Incontro con Leonardo Gorgoglione

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Ci sono buone notizie!

Questo romanzo è stato recentemente pubblicato dalle Edizioni Lulu.com  insieme a 90° parallelo - Il ricatto del diavolo (2008), che narra una storia d'amicizia profonda ed assoluta ai confini del mondo. Freschissima di stampa è anche la raccolta di poesie giovanili Vecchi Cocci
Saranno graditi i commenti dei lettori!

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Sono nato a San Giovanni Rotondo il 4 agosto 1956 e svolgo qui il mio lavoro di Neurochirurgo presso l'Ospedale 'Casa Sollievo della Sofferenza' (Istituto di Ricovero e cura a Carattere Scientifico voluto da S. Pio da Pietralcina). Dedico la maggior parte del mio tempo al mio lavoro e il resto alla famiglia. Ho la passione per le moto da corsa e per tutto quello che offrono il mare e la mia terra garganica. Ho da sempre scritto poesie che puntualmente ho cestinato il giorno dopo. Ho scritto sempre e solo per me stesso, ma ho raccontato sempre e solo dell'amore che ho per gli altri.

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La finestra sul mare

Prefazione

Antonio si ritrova a settantaquattro anni ad una svolta nella sua vita. La sua esistenza viene messa in discussione.
In Ospedale, dove si trova in attesa di essere sottoposto ad un trapianto cardiaco, ripensa al passato e, in quei momenti di ansia vissuta nell' attesa, rivive gli amori e le passioni di un tempo. Affida al suo cuore il compito della narrazione e rivive con dolore quei momenti che precedono il momento del distacco. Pensa al suo cuore come ad un contenitore dei sentimenti.
Ricorda solo alcuni momenti della sua vita e questi non sempre sono quelli più conosciuti e visibili.
Affiorano perciò durante la narrazione episodi torbidi e sottaciuti, oscuri frammenti di storie passate.
Affiora il ricordo di un amore vissuto nella penombra che ad una nuova rivisitazione assurge, con dignità, a 'grande amore'.



Da ragazzo ricordo il suono della sirena che annunciava i bombardamenti. Mi nascondevo sotto il letto grande di mia madre e ridevo come un ebete perché lei andava in cerca immediatamente della corona del rosario e cominciava a farfugliare cose incomprensibili.
"Rimani lì!" mi urlava, "rimani lì!" continuava a dire fino a che udiva il rombo degli aerei.
Mi addormentavo sempre prima che tutto fosse finito. Poi mi tirava su e mi portava a dormire nel suo letto.
Mia madre era magrissima e aveva un aspetto triste. Sembrava che nella sua vita fosse stata privata delle cose più banali. Non mi ha mai raccontato di lei e ho avuto sempre l'idea che non ne volesse parlare. Sorrideva molto raramente e subido dopo che l'aveva fatto sembrava pentirsi per essersi lasciata andare. Era una donna molto concreta, non incline a smancerie e fantasticherie.
Mio padre, credo di averlo conosciuto solo in fotografia. Ho di lui solo un vago ricordo, sostenuto continuamente da mia madre che, a rate, mi riproponeva l'unico episodio che aveva in memoria. Mi raccontava periodicamente la stessa storia di quando, appena nato, lui mi teneva orgogliosamente in braccio e mi baciava fino all'ossessione, lasciandomi i graffi della sua barba incolta sul viso. Quella banale reminiscenza era tutto quello che sapevo di mio padre.
Non credo ci avesse mai spedito una lettera; non sapeva scrivere e poi, mia madre non l'avrebbe saputa leggere. Le notizie su di lui ce le dava una vicina che aveva anche lei il marito emigrato in America.
Nella foto che ci aveva spedito dall'America, mio padre, appariva con baffi lunghi e portamento austero, severo nei modi e con uno sguardo profondo. Così era anche nella mia mente. La foto era ingiallita e sgualcita, ma ben fatta; forse realizzata in uno studio fotografico e aveva un paesaggio finto come sfondo. In basso, sul bordo bianco ritagliato come fosse un merletto, c'era scritta a mano una dedica. Diceva:
'Ti penso tutte le notti, arrivederci a presto, da tuo marito'.
Mia madre pianse per una mattina intera, tenendo in mano quella foto, e il giorno seguente mi disse:
"Antonio, vieni qua, devo dirti una cosa" aveva gli occhi gonfi e un sorriso sforzato sulle labbra.
"Lo sai, tuo padre non torna più. Resterà per sempre in America"
"Perché, non ci vuole più bene?" le chiesi deluso.
"No, no! Lui ci vuole adesso ancora più bene. Ci guarda da lassù"
"Allora è morto?"
"Si, piccolo mio. E' morto" disse piangendo e abbracciandomi allo stesso tempo.
"Com'è morto?" le chiesi, senza tradire emozione e con la paura di intristire mia madre.
"Ha avuto un incidente sul cantiere, mentre stava lavorando. Tu devi sempre ricordarlo. Lui ti voleva molto bene".
Di mio padre ora mi rimaneva solo quella foto.

Abitavo con mia madre in un piccolo paese non distante dal mare. Era un posto bellissimo, povero, ma felice. Le case erano tutte incastrate le une alle altre in un intersecarsi infinito di scale di pietre, tetti rivestiti di coppi e gerani rossi. La gente era allegra, rumorosa e invadente. Entrava in casa senza bussare, ma solo scostando la tenda di corda all'uscio, e lasciava sul tavolo i dolci che aveva preparato in occasione di una festa. Gente che quando non aveva da mangiare si sedeva con te a tavola e si rimpinzava di pane, fave e formaggio.
Il paese si era sviluppato tutto intorno alla grande fontana antica. La fontana era al centro della piazza dove gli olmi centenari avevano nascosto il cielo e dove in primavera si fermavano le rondini a vociare festose.
Quando la scuola terminava, con mia madre ci trasferivamo appena fuori mano, in campagna. Dalla nostra casa in campagna vedevo il mare azzurro fondersi all'orizzonte con i campi dorati.
Erano quelli i miei giorni di vacanza, quelli trascorsi in campagna. Le mie giornate estive duravano quanto durava la luce del sole. Vestivo come capitava, ma sempre con i calzoncini corti, e facevo combutta con tutti i ragazzi della mia età. Trascorrevo con loro ore ed ore a giocare con quello che eravamo riusciti a costruire con ingegno e con i materiali a disposizione.

La guerra non mi faceva paura a quel tempo. Nel piccolo paese dove abitavamo, a dire il vero, la guerra era poco presente e l'unico rumore che ce la faceva ricordare era quello insistente e ossessivo delle sirene. Il coprifuoco significava per me solo un gioco che si concludeva con una buona dormita nel letto materno.
Mia madre non era incline a farmi le coccole di cui, a quel tempo, sentivo il bisogno; anzi, da bambino mi capitava di pensare che quella donna non doveva essere nemmeno mia madre. La vedevo troppo distratta e non mi prestava le attenzioni che le richiedevo. Mi sgridava se era nervosa o se mancavo per troppo tempo da casa.
Forse era una donna che aveva dovuto subire grandi dolori. Il suo atteggiamento pareva quello di chi non riesce ad amare per non soffrire un eventuale abbandono. Si era sposata ed era diventata madre a diciotto anni. La prima figlia, mia sorella, era morta di tubercolosi che era ancora una bambina. Ho saputo di avere avuto una sorella solo dopo la morte di mio padre. Solo allora ero stato giudicato in grado di comprendere la morte e mia madre mi fece partecipe del dolore che fino a quel momento era stato solo suo.

Mia madre era irremovibile su alcune argomentazioni. Una di queste era la necessità di frequentare la scuola. Fu così ostinata da obbligarmi a proseguire gli studi senza sentire mai la mia opinione. Mi viene in mente chiaramente il giorno in cui vendette il fucile da caccia di mio padre.
"Ricordati che questo è un impegno che prendi con tuo padre!" mi ripeteva. "I soldi che ricaveremo da questo fucile serviranno per farti studiare".
Provai quel giorno un grande amore per mia madre, ma solo perché aveva deciso di disfarsi di uno strumento di morte. Avevo sempre odiato l'idea che mio padre andasse a caccia di animali per ucciderli.
Eppure, anche oggi la guerra è tornata a sporcare il mondo. La guerra è ritornata, come una brutta malattia, a sporcare le nostre vite. Sempre la stessa storia, di potere, di interessi, di odi atavici e di intolleranza. L'uomo ad annientare i suoi simili con l'arroganza di credersi nel giusto.
Occidente e Oriente. Il sole li riscalda entrambi in successione. Ruotano insieme come fossero sulla stessa giostra. Eppure tra loro vogliono annientarsi.
Ripenso alle parole di mia madre e al suo gesto. Il fucile barattato con la scuola. La conoscenza che guarisce la violenza. Allora quel gesto significava per me la fine della guerra.
Che tristezza la guerra. E' la prova più tangibile della stupidità dell' essere umano.
La guerra è una punizione di Dio.
Credo che da quel giorno cominciai ad amare mia madre e la sua forza interiore. Da quel giorno capii che lei era anche mio padre e che io stavo crescendo.

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[Autori]

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