Alcune osservazioni sulle opinioni del prof. Umberto Eco in: "L'uomo cerca l'altro, così nasce la morale"
Gentile prof. Eco,
come laico non condivido la posizione che ha espresso in L'uomo cerca l'altro, così nasce la morale su LIBERAL di Febbraio 96.
Il problema della ricerca degli universali, soprattutto se di universali storici si tratta, temo sia molto più complicata e meno autoevidente di così. Inoltre la identificazione delle somiglianze e la separazione delle differenze (almeno in ambito biologico) è concettualmente molto problematica da Darwin in poi. Perciò non mi pare che sia così automatica e stringente la nascita di valori comuni. Almeno non così tanto da superare lo scetticismo del cardinal Martini circa la cogenza di norme etiche così fondate.
In una prospettiva radicalmente laica è il concetto stesso di valore, come di ogni altra proposizione etica, a non poter essere fondato al di là dei desideri soggettivi e delle passioni, per i quali si possono trovare corrispettivi neurobiologici identificabili. Il percepire l'altro in sé stessi resta comunque una valutazione soggettiva per fondamentali ragioni fisico-biologiche; a meno, appunto, di invocare il Mistero per evocare qualche strana forma di empatia metafisica. Ma in questo modo qualsiasi cosa può tendenzialmente essere detta; e come lei sa, occupandosi di comunicazione, un discorso in cui qualsiasi cosa può essere indifferentemente detta comporta anche informazione nulla. Cioè tende a confondersi con il rumore di fondo.
Da dilettante, anch'io ho provato a riflettere su cosa si possa dire di fondante da un punto di vista laico in tema di etica. Trovo che non se ne possa dire praticamente nulla. Anzi trovo che diventano inconsistenti gli stessi concetti etici. A questo punto delle mie riflessioni ho incontrato un dilemma inconciliabile. Se si vuole parlare, senza evocare il mistero, di come funzionano gli esseri viventi, occorre rinunciare a fondare un'etica oggettiva, cioè a legittimare l'agire. Altrimenti, se si pretende di fondare un'etica, occorre rinunciare a parlare in modo comprensibile (cioè in modo da rendere ragione dei fatti) del come gli esseri biologici funzionano immersi nel loro ambiente e nel tempo. Il che comporta l'inconciliabilità di spiegazione e legittimazione.
Argomentazioni di ciò e obiezioni dettagliate alle sue riflessioni si possono ricavare dagli scritti che le accludo, e in particolare da quello che ho chiamato Alcune note sul problema della genesi delle norme etiche, se avrà tempo e interesse a leggerli.
Tecnicamente poi, trovo azzardate alcune sue affermazioni. Di mestiere scrivo software per strumenti che reagiscono a segnali dell'ambiente da quasi 20 anni, e ultimamente mi occupo un po' degli aspetti computazionali degli organismi biologici, ma le assicuro che trovo singolari le affermazioni che lei fa affrontando il tema della latenza iperuranica del software (ormai identificato con l'anima, tout court) quando passa da un supporto all'altro:
"[...]Così che oserei dire (non è una ipotesi metafisica, è solo una timida concessione alla speranza che non ci abbandona mai) che anche in tale prospettiva si potrebbe riproporre il problema di una qualche vita dopo la morte. Oggi l'universo elettronico ci suggerisce che possano esistere delle sequenze di messaggi che si trasferiscono da un supporto fisico all'altro senza perdere le loro caratteristiche irripetibili, e sembrano persino sopravvivere come puro immateriale algoritmo nell'istante in cui, abbandonato un supporto, non si sono ancora impressi su un altro. E chissà che la morte, anzichè implosione, sia esplosione e stampo, da qualche parte, tra i vortici dell'universo, del software (che altri chiamano anima) che noi abbiamo elaborato vivendo, fatto anche di ricordi e rimorsi personali, e dunque sofferenza insanabile, o senso di pace per il dovere compiuto, e amore. [...]" (sic)
Probabilmente sarà capitato anche a lei di sperimentare la latenza nella erogazione di energia elettrica per qualche manciata di millisecondi (o di aver spento il computer) prima di aver salvato i suoi dati su disco o sul suo sito Internet al di là del mare. In quel caso, il meglio che avrà potuto fare sarà stato di confidare nella stabilità fisica dei processi biochimici del suo cervello-oganismo e avrà reimmesso nel computer il 'software' attraverso lente, ma affidabili, azioni meccaniche sui tasti del sua tastiera.
Sembra che la 'natura' affidi la conservazione di almeno parte del 'software' alla struttura delle molecole di DNA, che si ricombinano e talvolta si alterano per effetto del caso. Attraverso complesse ed articolate interazioni con un ambiente favorevole, alcune di queste molecole danno luogo a conglomerati cellulari organizzati e innervati da un reticolo di cellule nervose. L'attività elettro-chimica di questo reticolo, in cooperazione con il resto del conglomerato cellulare plasmato dalla selezione naturale, sembra in grado effettuare azioni sull'ambiente e di ricevere informazioni (variazioni di stati fisici) dall'ambiente attraverso identificabili processi chimico-fisici. In conseguenza di ciò il reticolo nervoso può modificare la propria struttura, diventando a sua volta un dispositivo capace di memoria. Un'altra forma di memoria che si plasma con l'esposizione all'ambiente è rappresentata dal sistema immunitario. La dinamica delle interazioni tra il flusso di informazioni veicolate fisicamente e lo stato fisico dei dispositivi di memoria consente attività di regolazione e di riconoscimento di situazioni statisticamente prossime. Questo fatto può costituire un vantaggio evolutivo per l'aggregato cellulare che ne sia dotato, favorendone la sua diffusione. L'evoluzione mostra che questa complessa catena di interazioni può essere utilizzata, in aggiunta al meccanismo del DNA, per trasmettere esperienze, cioè per far passare il 'software' da un supporto ad un altro.
Allo stato attuale delle conoscenze, sembra proprio che il software svanisca, se si interrompe o si affievolisce la catena fisica che collega un supporto all'altro. Col che sembrerebbe in difficoltà anche l'immortalità dell'anima.
Cordiali saluti.
Bruno Caudana
8 Marzo 1996 [ Back to Main Page ]
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