Sulla vera origine del nazionalsocialismo
21 Febbraio 1994
Fate più figli, che ci stiamo estinguendo. Questo è l'ultimo grido che si leva dalla profondissima Europa che pensa di aver realizzato il miracolo dei pani e dei pesci chiamandolo Stato Sociale. Ultimamente questo grido si manifesta ammantato di argomenti alla moda, progressisti, sedicenti liberal-socialisteggianti e pseudomaterialisti. Si dimostra, conti alla mano, la ragionevolezza laica di politiche di sostegno alle famiglie che producono figli. In Germania si propone di tassare di più i senza figli. Qui da noi il prof. Buttiglione propone di detassare in modo sostanzioso le famiglie con figli. Nei paesi CEE, in genere, le famiglie con prole hanno agevolazioni fiscali. L'argomento di fondo è sostanzialmente lo stesso: le nuove generazioni sono una risorsa. Esse, nel futuro, produrranno beni. Saranno contribuenti fiscali fedeli che alimenteranno la catena di Sant'Antonio dello Stato Sociale e pagheranno le pensioni a noi vecchi. Infatti, questi pensatori non si fidano della futura fedeltà contributiva di masse cospicue di recenti immigrati per coprire il deficit di nascite e di bilancio. Anche se la politica di aiuto allo sviluppo del terzo mondo è, in linea di principio, un altro cardine complementare e ineliminabile del pensiero solidaristico di queste menti sensibili e brillanti.
Quegli argomenti sembrano ineccepibili, quando vengono fatti valere localmente.
Salvo che, poi, quell'atteggiamento va confrontato con un dettaglio non trascurabile dell'umana condizione: la natura non infinita delle risorse che si è capaci di utilizzare. Si possono fare interminabili discussioni su dove stiano i limiti di tali risorse. Negare che ci siano limiti pare sempre più azzardato.
Ad esempio: l'estensione delle terre emerse in rapporto alla quantità di popolazione. Al tasso attuale di incremento della popolazione mondiale (1.7% annuo, compresa la denatalità europea) tra circa 600 anni ci dobbiamo aspettare di trovare 1 individuo per metro quadrato di terra emersa (1x1 metri), compresi deserti e ghiacciai. Molto prima ci troveremmo ad avere problemi nella catena alimentare, anche supponendo la pratica quotidiana del cannibalismo. Va fatto notare che 600 anni sono poco più di un quarto del tempo impiegato dal pensiero cristiano per nascere ed evolversi, e un'inezia se paragonato ai 100.000 anni in cui l'homo sapiens sapiens è sopravvissuto e si è riprodotto anche senza le dottrine cristiana e socialista, e in assenza dello Stato Sociale.
Se facciamo 22 miliardi il limite di popolazione sopportabile dalla Terra, al tasso di incremento del 1.7% annuo, questo sarà fra 83 anni. Al tasso del 2.8% annuo di incremento, cioè se i 60 milioni di aborti stimati l'anno fossero nuovi nati, questo sarebbe tra 50 anni. Per inciso: dire 22 miliardi di persone sulla Terra vuol dire che sia il Sahara che l'Antartide sopportino una densità di popolazione come quella della fertilissima e coltivatissima Europa CEE, ingoiatrice di petrolio (la CEE fa 146 ab/Km2, la Cina fa 124 ab/Km2, l'India fa 267 ab/Km2, il Giappone fa 334 ab/Km2, gli USA fanno 27 ab/Km2, il Brasile fa 18 ab/Km2, la Russia fa 8.7 ab/Km2, il Canada fa 2.7 ab/Km2, la Terra con popolazione 5.5 miliardi fa 37 ab/Km2, la Terra con popolazione 22 miliardi farebbe 148 ab/Km2). Sono curiosissimo di vedere quale mirabolante innovazione tecnologica riuscirà a far funzionare, in 50 o 83 anni, il Sahara e l'Antartide come una risaia, o anche solo come un orto di patate, anche senza la palla al piede di ambientalismi isterici.
Un altro piccolo ragionamento sui limiti. Si dice che nel Nord
ricco del mondo il 20% della popolazione mondiale utilizzi l'80%
delle risorse mondiali, pari ad un fattore 16 nei confronti pro
capite. A titolo di curiosità: il consumo di energia pro
capite in USA è 32 volte quello in India e 12 volte quello
in Cina; il PNL pro capite in USA è 72 volte quello in
India e 65 volte quello in Cina. Se valgono queste cifre (20%,
80%), e se accettiamo l'ipotesi che la riduzione della differenza
di disponibilità di risorse tra popolazioni diverse comporti
una riduzione della tensione conflittuale (oltre che ritenere
il fatto auspicabile sotto il profilo dell'uguaglianza dei diritti),
si possono prospettare 3 scenari tendenti ad annullare le differenze:
1) Ipotesi cristiana e solidaristica. Suddividere le risorse
disponibili in rapporto alla popolazione. Questo vorrebbe dire,
grosso modo, che un paese come l'Italia con le strutture e le
risorse che ha, dovrebbe farsi carico di 4 volte la popolazione
che ha. Cioè: le nostre case, scuole, ospedali, ecc., così
come sono, dovrebbero servire 4 volte la popolazione attuale.
Cioè 3 extracomunitari per ciascun italiano. Già
si vedono frizioni e intolleranze ora, con, sì e no, 2
milioni di extracomunitari su 58 milioni di italiani, pari a 0.034
extracomunitari per italiano, 1/100 del prefigurabile. Figuriamoci.
2) Ipotesi verde-ambientalista. Migliorare l'efficienza
complessiva del sistema pianeta perché tutti abbiano il
tenore di vita dei paesi più sviluppati, senza che venga
aumentato l'impiego totale di risorse. Si tratterebbe di migliorare
di 4 volte, rispetto ad ora, l'efficienza del modo di trasformare
le risorse in soddisfacimento di bisogni ritenuti consoni ad un
paese sviluppato. Quest'ipotesi comporterebbe una profonda ristrutturazione
di tutto. E non è detto che funzionerebbe. Lascio perdere
una analisi dettagliata e onirica di ciò che occorrerebbe
fare, per brevità. Cito un solo fatto che dovrebbe dare
una idea della complessità economico-ingegneristica di
una cosa simile: dal primo shock petrolifero ad oggi (circa 20
anni) il consumo pro capite di energia negli USA è sceso
da 10.8 [TEC/ab anno] a 9.7 [TEC/ab anno]. Cioè: se adottiamo
la variazione della quantità di energia necessaria per
far vivere un abitante degli USA (uno dei luoghi dove, oggi, si
ha la speranza di vita più lunga) come un indicatore della
variazione di efficienza nel convertire una risorsa in soddisfacimento
di bisogni, troviamo che l'efficienza di conversione risorse/bisogni
soddisfatti è migliorata in USA del 10% negli scorsi 20
anni. La dovremmo migliorare del 75%. In altre parole l'ipotesi
verde-ambientalista richiederebbe che in un lasso di tempo ragionevole
si riuscisse a fare 7.5 volte meglio di quanto abbiano fatto gli
USA in questi ultimi 20 anni. In questo senso, gli altri paesi,
nello stesso periodo, hanno addirittura peggiorato la loro efficienza
di conversione risorse/bisogni soddisfatti, oppure hanno incrementato
i bisogni (cfr. tab. 1). Il fatto che chi meno consumasse 20 anni
fa tenda a consumare di più, non lascia sperare che l'ipotesi
verde-ambientalista sia facilmente praticabile in concreto.
Tab. 1 - Consumi energetici pro capite in alcuni paesi
(elaborazione di dati tratti da: "L'état du monde
1994", Éd. La Découverte, Paris)
TEC / ab anno '70 | TEC / ab anno '90 | Tendenza a ridurre (segno -) o ad aumentare il consumo energetico rispetto a 20 anni prima | |
3) Ipotesi tecnocratica. Estendere a tutti il modello di
vita dei paesi più ricchi, insegnando come si fa. Basta
trovare 4 volte tanto petrolio, 4 volte tanto ferro, ecc. 4 volte
tanto di tutto. Bisognerebbe, in sostanza, pensare di sostenere
un carico ambientale 4 volte più oneroso. Pari a quello
che produrrebbe una popolazione di 22 miliardi di persone che
fosse simile, come composizione e stili di vita, a quella attuale.
Vi sono, poi, altri due scenari non equilibratori:
1) Erigere barriere e mantenere le differenze e le tensioni, per
quanto possibile.
2) Accettare che le cose si evolvano secondo i rapporti di forza
di volta in volta esistenti tra i molti soggetti che interagiscono,
senza pensare di avere piani, soluzioni o strategie globali, soprattutto
se non si ha la forza di sostenerli e di imporli agli altri, volenti
o nolenti. (Ogni piano è un atto di imperio ed è
efficace solo se chi lo produce ha la reale forza morale e materiale
di imporlo. Se no, è meglio che se ne astenga, e ridimensioni
le sue velleità).
Questi, e i loro eventuali mix compatibili, sono gli scenari economici complessivi prospettabili. Tutto ciò nell'ipotesi ottimistica, ma inverosimile, che la popolazione mondiale smetta improvvisamente di crescere e rimanga stabile sui 5.5 miliardi.
Fintanto che non introduciamo il concetto di limite delle risorse, possiamo sostenere impunemente sia l'espansione dei nostri desideri e della nostra discendenza, sia l'estensione generalizzata di quelli che ci paiono diritti di tutti, mentre sono solo la proiezione dei nostri buoni sentimenti. Ma quando introduciamo la maledizione del limite, dobbiamo passare da un atteggiamento espansivo e progressista ad un atteggiamento ripartitivo. Così la 'espansione verso nuovi mercati' diventa inesorabilmente: se tu vendi i tuoi prodotti, io non vendo più i miei. Il 'diritto allo sviluppo' diventa: se il petrolio lo brucio io, non lo bruci tu; perché, se anche ce ne fosse per tutti, forse mancherebbe l'aria per smaltirne i fumi. Il 'diritto al lavoro' diventa: se lavoro io, non lavori tu. Il 'diritto alla salute' diventa: o curo un vecchio, o curo due giovani; o curo un malato più grave, o ne curo quattro meno gravi. Il 'diritto alla vita' diventa: è meglio far nascere e vivere un bambino europeo, o far nascere e vivere sedici bambini africani. Eccetera.
Ecco che allora gli individui si aggregano, formano le etnie. L'etnia dei ricchi di denaro e l'etnia dei poveri di denaro. L'etnia dei ricchi di conoscenze e l'etnia dei poveri di spirito. L'etnia di quelli nati per caso qui e di quelli nati per caso là, a Nord o a Sud di qualcosa. L'etnia di quelli che ci sono simpatici e l'etnia di quelli che ci sono indifferenti. L'etnia dei giovani e l'etnia dei vecchi. L'etnia dei percettori di reddito e l'etnia dei senza lavoro. L'etnia di quelli dentro l'apparato e l'etnia di quelli fuori. L'etnia di quelli che hanno una certa concezione di Bene Comune e l'etnia di quelli che ne hanno un'altra. Si formano profili astratti a cui ciascuno sente di aderire per poter accampare i diritti di quella etnia, che sono sempre proclamati diritti, o verità, universali. Perché, se no, si insinuerebbe il tarlo del dubbio, e sarebbe un disastro per l'intera etnia solidale.
Temo che, per via dei limiti alle risorse, non esistano diritti, ma solo conflitti. So di violare un tabù. Forse il solo che abbiamo ancora. I diritti, i valori, esistono soltanto proclamando l'adesione ad una creduta etnia. Ma allora, cosa si può fare, chiederebbe un fervente razionalista, ansioso di far valere il principio di ragione nel progettare il Bene Comune. La mia risposta è lapidaria: nulla. Aspettare la carestia e la peste.
'Mors tua, vita mea'. Sempre più in senso letterale, oltre che metaforico.
Forse conviene ripensare il pensiero cristiano e socialista come inconsistente, fuorviante e inadeguato a render conto di ciò che accade. I seguaci di Cristo possono sostenere impunemente quanto dicono solo sottraendosi al confronto con i fatti, inventandosi un Aldilà infinito e un corredo di consolazioni. Senza queste cose, per i socialisti (sia quelli scientifici che quelli al naturale) è ancora più dura.
Più banalmente, riesce più comprensibile pensare che gli uomini funzionino come ha tentato di dire Charles Darwin; e cioè come tutti gli altri esseri viventi. Si riproducono dando origine ad esseri simili, ma non identici. Il loro potenziale riproduttivo eccede il numero degli individui che sopravvivono. Sopravvivono e lasciano più discendenti gli individui più adatti alle condizioni ambientali che si trovano ad affrontare. Condizioni ambientali diverse favoriscono la propagazione di individui con caratteristiche diverse. In questo modo si trova sempre qualcuno che occupa gli spazi che offrono meno resistenza. Inoltre, questo meccanismo spiega la continua produzione di differenze.
D'altra parte, la visione cristiana del mondo ha cominciato a subire qualche modesto scossone con il modo galileiano di guardare ai fatti della fisica. Il successivo scossone, fatale, lo ha subito da poco più di un secolo in qua, con gli sviluppi fecondi del darwinismo. L'ultimo, definitivo, lo sta avendo in questi anni, ad opera delle recenti ricerche neurobiologiche e computazionali sul funzionamento dei sistemi nervosi e dei cervelli.
Queste ricerche cominciano a mostrare l'inconsistenza di qualsiasi teoria dell'anima, o dello spirito, o della mente, disgiunta dalla 'macchina' che la produce, il cervello-organismo, frutto del processo evolutivo. Sembra proprio che il pensiero (inteso come attività cerebrale di cui quella cosciente e autoriflessiva è solo una frazione molto piccola) passi da un cervello all'altro per via genetica e per via sensoriale, in virtù del fatto che, attraverso questi due super-canali di comunicazione, i cervelli di soggetti diversi si costruiscono e si dispongono in stati analoghi, ma non identici. C'è chi, contemplando la propria attività cosciente, ha creduto che quella cosa lì fosse il pensiero e potesse esistere 'in sé', chiamandolo 'anima' o 'spirito' o 'mente'. In un impeto di narcisismo, ha scambiato questa attività, evolutivamente recente, per il centro, per la finalità verso cui tutto doveva tendere. Invece questa attività cosciente, 'razionale', funziona solo se, quando e in quanto produce visioni che procurano un vantaggio nella competizione con gli antagonisti, mentre non funziona se produce visioni fuorvianti. Essa è uno dei fattori che possono migliorare o peggiorare l'idoneità (la 'fitness') all'ambiente in un certo momento storico. Probabilmente, chiedersi perché, o per quale fine, esistiamo, oppure chiedersi cosa siano il bene e il male, è frutto di una allucinazione, una domanda destinata a restare senza risposta: un inganno della coscienza. Come esistono inganni del linguaggio, o illusioni ottiche. Ma non vorrei divagare.
Il velo, alla fine, è squarciato. Qualcuno vorrà provare a rammendarlo, ma non potrà illudersi che il rammendo non si veda.
Così, di etnia in etnia, ogni Socialismo (inteso come progetto di Bene Comune), quando viene illuminato dai limiti delle risorse, finisce sempre per mostrarsi, fatalmente, come nazionalsocialismo. Fine di una bella favola. O di un incubo.
Bruno Caudana
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