LA STRAORDINARIA VITA DEL "SANTO DELLA TV" RACCONTATA ATTRAVERSO LE TESTIMONIANZE E I DOCUMENTI - 1
Riprendo dal settimanale STOP la vita di Padre Mariano da Torino pubblicate ad inziare dal 6 maggio 1972. Mi sembra un "servizio" fatto professionalmente in modo corretto. Anche se con qualche riserva; comunaue interessante a rileggerlòo oggi. R.C.
Nel 19967 sembrava seriamente intenzionato a lasciare la TV italiana. Gli insistenti inviti di altre televisioni europee e persino americane che gli promettevano orari più comodi e maggior tempo a disposizione lo avevano quasi convinto. Tanto più che certi dirigenti della RAI, non contenti di corrispondergli un onorario di gran lunga inferiore a quello - diciamo pure - di qualsiasi cantante, sembravano essersi impegnati a rendergli la vita difficile. Ricevette in quella occasione centinaia centinaia di lettere di malati, ragazze madri, studenti, suore di clausura, bambini, atei e cristiani che lo supplicavano di restare. Un biglietto, giunto da un sanatorio del Veneto, e firmato da 150 malati, più di ogni altro gli diede il coraggio di continuare a lavorare nelle disagiate condizioni di orario impostogli dalla TV. Diceva il biglietto: " Se venisse a mancare la sua voce alla TV, piomberemmo nella disperazione. Lei non lo sa, Padre ma il Signore si serve di lei, per tenere su lo spirito di tanti sventurati come noi. Lo chiediamo alla direzione TV: per quanto avete di più caro, non ci togliete la voce che consola veramente al nostra quotidiana sofferenza". Oggi, Padre Mariano, non è più. Migliaia e migliaia di uomini e donne di ogni età e fede religiosa chiedono e non ottengono di rivedere il caro volto, di risentire le parole di "Pace e Bene" del cappuccino "santo". Anche la sorella, gravemente malata e che difficilmente si rimetterà dalla prostrazione in cui l'ha gettata la morte prematura del fratello, ha scritto una semplice e commovente lettera in via Teulada per implorare la TV di poter ancora risentire e rivedere il caro volto. Al nostro giornale arrivano decine e decine di lettere al giorno che ci chiedono di farci promotori di una raccolta di firme per indurre la Direzione della TV a rimettere in onda le conversazioni del Frate. Abbiamo così voluto rendere un servizio ai lettori e alle lettrici di Stop, invitando un nostro collaboratore a scrivere una breve biografia dell'indimenticabile amico che per 17 anni ci ha tenuto compagnia, alleviando dal piccolo schermo i nostri dolori e le nostre pene. Abbiamo dati l'incarico al professor Nazzareno d'Errico, cristiano impegnato nell'insegnamento della religione ai giovani, ammiratore di Padre Mariano e giornalista scrupoloso, certi di far cosa gradita ai lettori tutti, indipendentemente dal loro credo religioso.
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VENTIDUE m a g. g i o 1906: fiocco azzurro al numero 36 di via Garibaldi, una delle più animate strade torinesi. La signora Angela aveva partorito un bel maschietto: tre chili e due etti. Il padre, Giovan Battista Roasenda, uomo illustre della magistratura, dopo il nervosismo dell'attesa, era commosso fino alle lacrime e non si stancava di dividere l'affetto tra la puerpera e il piccolo... Paolo. Certo, lo avrebbe chiamato Paolo. Non era forse il nome del grande, battagliero apostolo? Papà Giovan Battista aveva delle mire su quel primo bambino... ne avrebbe fatto almeno un ministro, un grande ministro... "Paolo, io ti battezzo nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ", disse il vecchio sacerdote della vicina chiesa due giorni dopo. Quando gli fece assaggiare l'amarezza del sale, gli astanti si aspettavano il consueto testardo dimenarsi. Ma Paolino li deluse tutti. " Si vede che già allora sapevo apprezzare il sapore delle minestre che più tardi mi passerà il convento " dirà scherzando Padre Mariano alla vecchia domestica che a distanza di anni, raccontando l'episodio, vi scorgerà un presagio della francescana dolcezza del " parroco dei tele-fedeli". La famiglia Roasenda non aveva più, agli inizi del secolo, lo splendore di un tempo. Si allineava con le tante famiglie della buona borghesia torinese: serietà nell'esercizio della propria professione, fedeltà alle tradizioni cristiane. Paolino trascorre l'infanzia nella più grande serenità, attorniato dall'affetto della mamma, della sorella e della vecchia domestica. " La Madonna farà di questo bambino un grande santo ", soleva ripetere alla madre quando questa credeva necessario usare il battipanni in occasione delle non rare bricconate di Paolino. " Sia buona, signora Angela, non lo ha fatto con malizia... ". Paolo, da bimbo, non era quello che suoi dirsi " uno stinco di santo ". Un giorno, all'uscita della scuola, fu tra i protagonisti di una memorabile sassaiuola. "Era la prima volta che sentivo rumor di guerra e per difendermi mi misi anch'io a tirar pugni e calci". Si infervorò talmente nell'operazione bellica da non accorgersi del direttore della scuola che, avvicinatoglisi, lo sollevò per un orecchio scandendo con severità, dopo un attimo di pauroso silenzio: " Paolo Roasenda! Sospeso per tre giorni! ". " Non provai nessuna mortificazione-sono parole di Padre Mariano-anzi... Ero felicissimo di non andare a scuola. Evidentemente non ero molto studioso ". Era primavera. Piazza d' Armi con i suoi verdi prati, le ragazzine chiassose e le balie che vi si davano convegno con le carrozzelle dei pupi, gli organini dei girovaghi, allettava assai più un bambino che non l'abbecedario letto e riletto con snervante cantilena nel chiuso di quattro pareti. Paolino ebbe presto bisogno degli occhiali. Una forte miopia. Ciò non gli impedì minimamente di scatenarsi nel gioco. " Ero bravissimo nel gioco del pallone e pensavo seriamente di passare al professionismo ". Giocava da portiere. Ma aveva qualche difficoltà nello scorgere in tempo la palla. Gli veniva in aiuto il terzino, Dogliotti (quello che più tardi sarà stimato nel mondo intero come il più famoso chirurgo d'Italia) che lo avvertiva tempestivamente dell'avvicinarsi del pallone. Paolino si lanciava a capofitto. " Quante paia di occhiali ho mandato in frantumi! Ero la disperazione della mamma e la gioia dell' oculista ". Una pallonata gli lascerà un ricordo ad un dito per tutta la vita "E' per questo che non mi sono sposato, non avrei mai potuto infilare la fede ". Negli intervalli tra una partita e l'altra si divertiva a correre dietro alle ragazzine ed a molestare le balie tale e quale gli altri ragazzini. " Un giorno - dice suo cognato - adocchiata una signora particolarmente prosperosa, le si avvicina con fare timido. "Che vuoi bimbo?" chiede m a t e r n a la balia. Paolino la guarda con i suoi occhioni di miope e poi, tutto d'un fiato: "Vorrei sapere signora, se il latte che dà al bimbo è di prima qualità" e via a rompicollo mentre la balia gli gridava dietro: "Ah! screanzato di un marmocchio". Un grande affetto legava Paolo alla sorella. Passava ore ed ore a giocare con lei in casa quando il cattivo tempo o un'interdizione paterna non gli permetteva di correre in Piazza d'Armi. I gusti della sorella non erano per i giochi violenti. Ella amava particolarmente giocare con le bambole. Che t'inventa allora Paolino? Proprio di fronte alla loro abitazione vi è una sartoria che tutt'oggi porta la scritta: " Sorelle Tal dei Tali ". " Impiantiamo anche noi una sartoria " propone. Detto fatto. Lunghe strisce di carta annunciavano solennemente: " Sartoria sorelle Aquila". E per rendere più reale la finzione si metteva come copricapo una vecchia calza nera foggiata a parrucca e cominciava lui pure a cucire vestitini per le bambole. "Ma il gioco preferito da mio fratello era quello del teatro dei burattini. Quando a Carnevale andavamo in piazza Vittorio si attardava ore ed ore a contemplare le marionette ed in casa ripetevamo all'infinito le storie di Gianduia e Giacometta ". A volte davano recite per altri bimbi. Il piccolo regista insisteva allora perché la sorella facesse la comunione per la buona riuscita della recita. A sera, inginocchiati ai piedi dei loro lettini, pregavano insieme la Madonna. Il piccolo miope si faceva serio serio e chiedeva alla sorella se Gesù era contento di lui. " Non andava mai a letto prima di aver recitato le preghiere ed offerto alla Madonna il fioretto giornaliero". L'infanzia di Paolino trascorse felice e spensierata tra Torino e Cuneo, ove si recava sovente in casa di parenti. Non si ammazzava per lo studio, ma riusciva bene, data la sua intelligenza vivace. Ha sempre frequentato scuole statali, fin dalle elementari. " Accanto a compagni studiosi e sani ebbi compagni poltroni e bacati, moralmente corrotti e corruttori, già sui banchi del ginnasio ". Allora non si insegnava religione nella scuola italiana, ma il giovane Roasenda ebbe "la fortuna di frequentare un cenacolo di vita cristiana giovanile. Allora non potevo certo apprezzare il singolare dono di Dio; oggi sì. Oggi sono certo che senza quelle lezioni di religione, impartite con tanta competenza e aderenza ai nostri bisogni giovanili dai gesuiti, tra una partita di calcio ed una di tennis nei pomeriggi di festa, io mi sarei, come tanti altri, smarrito". (continua)
Nazzareno d'Errico