Sul precetto Non Rubare
e sulla sua interpretazione ambientalista
Gentile signora Caramore,
le scrivo a proposito dell'intervento del prof. Ricca alla sua trasmissione del 27 Gennaio 1996, sul comandamento NON RUBARE, e in particolare riguardo alla interpretazione "ambientalista" di tale precetto. Temo che la questione sia un po' più complicata di come la fa il prof. Ricca.
Intanto la Natura ("Ambiente da non depredare") è, per eccellenza, il luogo della predazione reciproca, continuamente reiterata. Anche solo di un insetto ferito, non rimangono a lungo intatte neppure le antenne. Il destino più probabile di qualsiasi animale nella Natura è quello di essere prima o poi divorato vivo, letteralmente. Anche noi umani non possiamo fare a meno di predare. Almeno finché non riusciremo a compiere direttamente la fotosintesi clorofilliana e a catturare così la nostra quota di energia solare, in attesa di essere brucati da qualche macro o micro organismo. Ma anche in quel caso saremo costretti a far ombra ad un nostro vegetale vicino di casa, impedendogli di avere la sua fetta di Sole. Le catene alimentari sembrano proprio inerentemente connaturate alla Natura.
Resta la via della smaterializzazione. Ma è piena di incognite, tanto che non ne possiamo dire praticamente nulla di comprensibile. Nel frattempo, riuscendo a tenere a bada coccodrilli, batteri e virus, possiamo esercitarci nella catalogazione minuziosa delle predazioni lecite e illecite, consapevoli che ogni tentativo di tale catalogazione accenderà dispute interminabili sui criteri che la ispirano.
La nozione di ambiente e di natura che dal prof. Ricca è venuta fuori, mi sembra un po' schematica e molto antropocentrica (stile: Eden da preservare, con al centro, ma su un piedistallo, l'uomo, che quasi tutto può, per concessione di Dio). Nonostante le apparenze, è grosso modo la stessa concezione che domina nella cultura ambientalista, soprattutto centro-europea. Fa molta audience di questi tempi. Nella fattispecie, quella visione della natura presume che esistano il Bene e il Male in astratto e in modo decontestualizzato, e che di essi si possa parlare in modo semplice e lineare. Insomma, una visione della natura che presuppone l'esistenza di qualche cosa che assomigli a un Dio da cui emani una nozione oggettiva, intelligibile di Bene e di Male. Sovente si aggiunge a questo una nozione di finalità trascendente dell'accadere. È essenziale per questa posizione poter parlare di fissità delle specie ('uomo' incommensurabilemnete distinto da 'gatto', ecc.).
Ma tutto ciò non è affatto scontato. Anzi. Alla luce di quanto si va progressivamente scoprendo in questi anni circa il 'cosa sono' e il 'come funzionano' gli esseri viventi, quella concezione non pare affatto necessaria al prodursi dei fenomeni vitali, di cui gli umani sono una delle manifestazioni evolutive (come ormai pare proprio accertato da molti punti di vista, anche se qualcuno non ci crede ancora tanto). Il modo di vedere le cose che ha proposto il prof. Ricca non è nemmeno un granché utile a capire come le cose della "Natura" accadono. Anzi contribuisce a fare un bel po' di fumo, se ciò che si desidera è, galileianamente, cercare di capire, in modo efficace, come le cose funzionano, indipendentemente dal desiderare che siano diverse.
Quel modo di vedere (trascendentalista?), che il prof. Ricca e molti altri adottano (compresi gli ambientalisti), è invece essenziale se si vuole legittimare/delegittimare l'agire. In genere, si tende a legittimare il proprio e a delegittimare quello altrui, se non si accorda col proprio. È probabile che sentirsi legittimati procuri piacere, come quando si formula o si soddisfa un desiderio. Può anche rafforzare la convinzione di essere nel giusto. Tutto ciò ha un corrispettivo neurobiologico identificabile. Corrisponde alla produzione da parte del nostro organismo di mediatori chimici che agiscono sulle reti di neuroni del sistema nervoso che a loro volta ne stimolano la produzione, procurandoci quell'infinita gamma di sensazioni di piacere e di dolore che proviamo. Esattamente come se quegli stessi mediatori chimici li introducessimo dall'esterno negli stessi dosaggi, nella stessa sequenza e nella stessa distribuzione spaziale all'interno del nostro organismo. Ma questo trascendentalismo non funziona un gran che se pretendiamo che sia anche una modo non misterioso ed efficace di scoprire e comunicare come le cose funzionano. Cioè se pretendiamo di poter parlare del Vero in quanto anche Buono e viceversa.
La presenza o meno di Verità Etiche che si traducano in comportamenti virtuosi o viziosi (con i loro corollari politici e sociali) è irrilevante a che il meccanismo dell'evoluzione abbia corso e produca biodiversità. In altre parole l'attività di legittimazione non è necessaria all'evoluzione. La si potrebbe vedere come un vincolo ambientale. Un elemento del paesaggio evolutivo, come un masso in un torrente che viene spostato ed eroso là dove è più sollecitato o più duttile. Tant'è che, con regolarità periodica, si hanno rotture di legittimità preesistenti e costruzioni di nuove legittimità. A cui si affiancano la rottura e la ricostruzione dei corrispondenti sistemi di valori, dei gruppi che li adottano e delle regole per far parte di quei gruppi. Questo in tutti i sistemi sociali, animali e "umani", posto che abbia qualche senso distinguere nel contesto di questioni così fondamentali come quelle sollevate dal prof. Ricca.
Si è di fronte ad un dualismo inconciliabile. Se si vuole legittimare l'agire oltre il soggettivismo (cioè oltre la guida che ne fanno le soggettive sensazioni di piacere e di dolore) occorre rinunciare a spiegare il mutamento. Se si spiega il mutamento non si riesce a legittimare nulla. Ma il mutamento è un fatto empiricamente riscontrabile, nonostante tutti gli sforzi dei filosofi per ridurre ciò che muta alla fotografia che essi ne fanno.
Le accludo un paper che contiene obiezioni dettagliate e, penso, calzanti riguardo a ciò di cui ha parlato il prof. Ricca. Questo paper era stato accettato (e poi rifiutato con orrore) ad un convegno di un gruppo europeo di "ambientalisti-scientifici" l'estate scorsa. In questo paper tento di puntualizzare alcuni concetti in merito all'uso cosiddetto sostenibile delle risorse del pianeta, in connessione alla possibilità di governare un tale processo. Le anticipo il mio profondo scetticismo nei confronti del pensiero ambientalista. Per molti aspetti, esso mi dà l'impressione di una rozza teologia ammantata di scientismi, anche se alcune argomentazioni particolari possono essere scientificamente corrette. Nel complesso però, il pensiero ambientalista mi sembra molto distante dallo spirito profondo di quella "filosofia della natura" che convenzionalmente si fa iniziare da Galileo & C.
Quando si cerca di trattare con atteggiamento scientifico fenomeni altamente complessi e dall'evoluzione non lineare, come sono i fenomeni dove una qualsiasi azione indagatrice altera in misura rilevante l'oggetto dell'indagine (sia che si tratti di una azione sperimentale o che l'azione venga prodotta da presunzioni etiche), è molto difficile poter ricavare "leggi scientifiche" così nitide come quelle della meccanica classica, utili ad una previsione altamente affidabile di come l'oggetto di studio reagirà. Questo vale per i sistemi biologici in vitro, come per gli ecosistemi, come per i sistemi nervosi degli organismi pluricellulari, ecc. Questi fenomeni sono interessantissimi da studiare, e stanno ponendo profondi problemi di metodo, che solo ora si cominciano a percepire nella loro complessità e ad affrontare. Al punto che, da 50 anni in qua, stiamo forse assistendo ad uno di quei famosi cambiamenti di paradigma del pensiero scientifico di cui parla T. S. Kuhn.
Forse poi stiamo anche assistendo ad un mutamento così sconvolgente e improvviso nel modo di guardare a noi stessi che non credo abbia paralleli nella storia nota. Si direbbe che stiamo vivendo il passaggio dalle ultime raffinate forme di animismo (in esse ci metto anche la tradizione cristiana), verso un materialismo radicale e irreversibile nei suoi fondamenti. Come questo materialismo radicale possa dare risposta al desiderio di consolazione (giustizia, verità etica, ecc.) è difficile prevedere. È possibile che verrà fatto con l'aiuto di farmaci sempre più mirati e meno tossici, o con forme di "allenamento cerebrale". O attraverso sistemi di credenze/rituali provvisori, parziali e autocostruiti, reperendo i mattoni di ciò al supermercato dello spitritualità, come direbbe Sergio Quinzio. Infatti perché funzioni, basta crederci, proprio da uno punto di vista strettamente neurobiologico. Di fatto, i processi chimico-elettrici attivati nel sistema nervoso dalle percezioni (e dunque attivati anche dalle parole) possono essere del tutto equivalenti a quelli di farmaci molto molto mirati. In questo senso sono avvantaggiati i "poveri di spirito" (cosa che ha un corrispettivo nel più popolaresco "chi si contenta, gode"). È un po' più complicato per chi abbia smontato il meccanismo di come ciò funziona, ma non dubito che molti ci riusciranno lo stesso. Per esempio esercitando la propria vanità con scritti come questo. In ogni caso è del tutto campato per aria fare previsioni, su queste cose. E poi le chiedo: se guardiamo a questi aspetti filosofico-etico-religiosi in modo comparato, come lei fa splendidamente nella sua trasmissione, trova molte differenze con il passato?
Ecco perché ritengo inconsistenti le fedi che molti ambientalisti professano. Soprattutto se da ciò costoro derivano un atteggiamento azionista, passandolo per una deduzione scientifica. Non va dimenticato, a mio parere, che l'indagine scientifica è tradizionalmente rivolta all'indagine delle eventuali regolarità che si manifestano, e non alla costruzione o alla legittimazione dell'uso di precetti e ricette. I progetti Etici di Mondi Ideali sono un'altra cosa, e, quando qualcuno ha provato a calarli nella storia, hanno sovente prodotto contraddizioni fondamentali rispetto ai presupposti che li motivavano.
Faccio un esempio banale: è vero (forse) che bruciando petrolio aumentiamo l'effetto serra che (forse) può produrre cambiamenti di clima devastanti e potenzialmente pericolosi per molti (però forse vantaggiosi per altri). D'altra parte: siamo così sicuri di poter valutare che non bruciare petrolio così come lo stiamo bruciando adesso sia davvero meno pericoloso per noi? Non va dimenticato che, attualmente, la più lunga speranza di vita si ha là dove si dissipano più risorse. E l'aumento di speranza di vita sul pianeta in genere, con conseguente aumento di popolazione, può ragionevolmente essere ricondotta alle ricadute materiali di una cultura (conoscenze, farmaci, tecniche per aumentare la disponibilità di cibo, ecc.) che ha fondato la sua prosperità sull'aver imparato, con l'invenzione delle macchine termodinamiche artificiali (motori a vapore, a combustione interna, turbine, ecc.), a utilizzare (predare?) l'energia fossile accumulata dall'ecosistema in milioni di anni.
Gli umani attuali possono, in questo senso, essere considerati dei dispositivi che si sono adattati alla nicchia ecologica costituita dalla relativa abbondanza di energia fossile. Finita questa o si ridurranno di numero, o avranno escogitato qualcos'altro e saranno qualcos'altro. Per quale ragione qualcuno dovrebbero morire prematuramente ora (perché, fatti tutti i conti, di ciò si tratta) per lasciare risorse a qualche indefinito essere nel futuro imperscrutabile? Occorre presupporre che la pura gratuità materiale venga praticata in misura statisticamente significativa. Ma se lo fosse, produrrebbe solo l'estinzione di chi la pratica a favore di chi non la pratica, in un contesto dove le risorse sono limitate e non infinite.
Mi dispiace che il paper sia in inglese, ma quella era la lingua ufficiale del convegno.
Le accludo anche la mia risposta al prof. N. Bobbio che aveva sollevato perplessità analoghe alle sue riguardo alla baldanza di quella mia prima serie di piccoli pamphlet. Quelli che avevo inviato anche a lei, ormai quasi 2 anni fa. Le avrei mandato questi nuovi scritti quando avessi completato quello ancora incompleto. Ma credo sia interessante farglieli avere ora per questa discussione. Forse chiariscono meglio anche il senso di quei miei vecchi scritti.
Non so se avrà voglia di leggerli. Non la biasimo. So di essere un po' noioso e invadente.
Per una prima introduzione al modo in cui la comunità scientifica attuale sta affrontando i problemi connessi all'origine dei fenomeni biologici, potrebbe essere interessante dare un'occhiata a:
Per una prima introduzione agli aspetti neurobiologici e computazionali relativi allo studio del pensiero come risultato dell'attività dei sistemi nervosi, si può vedere il libro di D. Parisi, Intervista sulle reti neurali, Il Mulino, Bologna 1989.
Sugli scritti che accludo si trova ulteriore bibliografia. Altre informazioni si possono trovare consultando il sito INTERNET che sto mettendo in piedi intorno ai temi di questa lettera. Oltre ad ulteriore bibliografia e alla possibilità di scaricare sul proprio computer gli scritti che ho prodotto, vi si possono trovare i link ad altra documentazione e ad alcuni luoghi dove si fa ricerca di prima mano sui temi da me citati o accennati nei vari scritti.
Il sito INTERNET in costruzione è all'indirizzo:
http://geocities.datacellar.net/Athens/3020
la mia e-mail è: b.caudana@ieee.org
Se lo ritiene opportuno o interessante, estenda liberamente le mie considerazioni al prof. Ricca. Non c'è alcuna intenzione polemica nelle mie osservazioni, anche se so di manifestare asprezze e ironia, talvolta. Dal mio punto di vista, le assicuro che è altrettanto indisponente il compiacimento mal dissimulato con cui sovente alcuni illustri umanisti lasciano intendere di non saper capire, ad esempio, cosa sia un rapporto tra due grandezze. Ma non è il caso del prof. Ricca. Né tantomeno il suo. Consideri la mia indisponenza un peccatuccio di invidia che deriva dalla mia incapacità di decifrare molte altezze vertiginose della speculazione filosofica, viste dal mio materialismo radicale. Le trovo misteriosamente stimolanti e di sicuro interesse storico.
La sua trasmissione poi, nella sua articolazione, è raffinatissima e bellissima. Grazie, e spero che le diano sempre più spazio.
Bruno Caudana
29 Gennaio 1996 [ Back to Main Page ]
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