attirare da un lieve bagliore nell’oscurità del cunicolo. Seguendo il discorso del guerriero Lara aveva ignorato il piccolo per poco più di dieci secondi, ma furono sufficienti. Con piccoli, veloci e inaudibili passi il bambino si era avvicinato alla luce, o meglio, si era allontanato dalla sua scorta, affascinato dalla fonte luminosa azzurrina che aumentava di intensità. Mentre la luce della lampada ad olio di Lara diveniva più lontana ed assente l’alone azzurro permetteva ai giovani occhi del bimbo di distinguere una forma alta e snella con in mano, qualcosa, quella cosa che emetteva la fantastica luce, quella cosa che lui doveva vedere. L’uomo alto e snello si accucciò quando il bambino gli fu vicino e sorrise amabilmente rivelando un fascino non indifferente. Le sue vesti azzurre come la luce contrastavano con il giallo oro della catena che assicurava al collo dell’uomo la gemma incastonata che questi aveva in mano. Nei grandi occhi del principe la luce si rifletteva danzando lievemente come una bandiera mossa da un vento pigro. Giunto a pochi centimetri dalla gemma il bambino allungò la mano per toccarla, ma in quello stesso momento lo sconosciuto portatore di meraviglie lo attirò a sé con forza e, mentre un urletto acuto si levava dalla bocca del principino, pronunciò poche parole e svanì assieme alla sua preda.
Vuultor si raggelò. Voltandosi e vedendo il corridoio vuoto capì che il suono appena udito era un grido disperato del bambino e si maledisse per aver creduto che fosse sotto il controllo di Lara. Per un impercettibile momento credette che la sua missione fosse finita lì, quasi prima di cominciare. Non ebbe nemmeno il tempo di iniziare a correre come il suo istinto gli imponeva che da davanti e da dietro sentì altre grida, non di paura, ma di ferocia. Lara sfoderò la spada corta che aveva agganciata alla vita e gridò a sua volta in modo feroce quando vide spuntare dalla tenebra il primo goblin. L’essere brandiva una piccola e malconcia ascia ed indossava un’armatura di cuoio sporca e lacera troppo grande per lui, ma incuteva comunque timore nel cuore della inesperta ragazza che fece volteggiare la spada maldestramente nella speranza di arrestare l’attacco del piccolo nemico. Ma dietro di lui ecco che ne giungeva un secondo, poi un terzo. Poi sentì vari rumori metallici alle sue spalle e capì che Vuultor era impegnato in combattimento e che non poteva aiutarla. Decise che era ora di reagire. Arrestò immediatamente i folli movimenti che stava eseguendo con la sua arma ed attese che i suoi nemici, i quali avanzavano lentamente, si avvicinassero abbastanza. Per sfogare la sua ira urlò di nuovo, ma più ferocemente "Morirete stridendo come conigli !" La sua frase doveva aver fatto effetto perché i tre si fermarono, si guardarono a vicenda, poi ritornarono di corsa nella tenebra dalla quale erano venuti. Lara pensò di non essere poi male come guerriera, almeno l’istinto battagliero doveva averlo se con un grido poteva mettere in fuga tre nemici ! Poi girandosi vide che Vuultor era alle sue spalle, la spada rossa di sangue, con una rabbia in volto che avrebbe fatto paura ad un drago e una testa mozzata di goblin nella mano libera. Dietro di lui una massa indefinita di corpi dalla pelle verdognola intrisa di un liquido rosso-intenso testimoniava la furia dell’uomo da guerra che, ansimando, stava riacquistando la calma ed il controllo.
"Dobbiamo trovarlo ! Avanti muoviti !" Urlò in direzione della giovane che colse senza dubbio il rimprovero presente nelle parole del grande uomo.
Lara raccolse la lanterna da terra, ma, anziché mettersi a correre fermò il guerriero con una mano e tese l’orecchio.
"Ascolta !" disse al militare che voleva solo partire alla ricerca del suo protetto.
"Cosa, cosa devo ascoltare ? Dài andiamo..."
"Zitto e ascolta !" la risoluzione della ragazza fece in modo che anche l’uomo, un po’ stupito, si fermasse ad aspettare e tendesse l’orecchio.
Per un attimo la loro attesa fu circondata dal più assoluto silenzio, poi una voce chiara, educata e cristallina emerse dal nulla.
"Avventurieri..."
"Chi è ! ?" Come un tuono la domanda dell’omone echeggiò più volte ed infine si spense.
"Avventurieri, fermatevi ed ascoltate. Non potete vedermi, ma io sono qui e non sono solo. Non fate movimenti azzardati, potreste ferire il vostro pargolo..."
Nella mente dell’uomo corazzato si susseguirono progetti di tortura e vendetta su quel... quel... coso che aveva rapito il principe intralciando la sua missione, ma comprese che era meglio stare fermi ed ascoltare con attenzione.
"Non voglio fare del male al bambino, sta bene ed ora ve lo restituirò... Kaliak Ihani Lajik !"
Un uomo alto e snello apparve improvvisamente davanti agli occhi del generale che, avendo già assistito ad atti di magia ed avendo già presunto che il loro strano interlocutore doveva essere un mago di qualche specie, non fu molto sorpreso di trovarsi faccia a faccia con un umano vestito d’azzurro privo di armature ed armi e recante uno strano e meraviglioso medaglione.
Per un breve attimo gli sguardi dei due si incrociarono e Vuultor ebbe una delle sue rare premonizioni : Questo non è pericoloso... di questo mi posso fidare...
Era cosciente della presenza del bambino dietro la veste del mago e si rilassò nel constatare che il principe lo guardava sporgendosi solo un po’, per fingere di nascondersi e sorrideva felice.
"Vieni qui, Fassit" Al richiamo materno di Lara il bimbo uscì dal suo "nascondiglio" e saltellando allegramente raggiunse la ragazza.
"Mi ha fatto giocare !" Disse il fanciullo sorridendo al guerriero.
L’uomo seguì il Fassit con lo sguardo fino a quando non lo ritenne al sicuro.
"Ebbene, milord, chi siete ?"
"Il mio nome è Exegan di Nardos, sono un... beh voi mi chiamereste mago o, con un’espressione detestabile, usufruitore di magia, come se noi anziché dominare i poteri magici li prendessimo da un magazzino..."
"Dunque, Exegan di Nardos, le propongo di evitare perdite di tempo e dichiarare immediatamente le rispettive intenzioni... inizierò io e sarò breve. Il ragazzo è un mio protetto, la mia missione e di condurlo sano e salvo all’uscita del labirinto ed è quello che farò. Nessun nemico potrà sottrarsi alla lama della mia spada, perciò se le vostre intenzioni sono ostili vi consiglio di allontanarvi immediatamente."
Raramente Vuultor era arrogante con gli sconosciuti che non fossero dichiaratamente nemici, ma in questo caso la tensione, la fretta e la responsabilità enorme che gravava sulle sue spalle ne facevano un uomo sospettoso, anche se sentiva di potersi fidare dello sconosciuto. Era una fiducia immediata, intensa, ma non sufficiente ad intaccare la prudenza del militare. Già una volta gli era accaduta una cosa simile, aveva già sperimentato la fiducia e ne era rimasto ferito.
"Valoroso guerriero, vi rendo noto che le mie intenzioni sono tutt’altro che malvagie e che la salvezza del ragazzo è da attribuirsi più al mio operato che al vostro. Lungi da me l’intenzione di offendervi, ma nel furore della battaglia un piccolo uomo come il principe è sottoposto all’attenzione della Signora Nera innumerevoli volte, mentre tra le mie vesti, con me nella dimensione senza spazio, non correva pericolo. Mi sembra anzi che il pargolo abbia trovato di suo gradimento il fatto."
La risposta educata ed articolata del mago e la sua figura, così particolare a causa della lunga capigliatura rossiccia e degli occhi azzurri intensi, stupì sia il guerriero che la ragazza, ora tranquillizzata e nuovamente disattenta a Fassit che agitava la manina in direzione dello straniero, come per salutarlo. Questi continuò
"Tengo inoltre a precisare la mia totale consapevolezza dei fatti, della vostra missione, dei pensieri alberganti nella vostra mente, generale."
Il sospetto si fece strada tra gli infondati sentimenti fiduciosi del soldato che ora guardava lo sconosciuto con più attenzione, così come faceva per i nemici che solitamente si trovava ad affrontare. Ma questo non era un cavaliere, un orco, un troll, non era nulla che lui potesse osservare alla ricerca di un punto debole. Un mago non ha punti deboli o ne ha infiniti, ma nessuno può saperlo prima di affondare nell’indifeso corpo la sua spada o di essere fulminato come un maiale allo spiedo da un campo di protezione.
"E posso sapere, milord, chi vi ha informato di tutto ciò ?"
Il primo sorriso apparve sull’affascinante volto sconosciuto. Il sorriso di chi prevede le reazioni di qualcuno e si accorge poi di aver avuto ragione.
"Una persona che conoscete bene, quella persona che lanciò la potente magia sui bastioni della vostra passata dimora, quella persona che vive nei cuori di molti combattenti ormai anziani e che questi hanno creduto morta da decenni."
"Ma... chi... chi è ?"
"Yargon, mio grande guerriero, il maestro Yargon che pose le sue capacità al servizio del tuo stesso sovrano, il mago che annullò la malefica stregoneria delle paludi e riuscì a trasformare in vittoria ciò che era stato annunciato come una sconfitta. Yargon mi è apparso in sogno, dicendo di essere ancora in vita in un luogo sicuro, mi ha istruito ed io, quale veste azzurra ho obbedito ad ogni suo comando."