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IL SUO VOLTO - 10


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L'emisfero rosa

La vita del prof. Roasenda si svolgeva serena e intensa nello stesso tempo. L'insegnamento gli dava tante soddisfazioni, perché ci si sentiva portato, e poi si trovava tanto bene in mezzo ai giovani, oltre che con i colleghi. Inoltre amava molto leggere e studiare: pubblicò commenti a testi classici, scrisse la biografia di Luigi Baccalaro e una commedia in tre atti, preparò recensioni e ricerche scientifiche; dal 1925 al '40 collaborò anche a varie riviste destinate ai giovani: articoli brevi, è vero, ma non per questo meno impegnativi. Partecipava volentieri alle iniziative della parrocchia e dell'Azione Cattolica; faceva sport, passeggiate, amava stare con gli amici e coltivava le amicizie, fondandole però su interessi e valori comuni, e non sulla differenza di sesso o sulla ricerca del puro divertimento. Soprattutto gli dava tanta gioia la sua grande fede, che lo spingeva alla preghiera e all'apostolato con la parola e i comportamenti. Si sentiva un uomo realizzato e si stava preparando alla docenza universitaria. Per tutto questo forse non avvertì mai come impellente il bisogno giovanile di cercare una donna, a cui dare e ricevere amore.

La scelta

Con il volgere degli anni, anche per le sollecitazioni della mamma e più ancora della sorella Lena, cominciò a pensare seriamente a formarsi una famiglia. Comunque per lui la vocazione fondamentale di ogni uomo è quella di accettare l'amore di Dio e di corrispondervi. Ogni altra vocazione (celibato, matrimonio, sacerdozio, vita religiosa) va vissuta all'interno di quella principale, e sono tutte vocazioni divine. Il matrimonio, ad esempio, ha lo scopo di fondere due cuori in uno e insieme tendere ad unirsi a Cristo. La professione esplicita della fede cristiana lo spingeva alla coerenza negli atteggiamenti e comportamenti per due ragioni: anzitutto per la fedeltà a se stesso e alle proprie convinzioni, poi per evitare giudizi negativi da parte di chi lo riteneva un cattolico praticante. Per questa sua lealtà e il rigore morale riuscì ad evitare gli sbagli così frequenti in gioventù, soprattutto nel rapporto tra uomini e donne. Con il gentil sesso si comportava con cordialità e simpatia, ma sempre in modo molto rispettoso. Ciò è confermato anche da Maria M.M., che per circa dieci mesi fu la sua "fidanzata". Lei racconta che si vedevano spesso e si scambiavano visite in casa, andavano insieme a passeggio e a teatro. Tuttavia "a parte la gentilezza e la estrema correttezza" c'era tra loro "un certo senso di distacco", a tal punto che lei provava "tanto rispetto per lui e tanta ammirazione" ma non amore: "Avevo la sensazione che egli fosse tutto di Dio e Dio gli bastava: non aveva quindi bisogno di una donna". Seguendo l'intuito femminile, nell'ottobre 1940 pose termine al loro "fidanzamento"(1). Due mesi dopo avvenne qualcosa di misterioso: la Vergine Immacolata gli diede una "precisa sensazione fisica", per cui improvvisamente sentì "un disgusto mai provato, intollerabile, della vita comune nel mondo, e contemporaneo un desiderio irresistibile del sacerdozio", cosa che aveva sempre escluso (2). Il Card. Poupard ha così sintetizzato l'esperienza esistenziale di Paolo Roasenda: "Ammirato e stimato da tutti, aveva anche le carte in regola per formarsi una splendida famiglia. Ma, afferrato dall'amore di Cristo, ritenne che nulla valesse quanto il suo amore. Per questo, lasciò tutto e si donò a Cristo"(3).

Un'amicizia speciale

Eppure nella vita di p. Mariano c'è una donna che ritengo lo abbia segnato profondamente. A Torino, nella sede dell'Azione Cattolica annessa alla parrocchia della Madonna del Carmine, il prof. Roasenda nell'agosto 1936 aveva visto per la prima volta una giovane non praticante che improvvisamente chiese di entrare nell'Azione Cattolica. I loro occhi si incontrarono per un istante, e la signorina non dimenticherà più quell'incontro: "Mi fu di segreta ammirazione quel suo comportamento che emanava educazione, finezza e bontà umana delicatissime"(4). Alcuni giorni dopo Leonarda Serra entrava nel monastero delle monache clarisse cappuccine di Torino, prendendo il nome di suor Giuseppina. Dopo 14 anni riuscì ad avere l'indirizzo di p. Mariano e nel 1950 gli scrisse la prima lettera. Iniziò così una fitta corrispondenza che durò fino al 1972. Il cappuccino le indirizzò poco più di 100 lettere, che sono riuscito con una certa fatica ad avere e a leggere nel testo originale. Con trepidazione e curiosità ho analizzato quegli scritti, dai quali traspare con chiarezza l'anima di un uomo innamorato di Dio e proteso alla salvezza delle anime. Ci si trova di fronte ad un p. Mariano inedito, che parla volentieri di sé, del suo mondo spirituale, dei familiari, dei successi e delle difficoltà che incontra nel lavoro apostolico. Il tono è distaccato: la chiama 'Sorella' o 'rev. Sorella' e le dà sempre del 'Lei'; manca quel calore che la sua persona emanava e che si ritrova ad esempio nelle lettere ai familiari; ovviamente non c'è nemmeno l'allegria e la vena scherzosa di alcune lettere alla mamma o ad amici (5). Avendo letto recentemente alcune lettere di s. Francesco di Sales a santa Giovanna di Chantal, del b. Giordano di Sassonia alla b. Diana degli Angiò, di p. Pio a Cleonice Morcaldi, lettere in cui è presente una grande tenerezza, sono rimasto sorpreso e anche un pò deluso per l'estremo riserbo di p. Mariano, che fa pensare ad un rapporto quasi formale. A ben riflettere però, traspare la confidenza e la fiducia che legava le due anime consacrate, perché il cappuccino aveva trovato in lei una persona che condivideva e collaborava generosamente alla sua attività attraverso la preghiera, i sacrifici e le penitenze. Per questo le è tanto grato e le apre il suo cuore sacerdotale, convinto che "i legami spirituali sono i più forti, i più soavi, i più infrangibili". A volte le scrive cose che nascondeva perfino ai familiari, ai confratelli e agli amici più stretti.

Vantaggi spirituali

Dalle lettere del frate suor Giuseppina traeva "maggior luce e serenità di spirito" e ne riceveva tanto conforto per il "duro quotidiano cammino della vita claustrale". Grazie ad esse aveva compreso la sua missione: aiutare spiritualmente i sacerdoti nel loro apostolato. Il pensiero di p. Mariano poi era per lei motivo di ammirazione e di sprone a vivere in pienezza la sua vocazione; infatti il cappuccino "proiettava l'irruzione del divino nella sua persona. Quel saio francescano, quei piedi scalzi in poveri sandali, quella folta ed incolta barba nascondevano ogni residuo di giovanili eleganze, ma dove passava, sereno e sorridente, si poteva vedere Francesco d'Assisi" (6). Dal canto suo p. Mariano ricavava grande utilità dalle lettere della clarissa, magari semplici ma espressive di una vita dedicata a ottenere da Dio la grazia che salva le anime e senza la quale le parole del frate sarebbero soltanto "chiacchiere al vento". Si sentiva "indegnissimo di avere una Sorella spirituale e validissima ausiliaria", per la quale nutriva "viva, fraterna, profondissima riconoscenza", perché il bene che Dio operava per mezzo di un "miserabile cappuccino pieno di boria" era merito di anime che pregavano nel silenzio: "Quando mi elogiano e ringraziano […], io rido dentro di me, pensando a chi non riceve mai un 'grazie' e fa il 90% del lavoro! Ah, come sarà magnifico il mettere le cose a posto nella vera vita: qui tutto è parvenza, illusione e inganno - i veri valori qui nessuno li conosce".
Giancarlo Fiorini
1. Cf. Avevo paura di rubare un prete alla Chiesa, in PPM 5/93, pp. 6-7.
2. Cf. P. Mariano, Francescano e sacerdote per grazia dell'Immacolata, in Pobladura-Bronzetti-D'Alatri, Padre Mariano, Roma 1973, p. 17.
3. P. Poupard, Padre Mariano e il 'comando' dell'amore, in PPM 2/1992, p.8.
4. G. Serra, P. Mariano nei miei ricordi, in PPM 3/1992, p. 15.
5. C'è una sola eccezione: poiché una consorella si era fatta male, il cappuccino scrive: "Le dica che prima di scivolare un'altra volta mi chieda il permesso scritto!". 6 Serra, P. Mariano, cit.

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