Paris, 2004

di Gianni Martini

Chanson d'automne

Les sanglots longs
Des violons de l'automne
Blessent mon coeur
D'une langueur monotone.
Tout suffocant
Et blême, quand sonne l'heure,
Je me souviens
Des jours anciens et je pleure.
Et je m'en vais
Au vent mauvais qui m'emporre,
Deçà, delà,
Pareil à la feuille morte.

(Paul Verlaine "Poèmes saturniens")


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se n’era accorto per la prima volta quattro anni fa. Ma adesso il fenomeno sembrava aver subito un’evidente accelerazione.

Tutti i giorni si recava al lavoro percorrendo a piedi il tragitto da Rue Mahler nell’antico quartiere ebraico di Parigi, Saint Paul le Marais, dove abitava, fino alla stazione della Metropolitana dove prendeva la linea n.1 per scendere a Châtelet, da dove poi sempre a piedi si recava al Centro Pompidou al Beaubourg, la sua sede di lavoro, dove svolgeva la propria attività come responsabile della mediateca.
La cosa che lo infastidiva di più erano le scosse che subiva sulla metropolitana: non vedeva l’ora che le teorie dello scienziato russo (attualmente residente in Finlandia, recente Premio Nobel per la Fisica con l’italiano Modanese e l’americano Schnurer) Eugene Podkletnov sul controllo della forza di gravità potessero trovare applicazione in modo tale che i viaggi sarebbero potuti diventare molto più confortevoli.
Non potendo leggere, recandosi al lavoro e tornando a casa, aveva preso l’abitudine di scrutare con scrupolosa attenzione e curiosità le facce ed il comportamento delle persone con lo scopo di registrare regolarità, somiglianze e differenze.
Non doveva fare un grande sforzo perché osservare le persone e i loro comportamenti aveva sempre costituito per lui un’esperienza appassionante. Questo interesse non lo aveva mai abbandonato: era anche questo il motivo che l’aveva spinto ormai tantissimi anni fa a frequentare la facoltà di Sociologia a Nanterre nel periodo a cavallo del 1968.
Ma che cosa era questo fenomeno che lo stava appassionando ma anche preoccupando? Molto semplice, facce e comportamenti che cominciavano a sembrargli perlomeno strani. Le persone, in numero sempre crescente, sembravano essere soprapensiero, non presenti a se stesse, in una dimensione diversa da quella dove vivevano. Il loro comportamento sembrava non tener conto della realtà circostante. Responsabilità e consapevolezza sembravano caratteristiche in via di estinzione.
La maggior parte delle persone stava adottando modelli di comportamento molto simili: tutti giravano come termiti impazzite in automobile, incuranti dell’inquinamento, la maleducazione stava diventando palpabile, il rumore stava aumentando e così pure la violenza. A lui queste cose davano molto fastidio al contrario della maggior parte delle persone che sembrava trovarsi a proprio agio in questo tipo di società o, forse, come lui pensava, non percepiva in quali condizioni stesse vivendo. 
Dai suoi vecchi studi di psicologia dinamica aveva recuperato un concetto, quello di autismo, quel meccanismo di difesa che fa in  modo che le persone si stacchino sempre di più dalla realtà oggettiva. L’autismo che riscontrava, però, sembrava essere diventato un fatto sociale, un’epidemia. Moltissime persone sembravano esserne infettate. 
In quest’ultimo anno, a suo dire, le cose stavano peggiorando in modo talmente evidente che si stava chiedendo se soffrisse lui di allucinazioni e, in caso contrario, se avesse potuto fare qualcosa per contrastare questa situazione.
Durante l’ultimo anno erano accaduti dei fatti che era eufemistico definire inquietanti. Ma la cosa peggiore era che, alla maggior parte delle persone, sembravano normali.
Nelle ultime elezioni i voti si erano concentrati, con percentuali altissime, su di un solo partito. Quasi tutti avevano cominciato a vestirsi con abiti dello stesso colore (marrone, l’unico colore che detestava), a cibarsi con gli stessi cibi (carne di struzzo e melanzane, in tutte le fogge, in tutte le salse), a fumare le stesse sigarette (Blue Smoke), a guardare gli stessi spettacoli televisivi. A questo proposito, lo spettacolo più seguito, "Dentro Casa", che aveva un’audience pari al 90% degli spettatori, costituiva l’argomento di gran lunga preferito nelle conversazioni e nei commenti della stampa. Questa trasmissione mostrava agli spettatori scene di vita familiare carpite ad ignari cittadini che, attraverso la televisione, venivano spiati da milioni di persone.
L’adeguamento a modelli di vita molto simili da parte della maggior parte delle persone individuava, in modo evidente, quelli che non sembravano essere stati colpiti da questa specie di malattia. 
Lui doveva essere uno di quelli perché continuava ad essere vegetariano, a non fumare e a vestirsi di colori vivaci come aveva sempre fatto per il passato.
Un giorno associò il concetto di virus a questi comportamenti e si ricordò di un vecchio libro di uno scienziato evoluzionista inglese, Richard Dawkins, che aveva coniato un termine, meme, per definire, in analogia con il gene, l’unità di base della trasmissione o dell’imitazione culturale. Forse si trattava di memes che si stavano diffondendo annidandosi nella psiche della popolazione. Ma perché lui sembrava, al pari di non molte altre persone, esserne immune? Quali potevano essere i fattori che impedivano che alcune persone fossero attaccate dal meme dell’autismo?
Qualche tempo prima aveva avanzato l’ipotesi che l’autismo fosse in qualche modo correlato con l’assistere alla trasmissione televisiva "Dentro Casa", ma aveva lasciato cadere questa ipotesi in quanto anche lui la guardava anche se non molto frequentemente con la curiosità di chi si aspetta di vedere persone che conosceva, nella loro intimità.
Cominciò ad interessarsi sempre più intensamente al problema e cercò di capire che cosa avessero in comune coloro che non adottavano i modelli dominanti della società.
Con estrema discrezione indagò le abitudini delle persone simili a lui che gli capitava di incontrare e di conoscere nello svolgimento della sua attività presso il Centro Pompidou.
Il tratto che accomunava queste persone sembrava essere la passione per la musica, ma non per la musica in senso generale, ma per la musica minimalista e per quella elettronica.
La conferma di questo la ebbe quando, quella settimana, si recò ad un concerto organizzato dall’IRCAM (il mitico Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique, il centro della musica elettronica). Erano in programma musiche di autori minimalisti: "Einstein on the Beach" di Philip Glass, "The Desert Music" di Steve Reich, "In C" di Terry Riley ed alcuni fra i pezzi più noti della compositrice finlandese Kaija Saariaho che era la musicista da lui preferita ed amata. Purtroppo le sue opere venivano suonate molto raramente a Parigi anche se questa era diventata la sua città adottiva: vi abitava, infatti, da più di 20 anni. 
Conosceva la musica della Saariaho da quasi vent’anni, da quando cioè aveva cominciato a comporre.
Da quell’osservatorio privilegiato che era la mediateca del Centro Pompidou, aveva sempre seguito la sua carriera artistica e spesso ascoltava la sua musica trasmessa dalla emittente radiofonica Radio Classique sulla frequenza di 101.5 MHz.
Recentemente aveva anche realizzato alcune pagine dedicate a Kaija Saariaho e alla sua musica, sul sito Internet Virtual Finland, dove aveva collocato uno dei ritratti a colori da lui disegnati, firmato con lo pseudonimo di Pekka Vuori, che riproduceva il viso della celebre compositrice.
Aveva descritto la illustre musicista con queste parole: "Tempo fa c’era una ragazza che vedeva i suoni come colori. Tempo fa c’era una ragazza che aveva timore di comporre, proprio perché era una ragazza. Poi la ragazza divenne donna e prese la decisione di scrivere musica". 
E della sua musica, aveva scritto che era "fredda e bella come i cieli del nord".
Conosceva bene tutta l’opera della Saariaho: Lichbogen (composizione ispirata dall’aurora boreale), Solar, ...à la fumée, Du cristal, Maa, Io (una delle lune di Giove), Nymphea (pezzo, quest’ultimo, eseguito anche dal celebre Kronos Quartet), eccetera. 

Ebbene, quando entrò nella sala rimase allibito al vedere che nessuno degli spettatori di quel concerto indossava un vestito marrone. La platea era un tripudio di colori. Era la prova che cercava: gli appassionati di quel tipo di musica erano in qualche modo immuni dal virus mentale dell’autismo.

Aveva ormai raggiunto la certezza, ma quella notte non se ne occupò perché ebbe l’occasione (fortunatissima!) di conoscere di persona il mito, Kaija Saariaho, e tutti i suoi pensieri si concentrarono in quell’incontro che aveva aspettato da anni.

Il giorno dopo volle approfondire la questione. Si prese un giorno di ferie per andare a trovare un amico che si occupava con molta competenza e perizia di musicoterapia. Gli raccontò tutta la storia dell’autismo dilagante, dei messaggi subliminali che secondo lui venivano diffusi all’interno della trasmissione televisiva "Dentro Casa", della nuova scienza chiamata, nel mondo anglosassone, memetics, dell’immunizzazione prodotta da certi tipi di musica.

L’amico, anche sulla base delle sue conoscenze di psicoacustica, non poté fare altro che confermare i suoi sospetti. La musica minimalista e quella elettronica erano costruite con onde tali che andavano ad interferire con quelle prodotte dai messaggi subliminali neutralizzandole. 
Era una scoperta molto importante!

Radio Classique accettò di trasmettere esclusivamente questi tipi di musica che molta gente apprezzò anche se non era abituata a fare un piccolo sforzo mentale per avere la pazienza di ascoltare una musica un po’ più difficile. Contestualmente successe un altro fatto importante: la trasmissione "Dentro Casa" venne messa al bando in quanto ritenuta eticamente censurabile.

La combinazione di questi due fatti eliminò a poco a poco la condizione in cui si trovava gran parte della popolazione e in quello splendido autunno il colore marrone caratterizzò solo le foglie che cadevano dagli alberi dei viali parigini.
 

Trento, 28 marzo 1998
 
 
 
 
 
 
 

 


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