E se fossimo già tutti dei Rambo, inconsapevolmente ?

Mi riferisco all'articolo di Francesco Alberoni sul Corriere della Sera di Lunedì 30 Agosto 1993, classica casuale goccia che fa traboccare il vaso. Articolo di cui non condivido nulla, così come trovo sia diventato fastidioso il proliferare di moralisti petulanti che pontificano di Valori da cui far discendere i Comportamenti. Costoro non si contentano di praticarli, cosa legittima, anzi inevitabile. Pretendono invece, trovandone forse la pratica troppo faticosa, di legittimarli teoricamente, con il risultato, spesso, di alimentare illusioni integraliste inconsistenti o puri giochi di parole. Curiosamente, ma non tanto, per tutti costoro (lungo la china di destra, di centro e di sinistra, nostrani e di importazione, tra i 'Mercato Sì, Mercato No', i 'Guerra e Pace', ecc.) a rovina del mondo si accanirebbe il fantasma del Nemico Innominabile, tale Charles Darwin, Cappellano del Diavolo.

Guarda caso, essi sono in gran parte tutti più o meno vedovi o fedeli sposi, loro sì, di qualche ideologia che non ha funzionato o che mostra la corda alla prova dei fatti, e condividono tutti una formidabile repulsione per qualsiasi ragionamento sia sospettato di provenire dal pensiero scientifico. Capisco che, a volte, le conseguenze di alcuni ragionamenti che di lì vengono non facciano piacere. Ma eluderle non serve a fare chiarezza.

La teoria dell'evoluzione degli organismi viventi per mezzo della selezione naturale, o evoluzionismo, è riassumibile in 5 proposizioni:

  1. Riproduzione. Popolazioni di organismi che si riproducono generano popolazioni di organismi simili.
  2. Eccedenza di capacità riproduttiva. Il potenziale riproduttivo della popolazione progenitrice supera sempre di gran lunga il numero effettivo dei suoi discendenti.
  3. Diversità. I membri di una popolazione sono sempre diversi; la maggior parte di questa diversità è trasmessa ai discendenti (ereditarietà), ma occasionalmente si producono mutazioni indipendenti.
  4. Selezione ambientale. Lo spazio e le risorse ambientali sono limitate, tali da far sorgere competizione tra gli individui di una popolazione e tra le diverse popolazioni. Gli individui che possiedono caratteristiche favorevoli, di qualsiasi genere, tendono a competere con maggior successo e lasciano più discendenti di altri individui meno favorevolmente dotati.
  5. Divergenza. L'ambiente varia nel tempo e da luogo a luogo per cause qualsiasi, compreso l'effetto dell'attività delle popolazioni che vi sono insediate. Le variazioni ereditabili che sono particolarmente adatte ad un certo ambiente verranno favorite dalla selezione in quell'ambiente. In questo modo le popolazioni divergono e si differenziano, man mano che diventano più adatte a vivere in un dato ambiente.

Come si vede, non è una teoria scientifica forte, perché non consente di fare previsioni su cosa avverrà, dove avverrà, quando avverrà e come avverrà. Inoltre si presta con difficoltà ad essere falsificata perché è quasi una tautologia e tratta di fatti irripetibili. Non possiamo disegnare un esperimento ripetibile che falsifichi la teoria perché qualsiasi esperimento interagisce con l'ambiente e il successivo non può avere le stesse condizioni iniziali. In questo senso si tratta di una teoria interpretativa dei fatti accaduti, più simile alla storia che alla fisica. Tuttavia essa individua e delimita un contorno all'interno del quale certe cose hanno senso mentre altre no. Propone un programma di ricerca. Individua un 'fuori' inconsistente. Pone dei vincoli ai gradi di libertà della parola. Inoltre non è affatto un dogma, e chiunque può sostituirla in ogni momento con una teoria più potente che, in modo più parsimonioso e semplice, dia conto almeno degli stessi fatti.

Provo a fare un esempio di questo concetto, che è anche direttamente legato alle proposizioni 2 e 4. Supponiamo che, per l'allungarsi della vita e il ridursi della mortalità infantile, sul pianeta si produca un aumento della popolazione umana. La teoria non è in grado di dire se si troveranno nuove risorse, dove e in quali forme i conflitti per le risorse si manifesteranno, e, in generale, quali organismi e quali comportamenti possono essere più adatti. Ma può dire che non si ridurrà la pressione selettiva se la popolazione aumenta e non si trovano nuove risorse. Non è una previsione, ma individua un campo di possibilità inconsistenti. E precisamente: che la popolazione possa aumentare indiscriminatamente e che, contemporaneamente, non si acuiscano i conflitti in assenza di una espansione delle risorse che ciascuno percepisce come necessarie.

Proprio come nel caso di un serbatoio d'acqua. Stando ad alcune considerazioni intuitive di fisica elementare (e cioè che se si aggiunge acqua in un serbatoio il livello dell'acqua tende a salire), se in un serbatoio si chiude il rubinetto di uscita e si apre quello di entrata, il livello dell'acqua tende a salire. In assenza di una teoria più potente e di più informazioni, non possiamo dire di quanto salirà, con che andamento, ecc. Tuttavia è inconsistente pensare che il livello dell'acqua possa scendere. Solo un matto può dire che tenderà a scendere. Può dirlo perché le sue parole sono soggette a meno vincoli di quanti ne abbia l'acqua nel serbatoio; e, comunque, la cosa è irrilevante per l'acqua, che continuerà a salire. Se poi per caso uno non è matto, e ha previsto che scenderà, allora farà meglio a rivedere le sue teorie contraddette dai fatti.

Se qualcuno avesse dei dubbi sul ruolo che la disponibilità di risorse gioca nella dinamica delle popolazioni anche umane, può riflettere sul seguente argomento. È possibile che la improvvisa espansione della popolazione umana degli ultimi 100 anni dipenda dal fatto che abbiamo imparato, in modo sostanzialmente improvviso rispetto alla nostra storia evolutiva, a sfruttare in modo massiccio l'energia fossile accumulata sul pianeta. Certo la correlazione tra i due fatti è strettissima, e la direzione nella successione tra di essi depone a favore di una sospetta causalità. Ma più banalmente: si pensi a cosa succede quando vengono a mancare irrimediabilmente risorse alimentari sufficienti.

Le 5 proposizioni indicano anche le condizioni sufficienti perché un organismo sia annoverabile tra gli organismi viventi oggetto della teoria. E cioè: che esso sia immerso in un ambiente non infinito da cui trae risorse per la sua attività e che sia potenzialmente in grado di riprodursi, cioè possa dar origine, come effetto della sua attività, ad organismi simili ma non identici che condividono lo stesso ambiente.

Secondo la teoria, il conflitto tra organismi viventi risulta essere una conseguenza ineliminabile. Quando il conflitto sembra non manifestarsi è perché si è realizzata una coalizione temporanea tra individui o gruppi. Il conflitto è nullo se misurato rispetto ai certi parametri, esiste se misurato rispetto ad altri. È una questione di prospettiva da cui si guarda. Cioè banalizzando: io non sono in conflitto con te e tu non lo sei con me perché insieme lo siamo con una terza parte e da questa coalizione entrambi traiamo vantaggio (conflitto nullo rilevato rispetto alle prime due parti, ma conflitto rilevabile rispetto alle loro prede o predatori). Si può anche pensare ad una coalizione di tutti gli esseri umani. Essa sarà comunque in conflitto contro i suoi predatori e le sue prede (virus, batteri, animali, uomini 'devianti', ecc.).

È compatibile con la teoria supporre che si formino gruppi di individui accomunati da omogeneità di interessi, quando gli aspetti coesivi superano gli aspetti conflittuali. Ciò porta alla formazione di società di individui omogenei, alla formazione di gruppi complementari, ecc. Salvo rimettere tutto in gioco quando si alterano le condizioni ambientali.

Sono fondamentali i ruoli della Diversità (3) e della Eccedenza di capacità riproduttiva (2). Il primo consente la sperimentazione di vie inesplorate nella ricerca della adeguatezza alle condizioni ambientali. Il secondo consente di mantenere alta la pressione selettiva e di far sì che ci siano sempre individui pronti ad occupare gli spazi che offrono meno resistenza.

La teoria dell'evoluzione non stabilisce il Bene e il Male in astratto; non si pone il problema di cosa sia giusto. Nella lotta per la vita nessuno può pensare di essere sia un giocatore sia l'arbitro che stabilisce le regole per giudicare che cosa sia più adatto. La valutazione di che cosa sia più adatto è il risultato di una interazione tra ciascun organismo vivente e l'ambiente. Ciascuno dei giocatori può stabilire un bene e un male che valgono localmente. Il bene sarà ciò che viene percepito come portatore di vantaggio, il male come portatore di svantaggio. In questa operazione si possono compiere errori di prospettiva: ritenere un vantaggio quello che l'interazione con il contesto bollerà come inadatto, e viceversa.

Per Contro. Nessuno può fare a meno di scegliere il proprio bene e il proprio male. In quanto vivente, nessuno può scegliere di non essere un giocatore, ma di essere l'arbitro. Nessun essere vivente può mettersi astrattamente fuori dei conflitti e fuori dal gioco. Nessun individuo o gruppo di organismi viventi può aspirare a diventare esso stesso il meccanismo di regolazione. Perché per farlo dovrebbe poter controllare tutti i parametri dell'ambiente, e questo escluderebbe che anche un solo altro individuo esistesse. Un tale organismo sarebbe la totalità e non sarebbe più oggetto della teoria.

Di qui: nessuna strategia di sopravvivenza è a priori migliore di un'altra, ma lo è solo in modo contingente, 'storico'. Lo può essere localmente, in quanto la sua interazione con l'ambiente circostante, con le risorse e con gli antagonisti è vincente in quel momento; perché funziona meglio qui e ora. Il compito di individuare quale comportamento incontri la minima resistenza e stia nei vincoli percepiti spetta alla progettazione delle azioni. Esso è sempre un compito soggettivo, storico, relativo, contestuale e pilotato dagli errori compiuti. E l'ingegneria, in senso lato, può essere considerata l'arte di arrivare con efficacia ad individuare quelle azioni.

La teoria dell'evoluzione mediante selezione naturale non individua e non prescrive comportamenti più efficaci di altri. Nella fattispecie, l'evoluzione degli organismi viventi che ci sta sotto gli occhi ha prodotto soluzioni morfologiche, funzionali e comportamentali di adattamento all'ambiente diversissime tra loro. Sono forme che vanno dalle colonie rigidamente strutturate degli insetti sociali, dove persino la funzione riproduttiva viene delegata ad alcuni individui specializzati, a forme di individualismo sfrenato o a forme di comportamento flessibile e adattivo. Persino la relazione di predazione è ambigua rispetto agli effetti che può sortire. Paradossalmente, si può dire che essere predata dagli intelligenti uomini europei sbarcati in America ha consentito alla patata di conquistare il mondo. Esperimenti al calcolatore che simulano, pur in modo drasticamente semplificato, le condizioni in cui si evolvono gli organismi viventi secondo la teoria evoluzionista, mostrano il sorgere di organismi diversi, alcuni cooperanti altri in conflitto, dai comportamenti sorprendentemente differenti, ma omologhi a quelli di organismi semplici esistenti in natura. Tutti conviventi nel medesimo ambiente e nella medesima epoca, in continuo equilibrio instabile e conflittuale.

Recenti sviluppi nell'ambito della biologia teorica hanno ipotizzato l'esistenza di proprietà degli organismi viventi che ricorrono, non in virtù della selezione, ma in virtù dell'essere proprietà inerenti degli elementi costituenti degli organismi viventi. Queste proprietà sarebbero delle specie di 'universali astorici' e molti aspetti degli organismi contemporanei potrebbero riflettere quelle proprietà generiche proprie dei sistemi che si auto organizzano, sui quali la selezione avrebbe una limitata capacità di causare deviazioni. Gli aspetti studiati sono i fenomeni oscillatori e le costrizioni imposte intrinsecamente dalla struttura del sistema di regolazione del genoma. Questi studi porrebbero un limite alla capacità di azione della selezione naturale nella sua azione di diversificazione degli organismi viventi, ma in ogni caso non ne eliminerebbero il ruolo. Essi prefigurerebbero una sorta di evoluzionismo a tratti, con zone inaccessibili nello spazio delle possibilità evolutive ammissibili dalla teoria dell'evoluzione classica, dettagliandone così meglio i confini.

Volendo, per analogia, estendere al livello macroscopico dei comportamenti umani queste considerazioni, dovremmo perciò attendere gli sviluppi di una sorta di 'etica quantistica' per poter dire qualcosa di più preciso su quali comportamenti, in funzione di quali caratteristiche strutturali degli individui e di quali situazioni ambientali, facciano dirigere gli individui verso centri di attrazione stabile in opposizione alla pressione contrastante della selezione naturale, e dove si situino quei luoghi di transizione brusca verso altri centri di attrazione stabile. In ogni caso, in attesa che una tale etica venga sviluppata e proposta, conviene rimanere nei confini meno dettagliati tracciati dall'evoluzionismo classico, se vogliamo tentare di dire qualcosa di più che nulla sul comportamento degli organismi viventi alla scala degli esseri umani. Così come difficilmente utilizzeremmo concetti propri degli aspetti quantistici della fisica per parlare del livello dell'acqua nel serbatoio, ma ci accontentiamo di ciò che ci può dire la fisica intuitiva.

Per rimanere nell'ambito ristretto dei comportamenti umani, e tornando alla questione di dove stiano i Rambo, pensiamo ai comportamenti derivanti da sistemi di valori in uso in diversi luoghi e epoche storiche. Mi si passi la rozza semplificazione, ma voglio soltanto dare etichette immediatamente riconoscibili ad alcune fonti di pensiero etico di indiscussa influenza sui comportamenti individuali. La civiltà cristiana risulta aver prodotto l'effetto di un Rambo rispetto alle varie civiltà pagane preesistenti in Europa; il Cristianesimo ha soppiantato i sistemi di valori preesistenti nell'America precolombiana, ma il Buddismo si è dimostrato un Rambo più forte, se ha resistito alla sua penetrazione; l'Islam risulta esserlo rispetto alla Cristianità, dove l'ha soppiantata e viceversa; la Riforma Luterana lo è nei confronti della Cattolicesimo dove è sorta e si è espansa; l'Ebraismo e gli ateismi lo sono a macchia di leopardo in alcune nicchie ecologiche. E così via. Quel breve tratto di storia delle civiltà che ci è sotto gli occhi, è pieno di esempi di sistemi di valori che sono entrati in conflitto con quelli preesistenti e circostanti e che si sono affermati con i mezzi più disparati, modificandosi continuamente, mentre altri si sono estinti. È lecito supporre che, dove è prevalso, ciascuno di questi sistemi di valori abbia prodotto comportamenti vantaggiosi nella competizione per l'occupazione dello spazio e delle risorse. Hanno funzionato meglio nel contesto in cui si sono trovati ad agire.

Esistono sicuramente comportamenti comuni tra le varie popolazioni umane, e si ritrovano valori comuni. Ma va ricordato che le popolazioni umane sono tutte interfertili tra loro, a riprova di quanto geneticamente prossime esse siano e quanto cammino evolutivo condividano. Certo che alcuni valori, soprattutto quelli che ci appaiono più nobili e appagano il nostro narcisismo, ci sembrano assolutamente validi. Ce li siamo dati noi nel corso della nostra evoluzione: ne siamo il prodotto. Ma cosa succede se si prova ad estendere coerentemente e completamente l'applicazione dei nostri nobili ideali nel rapporto con esseri viventi geneticamente appena un po' più distanti (animali, vegetali, batteri, virus), nella speranza di dimostrare che la teoria dell'evoluzione non funziona? In molti casi non si potrebbe neppure tentare. Ci penserebbe il nostro sistema immunitario ad intervenire, in contrasto vincente con le intenzioni del nostro cervello. E poi: provi, Alberoni, ad andare a predicare pietà per il virus dell'influenza spagnola presso i parenti dei 22 milioni di morti che fece in pochi mesi. Con questo non voglio fare un elogio della spietatezza, ma cerco di dire che, probabilmente, quelli che riconosciamo come nobili sentimenti fanno parte di un bagaglio comportamentale che si è evoluto con noi e che applichiamo utilmente in circostanze ristrette e definite. Il difetto sta nel generalizzare a vanvera. E di fronte ad individui che mettono in gioco molto di sé, come nel caso di un conflitto, se si è distanti e non direttamente coinvolti, forse è più proficuo chiedersi mille volte come e perché ciò avviene, piuttosto che fare prediche.

Forse sta anche nel constatare la impossibilità di definire in modo assoluto una norma etica il nocciolo della morte dell'ideologia di cui parlano, con fatica, gli intellettuali tanto deprecati da Alberoni e da altri che farebbero volentieri roghi di certi libri.

Mi dispiace per Alberoni, ma il concetto di selezione naturale non è una «nuova ideologia che si presenta con una grande pretenziosità scientifica». E non è neppure un «insieme di credenze», intercambiabile ed equivalente, che so, alla fede negli oroscopi. Esso è soltanto una delle 5 proposizioni di un quadro teorico semplice e potente che unifica molti fatti rilevanti per tutti gli organismi viventi di cui, sarà pure una mia convinzione, gli uomini fanno parte, dal momento che come gli altri, almeno, si riproducono. Ed è neutro rispetto ai valori e ai comportamenti che si adottano. Alberoni, e chi con lui, non può prendersela con il concetto di selezione naturale se i comportamenti che gli sembrano prevalere non gli piacciono. Li combatta e basta, se crede. E, sia che vinca o perda, non si illuda di aver riportato la Vittoria o la Sconfitta Finale.

Certo, nessuno è obbligato ad accettare dogmaticamente la teoria evoluzionista. Può anche credere che l'uomo è un'altra cosa, che all'uomo non si applica, ecc. Ma poi deve anche trovare un'altra teoria che spieghi, in modo altrettanto semplice, unificato, comprensibile e funzionante, tutti i fatti rilevanti per gli organismi viventi che, grazie all'evoluzionismo, hanno trovato un inquadramento. A cominciare da tutte le branche della biologia degli ultimi 150 anni almeno; dalla medicina alla geologia, alla paleontologia. E deve fare i conti con una teoria che, pur essendo una labile costruzione del pensiero umano, è stata densa di sviluppi fecondi, tra cui avere informalmente ipotizzato l'esistenza di un meccanismo di trasmissione dei caratteri ereditari, così come è stato poi scoperto fisicamente quasi 100 anni dopo con il DNA di Watson e Crick, che regola il funzionamento di tutti gli esseri viventi, dai virus all'uomo.

Uno può rifiutare di vedere che la Terra gira intorno al Sole; e può anche avere ampio credito presso la sua comunità. Questo però non influenza minimamente il fatto che, pur con tutti i limiti di prospettiva teorica con cui guardiamo a questo fatto, la Terra abbia girato e continui a girare intorno al Sole, indifferente a qualsiasi giro di parole.

Bruno Caudana

9 Settembre 1993      [ Back to Main Page ]


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