Pittori piuttosto pittoreschi

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Una godibilissima raccolta di ventun racconti dedicati ad alcuni fra i più grandi nomi della pittura occidentale, quest'opera prima di Massimo Zanicchi; una galleria che ritrae gli artisti nella loro quotidianità, reale o fittizia che sia ma comunque verosimile per quanto ci è concesso di sapere della loro produzione creativa, del loro vissuto e delle loro personalità. Spesso mordace, a tratti addirittura cinico e impietoso come un caricaturista, l'Autore coglie i pittori nelle loro caratteristiche più spiccate, nelle loro debolezze, vizi, paure, ossessioni, ed il suo stile narrativo, fluido ed accattivante, che non perde mai il ritmo e stimola continuamente la curiosità del lettore, senza tempi morti, sa rendere perfettamente credibili, per non dire reali, anche gli aspetti che possono ricondursi alla pura invenzione come espediente letterario. Ed incontriamo così, nel racconto "Il titolatore", un Salvador Dalì affetto dal suo proverbiale narcisismo che si appropria di idee e concetti non suoi, ai quali deve poi tutto il suo successo; oppure c'imbattiamo nella testardaggine ottusa di Gauguin, che alla fine deve capitolare, ridimensionando se stesso, di fronte al pragmatismo senza peli sulla lingua dettato dal buon senso pratico e casalingo della moglie; o nello spirito vendicatore di un perfido Rembrandt, che dall'alto della sua posizione di Maestro si può permettere di bistrattare e beffare i suoi modelli paganti, disposti ad indebitarsi fino al collo pur di farsi ritrarre. Neppure un Picasso alla fine dei suoi giorni viene risparmiato, ridotto ad una caricatura di se stesso e vittima della propria vanità, o Andy Warhol, incastrato come un fesso nell'anonimato dal suo stratagemma di comodo per calare dignitosamente il sipario sulla propria vita pubblica. Allo stesso tempo, il lettore non può che intenerirsi di fronte ad un povero Monet decrepito e senile, oramai completamente privo della memoria recente e condannato a reinventare quotidianamente e da zero il presente, facendo tutte le mattine tabula rasa della propria vita, riesumando ogni giorno come se fosse il primo - ma ovviamente anche l'ultimo - annullato com'è dall'oblio di sé, e ridipingendo nella stessa identica maniera, credendolo nuovo, il medesimo soggetto appannato dalla cataratta.
Più volte nei racconti compare il tragico personaggio di Van Gogh, e in alcuni sembra quasi assuefatto al dolore oppure apparentemente ignaro della propria cupa disperazione; talvolta egli è solo un personaggio secondario, altre invece protagonista sopravvissuto a se stesso in un presente che più non gli appartiene e che neppure lo riconosce. Ma il più toccante, e forse anche vero, è il suo ultimo incontro, da lui voluto e sicuramente più volte cercato, quello con la morte, che giunge sì, inesorabile, ma non senza prima beffarsi di lui, rallentando i ritmi e conferendo al suo trapasso un tono quasi comico-grottesco, in cui gli verranno ancora goffamente bisbigliate le ultime crudeli verità terrene. E anche sulla copertina del volume, nella riproduzione del bellissimo dipinto di Valentina e Giulia Marzani, "Flebili presagi notturni", è riconoscibile un Van Gogh errante, raffigurato di spalle e solo, affetto da quel morbo incurabile che è l'estro creativo e artistico, che se per alcuni è un dono che porta al successo, alla fama e alla ricchezza, alla felicità e alla realizzazione di sé, per non dire all'autocompiacimento, per altri è un fardello, una vera e propria maledizione senza via d'uscita, da subire ogni avvelenato giorno che ci si risveglia in questo mondo. Perché c'è anche chi è condannato a dipingere col sangue, e lo sapeva bene Van Gogh, che in un momento di profondo odio e disprezzo per se stesso, preso dallo sconforto, volle cancellarsi e si mozzò l'orecchio; e che si dipinge col sangue lo sapeva anche Michelangelo Merisi, che davanti alle offese della sua breve e tormentata esistenza non esitava a sguainare la spada; e pure Ligabue, forse fra tutti il più enigmatico, incompreso ed inaccessibile, sempre pronto a barattare i suoi capolavori con un piatto di minestra, e che con un sasso si martoriava l'odiato volto, fantasma d'un padre ignoto che lo aveva rifiutato, e lo faceva sanguinare fino a storpiarne le fattezze, per azzerarsi e forgiarsi un'altra identità. E più vere e vive che mai sono le sue belve esotiche della pianura Padana, che la notte escono ruggenti dai loro covi e tendono l'agguato. Bellissime, tremende! Esse sono il suo rifugio in una realtà altra, espressione di quell'arte irrinunciabile, dove gli veniva concesso di stravolgere la miseria della propria quotidiana esistenza, tramutando il baratro interiore in creazione sublime.
Perché è proprio vero che anche col sangue si dipinge, e dal dolore sconfinato nascono i fiori più rari e più belli.
All'Autore di Pittori piuttosto pittoreschi il mio sentito grazie per averci regalato questa straordinaria galleria di ritratti.

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Chi è l'Autore?

Massimo Zanicchi, originario di quel lembo di terra in cui Emilia, Toscana e Liguria si arrampicano sulla dorsale appenninica arrivando quasi a sovrapporsi l'una all'altra, nasce alle porte di Milano il 9 aprile 1973. Laureato in giurisprudenza, si occupa di numeri per vivere e di lettere per sopravvivere. Figura fra i soci fondatori dell'associazione culturale Quintomiglio e collabora con la rivista SEMilano. E' sposato da quasi cinque anni con Rita da cui, prima o poi, avrà uno o più figli.

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Vengo adagiato sul letto. Sprofondo appena nel materasso imbottito di lana. Innanzi a me la finestra dell'abbaino fa filtrare l'ultima luce della sera prima che venga spenta dalla notte.
Avverto gran affannarsi intorno a me.
Fisso una delle tante copie di girasoli che ho dipinto. Il suo giallo mi acceca. I fiori li sento vicini come non mai. Ho speso giornate intere cercando di coglierne l'essenza. E solo adesso che mi trovo nelle loro stesse condizioni apprendo ciò che non ero mai stato in grado di intuire. Anch'io sono un fiore reciso. Nel momento in cui viene colto un fiore inizia a morire. Per quanta acqua, attenzione e premura gli si fornisca il suo destino è segnato in modo irreversibile da un paio di cesoie che lo hanno estirpato dal proprio gambo. Proprio come un colpo di pistola esploso in pieno petto.
Mi sono affannato a cristallizzare le forme di vita da me più amate senza rendermi conto della loro agonia. Abbagliato dalla loro solarità non ho percepito le loro grida di dolore. Pensavo di rendergli onore ed invece li ho privati di quell'intimità, di quel riserbo che ogni essere dovrebbe aver garantito di fronte alla propria morte.
Come uno sciacallo pronto ad attingere profitto dalla morte altrui.

Adagiato sul letto con cui ho condiviso tante notti e innumerevoli sogni non posso fare altro che aspettare che la morte prosciughi l'ultima goccia di vitalità come le ho visto fare ad una schiera di girasoli abbandonati in un vaso d'acqua.

Non posso fare altro. Adesso anch'io sono un girasole reciso...

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