Una replica laica alla domanda pubblica
del cardinale Carlo Maria Martini:
"Com'è possibile la scelta etica senza la fede?"
Gentile cardinal Martini,
ho letto le sue riflessioni e le domande che pone al pensiero laico quando chiede: Com'è possibile la scelta etica senza la fede? [Liberal, febbraio '96].
Penso di essere completamente d'accordo con lei quando ritiene impossibile fondare l'etica senza la fede. Mi piacerebbe che coloro che si definiscono laici avessero il coraggio intellettuale di riflettere in modo più disincantato, come fa, tra i pochissimi, Carlo Augusto Viano. Sono i concetti stessi di liceità e di dover essere ad essere privi di senso, in una prospettiva di materialismo radicale. È automaticamente lecito ciò che non è impedito da un limite fisico o da una incapacità contingente di fare. E nulla è di per sé dovuto, ma solo soggettivamente desiderabile o no. Lo studio della 'natura', affrontato senza occhiali bioetici, mostra come ciò avvenga.
Ogni pretesa di fondare una morale naturale è viziata irrimediabilemente alla base almeno dal fatto che ciò che se ne può dire è soltanto e sempre qualcosa di contingente, di a posteriori, frutto di stratificazione statistica. La ricerca di un minimo comune storico, di un universale etico naturale, di una regolarità in queste questioni dà sempre solo luogo a proposizioni probabilistiche ed è aperta al mutamento e al caso. In questo modo è stato trovato un meccanismo non misterioso che rende ragione dell'evoluzione degli esseri viventi e ci dà qualche indicazione su come si producono le variegate morfologie e le modalità di comportamento che li contraddistinguono. In questa prospettiva, che senso ha dire che un atto è illecito, se ha una qualche probabilità finita di essere compiuto, e la sua frequenza è funzione della sua idoneità storica ad un ambiente che può essere, a sua volta, soggetto a mutamenti casuali nel corso del tempo? Che senso ha affermare che un certo atto è illecito, e che invece un altro dovrebbe essere compiuto?
Da un po' di tempo mi è capitato di provare a riflettere su cosa si possa dire in tema di etica da un punto di vista radicalmente laico. A questo punto delle mie riflessioni trovo che non se ne può dire praticamente nulla. Da convinto e disincantato evoluzionista quantomeno agnostico (nel senso che ritengo irrilevante il problema dell'esistenza di un Dio, anche se non è irrilevante che molti ne abbiano formulato concetti in cui hanno creduto), ho incontrato un dilemma inconciliabile. Se si vuole parlare, senza evocare il mistero, di come funzionano gli esseri viventi, occorre rinunciare a fondare un'etica oggettiva, cioè a legittimare l'agire. Altrimenti, se si pretende di fondare un'etica, occorre rinunciare a parlare in modo comprensibile (cioè in modo da rendere ragione dei fatti) del come gli esseri biologici funzionano immersi nel loro ambiente e nel tempo. Il che comporta l'inconciliabilità di spiegazione e legittimazione.
Argomentazioni più approfondite su queste mie riflessioni può trovarle negli scritti che le accludo, se avrà interesse e tempo di leggerli. [1]
Ma più incisivamente, argomentazioni approfondite si trovano disperse nel mare degli studi che fisici, biologi e, più recentemente, anche studiosi degli aspetti computazionali degli organismi viventi, hanno compiuto negli ultimi 150 anni, e segnatamente negli ultimi 20-40. Questi studi tendono a mostrare come gli esseri viventi siano aggregati di macchine complesse sottoposte ad una lunga evoluzione, e come la stessa attività del 'pensare' possa emergere e sia riconducibile alla attività elettro-chimica e computazionale dei sistemi nervosi. Evitare i problemi fondamentali che questi studi pongono alla formulazione stessa dei concetti etici, non mi sembra una pratica interessante per chi si ponga domande sull'agire.
È comprensibile che una attività di governo, che tende alla produzione di atti con effetto giuridico o politico, cerchi disperatamente legittimazione etica. Chi accetterebbe volentieri l'imposizione di una giustizia infondata? [2]
Ma l'etica non è necessaria al prodursi di evoluzione e biodiversità. Né è necessaria al prodursi dei suoi corollari comportamentali, anche se taluni di essi possono apparire a noi, che di essi siamo un prodotto, eticamente ispirati in modo fondato. Ciò è probabile che accada nello stesso modo in cui il nostro sistema nervoso produce illusioni ottiche ed allucinazioni talvolta vantaggiose, ma che abbiamo imparato a riconoscere come tali indagando come si producono.
Sta in questa asimmetria fondamentale, probabilmente riflesso della più fondamentale asimmetria fisica dei processi entropici, la mia totale isoddisfazione ad accettare una prospettiva di fede; non nel fatto che ritenga più convincente un'etica fondata altrimenti. Non posso dirmi credente per insoddisfazione conoscitiva, non per insoddisfazione etica.
Perciò rilancio la sua domanda al rialzo: com'è possibile avere la fede? Una fede che si ritrae dal tentativo di investigare come funziona il mondo invocando esplicitamente il Mistero a fondamento, ma vorrebbe saper indicare cosa sia Veramente Buono e Giusto, in modo Assoluto, quand'anche ciò che indica fosse desiderabile o desiderato?
Con la stima che ho per chi sinceramente si interroga, la saluto.
Bruno Caudana
[1] Chiunque
può trovare queste mie riflessioni, con ulteriore bibliografia,
a questo indirizzo Internet:
http://geocities.datacellar.net/Athens/3020/
[2] Così
notava B. Pascal:
" < ... on voit la vanité des lois; il
s'en débarasse; il est donc utile de l'abuser. >
Sur quoi [la] fonderatil, l'économie du monde
qu'il veut gouverner? Serace sur le caprice de chaque particulier?
quelle confusion! Serace sur la justice? il l'ignore.
Certainement, s'il la connaissait, il n'aurait pas établi
cette maxime, la plus générale de toutes celles
qui sont parmi les hommes, que chacun suive les murs de
son pays; l'éclat de la véritable équité
aurait assujetti tous les peuples, et les législateurs
n'auraient pas pris pour modèle, au lieu de cette justice
constante, les fantaisies et les caprices des Perses et Allemands.
On la verrait plantée par tous le États du monde
et dans tous les temps, au lieu qu'on ne voit rien de juste ou
d'injuste qui ne change de qualité en changeant de climat.
Trois degrés d'élévation du pôle renversent
toute la jurisprudence; un méridien décide de la
vérité; en peu d'années de possession, les
lois fondamentales changent; le droit a ses époques; l'entrée
de Saturne au Lion nous marque l'origine d'un tel crime. Plaisante
justice qu'une rivière borne! Vérité au deçà
des Pyrénées, erreur au delà.
Ils confessent que la justice n'est pas dans ces coutumes, mais
qu'elle réside dans les lois naturelles communes en tout
pays. Certainement ils le soutiendraient opiniâtrement,
si la témerité du hasard qui a semé les lois
humaines en avait rencontré au moins une qui fût
universelle; mais la plaisanterie est telle, que le caprice des
hommes s'est si bien diversifié, qu'il n'y en a point.
Le larcin, l'iceste, le meurtre des enfants et des pères,
tout a eu sa place entre les actions vertueuses. Se peutil
rien de plus plaisant, qu'un homme ait droit de me tuer parce
qu'il demeure au dela de l'eau, et que son prince a querelle contre
le mien, quoique je n'en aie aucune avec lui?
Il ya sans doute des lois naturelles; mais cette belle raison
<dogmatisante.> corrompue a tout corrompu <Elle a tout
examiné et gaté.>: Nihil amplius nostrum est;
quod nostrum dicimus, artis est. Ex senatusconsultis
et plebiscitis crimina exercentur. Ut olim vitiis, sic
nunc legibus laboramus.
De cette confusion arrive que l'un dit que l'essence de la
justice est l'autorité du législateur; l'autre,
la commodité du souverain; l'autre, la coutume présente,
et c'est le plus sûr: rien, suivant la seule raison, n'est
juste de soi; tout branle avec le temps. La coutume fait toute
l'équité, par cette seule raison qu'elle est reçue;
c'est le fondement mystique de son autorité. Qui la ramènera
a son principe l'anéantit. Rien n'est si fautif que ces
lois qui redressent les fautes; qui leur obéit parce qu'elles
sont justes, obéit à la justice qu'il imagine, mais
non pas à l'essence de la loi: elle est toute ramassée
en soi; elle est loi, et rien davantage. Qui voudra en examiner
le motif le trouvera si faible et si léger, que, s'il n'est
accoutumé à contempler les prodiges de l'imagination
humaine, il admirera qu'un siècle lui ait tant acquis de
pompe et de révérence. L'art de fronder, bouleverser
les États, est d'ébranler les coutumes établies,
en sondant jusque dans leur source, pour marquer leur défaut
d'autorité et de justice. Il faut, diton, recourir
aux lois fondamentales et primitives de l'État, qu'une
coutume injuste a abolies. C'est un jeu sûr pour tout perdre;
rien ne sera juste à cette balance. Cependant le peuple
prête aisément l'oreille à ces discours. Ils
secouent le joug dès qu'ils le reconnaissent; et les grands
en profittent à sa ruine, et à celle de ces curieux
examinateurs des coutumes reçues. C'est pourquoi le plus
sage des législateurs disait que, pour le bien des hommes,
il faut souvent les piper; et un autre, bon politique: Cum
veritatem qua liberetur ignoret, expedit quod fallatur. Il
ne faut pas qu'il sente la vérité de l'usurpation:
elle a été introduite autrefois sans raison, elle
est devenue raisonnable; il faut la faire regarder comme authentique,
éternelle, et en cacher le commencement si on ne veut qu'elle
ne prenne bientôt fin." [B. Pascal, Pensées,
230 (Chevalier ed.), 1670, Éditions Gallimard, 1954.]
2 Marzo 1996 [ Back to Main Page ]
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