Villa Adriana -
Roma
Home page a cura di Fiorenzo Carmenini - in costruzione |
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Un sogno fatto pietra
"La Villa era la tomba dei viaggi, l'ultimo accampamento del nomade, l'equivalente, in marmo, delle tende da campo e dei padiglioni dei principi asiatici."
Il cosiddetto Canopo, la terza delle aree tricliniari della villa:
un lungo canale di 119 m, con colonnati sui lati, portava a un grande triclinio-ninfeo
semicircolare, adorno di statue, marmi intarsiati e mosaici policromi.
"Ogni edificio sorgeva sulla pianta d'un sogno. Plotinopoli, Andrinopoli, Antinopoli, Adrianotera... Ho moltiplicato quanto più possibile questi alveari umani. Idraulici e muratori, ingegneri e architetti presiedono alla fondazione di nuove città ma è una funzione che esige altresì alcune doti di stregoneria."
Plastico della villa come deveva essere.
"Quasi tutto ciò che il nostro gusto consente di tentare, già lo fu nel mondo delle forme: io volli provare quello del colore: il diaspro, verde come i fondi marini, il porfido poroso come le carni, il basalto, l'ossidiana opaca... Il rosso denso dei tendaggi si ornava di ricami sempre più raffinati; i mosaici delle mura e degli impiantiti non erano mai abbastanza dorati, bianchi, o cupi a sufficienza. Ogni pietra rappresentava il singolare conglomerato d'una volontà, d'una memoria, a volte d'una sfida."
Veduta
aerea di Villa Adriana, il grande complesso di edifici fatto erigere dall'imperatore
Adriano e da lui stesso progettato sul terreno collinoso ai piedi dei monti
Tiburtini che dalle spalle di Tivoli degradano lentamente verso la lontana
campagna romana. In esso si compendiano le innovazioni più ardite
dell'architettura romana, come le grandi volte a crociera e le cupole a
copertura di ampi spazi a pianta circolare. Il complesso sorse, a partire
dal ritorno di Adriano a Roma nell'autunno del 117 d.c., con rapidità
incredibile al contrario della lunghissima pianificazione, piena di problemi
da risolvere, che costituì un'impresa notevole.
"Le mie città nascono da incontri: il mio con un angolo della terra, quello dei miei piani imperiali con gli incidenti della mia esistenza d'uomo...."
"Avevo dotato ciascuno di quegli edifici di nomi evocanti la Grecia: il Pecile, l'Accademia, il Pritaneo."
Sull'estremo
limite ovest del ripiano su cui sorgeva la preesistente vecchia villa repubblica
venne costruita la parte del Palazzo destinata ad abitazione invernale
dell'imperatore. Al livello superiore, oltre al suo appartamento, c'era
una fila di saloni rivestiti di marmi riscaldati da aria calda circolante
sotto il pavimento. Al piano inferiore, un'altra fila di ambienti, che
tutto fa ritenere destinati alle riunioni tricliniari, dominava un magnifico
giardino (il Pecile) che, sul tipo venuto di moda sin dall'epoca di Domiziano,
era stato creato a forma di stadio, mentre dalla parte opposta l'edificio
detto delle Tre Esedre chiudeva questa area di rappresentanza.
"Sapevo bene che quella valle angusta, disseminata d'olivi, non era il Tempe, ma ero giunto in quell'età in cui non v'è una bella località che non ce ne ricordi un'altra, più bella, e ogni piacere s'arricchisce del ricordo di piaceri trascorsi. Consentivo ad abbandonarmi a quella nostalgia ch'è la malinconia del desiderio. A un angolo particolarmente ombroso del parco, avevo persino dato il nome di Stige; a una prato costellato d'anemoni quello di Campi Elisi, preparandomi così a quell'altro mondo i cui tormenti somigliano tanto a quelli del nostro, ma le cui gioie nebulose non valgono le nostre."
Tratto da "Mémoires d'Hadrien" (1951) di Marguerite Yourcenar (1903-1987).
© 1997 | f.carmenini@finsiel.it |
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