La colpa primigenia dell'umanità
La colpa primigenia dell'uomo è di rimanere attaccato, con la sua conoscenza, a ciò che è effimero. In tal modo egli distoglie lo sguardo dall'eterno. La vita diventa il suo pericolo; infatti, tutto quanto gli capita, proviene da essa, ma gli eventi della vita perdono il loro aculeo, se l'uomo non vi attribuisce più un valore assoluto. In tal caso gli viene restituita la sua innocenza: è come se potesse ritornare all'infanzia, sfuggendo alla cosiddetta serietà della vita. Quante sono le cose che l'adulto prende sul serio, mentre il bambino le prende per giuoco! Ma il saggio diventa come il bambino: dal punto di vista dell'eternità, certi valori «seri» perdono il loro valore. La vita può apparire come un giuoco. Perciò Eraclito dice : «L'eternità è un bambino che giuoca, è il dominio di un bambino». In che cosa consiste la colpa primordiale ? Consiste nel prendere con la massima serietà quelle cose alle quali una tale serietà non spetterebbe. Dio si è effuso nel mondo delle cose. Chi accetta le cose senza Dio, le prende sul serio come «tombe di Dio». Egli dovrebbe giocare con esse come un bambino, applicando però la propria serretà a trarne il divino in esse sopito per incantesimo.
La visione dell'eterno agisce sulla comune illusione che si ha delle cose, come un fuoco distruttore. Lo spirito dissolve i pensieri nati dai sensi, li fonde nel suo ardore. È un fuoco divoratore. Questo è il senso più alto del pensiero eracliteo che il fuoco è la materia primordiale di ogni cosa. Tale pensiero va senz'altro preso, in un primo momento, come una comune spiegazione fisica dei fenomeni del mondo. Nessuno però comprende veramente Eraclito, se non pensa di lui quello che Filone, il filosofo che visse negli anni dell'origine del cristianesimo, pensa delle leggi espresse nella Bibbia: «Taluni considerano le leggi scritte soltanto come simboli di dottrine spirituali: e studiano con cura queste ultime, disprezzando invece le prime. Io non posso che disapprovarli, poiché dovrebbero curare le une comc le altre, ricercando la conoscenza del senso nascosto, ma seguendo quello manifesto». Si stravolge il pensiero di Eraclito quando si disputa se col suo concetto del fuoco egli abbia inteso parlare del fuoco sensibile, o se invece il fuoco non sia stato per lui che un simbolo dello spirito eterno che dissolve e ricrea ogni cosa. Egli intendeva entrambe le cose, e nessuna delle due. Infatti per lui anche nel fuoco comune viveva lo spirito. E la forza che opera fisicamente nel fuoco, vive a un gradino più alto nell'anima umana che fonde nel suo crogiuolo la conoscenza dei sensi, per farne scaturire la contemplazione dell 'eterno.
Proprio Eraclito viene facilmente frainteso. Egli afferma chE la lotta è madre delle cose: ma appunto delle "cose", non dell'Eterno. Se nel mondo non vi fosscro contrasti, se non vi operassero gli interessi più opposti, non esisterebbe il mondo del divenire e del perire. In quei contrasti non si manifesta però la guerra, ma l'armonia. Proprio perchè in ogni cosa si trova la guerra, lo spirito del saggio deve scorrere sopra tutte le cose come il fuoco e trasformarle in armonia. Da questo punto risplende un luminoso pensiero della saggezza eraclitea. Che cosa è l'uomo, in quanto essere personale? Per Eraclito il problema trova soluzione proprio da quel punto. L'uomo è un miscuglio di quegli elementi discordanti in cui si è effusa la divinità. In queste condizioni egli trova se stesso; al di sopra, scopre in sé lo spirito che origina dall'eterno. Per lui stesso lo spirito nasce dal contrasto degli elementi, ma deve anche placare gli elementi. NelI'uomo la natura prosegue la sua opera creativa, al di là di se stessa. È infatti la medesima ed unica forza ad avere creato il contrasto, la mescolanza, e a doverli poi eliminare con la sapienza. Ecco dunque l'eterna dualità presente nell'uomo, il suo eterno contrasto fra il temporaneo e l'eterno.
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