Se n’era accorto
per la prima volta quattro anni fa. Ma adesso il fenomeno sembrava aver
subito un’evidente accelerazione.
Tutti i giorni
si recava al lavoro percorrendo a piedi il tragitto da Rue Mahler nell’antico
quartiere ebraico di Parigi,
Saint Paul le
Marais, dove abitava, fino alla stazione della Metropolitana dove prendeva
la linea n.1 per scendere a Châtelet, da dove poi sempre a piedi
si recava al Centro
Pompidou al Beaubourg, la sua sede di lavoro, dove svolgeva la propria
attività come responsabile della mediateca.
La cosa che lo
infastidiva di più erano le scosse che subiva sulla metropolitana:
non vedeva l’ora che le teorie dello scienziato russo (attualmente residente
in Finlandia, recente
Premio Nobel per la Fisica con l’italiano Modanese
e l’americano Schnurer)
Eugene
Podkletnov sul controllo della forza di gravità potessero trovare
applicazione in modo tale che i viaggi sarebbero potuti diventare molto
più confortevoli.
Non potendo leggere,
recandosi al lavoro e tornando a casa, aveva preso l’abitudine di scrutare
con scrupolosa attenzione e curiosità le facce ed il comportamento
delle persone con lo scopo di registrare regolarità, somiglianze
e differenze.
Non doveva fare
un grande sforzo perché osservare le persone e i loro comportamenti
aveva sempre costituito per lui un’esperienza appassionante. Questo interesse
non lo aveva mai abbandonato: era anche questo il motivo che l’aveva spinto
ormai tantissimi anni fa a frequentare la facoltà di Sociologia
a Nanterre nel periodo a cavallo del 1968.
Ma che cosa era
questo fenomeno che lo stava appassionando ma anche preoccupando? Molto
semplice, facce e comportamenti che cominciavano a sembrargli perlomeno
strani. Le persone, in numero sempre crescente, sembravano essere soprapensiero,
non presenti a se stesse, in una dimensione diversa da quella dove vivevano.
Il loro comportamento sembrava non tener conto della realtà circostante.
Responsabilità e consapevolezza sembravano caratteristiche in via
di estinzione.
La maggior parte
delle persone stava adottando modelli di comportamento molto simili: tutti
giravano come termiti impazzite in automobile, incuranti dell’inquinamento,
la maleducazione stava diventando palpabile, il rumore stava aumentando
e così pure la violenza. A lui queste cose davano molto fastidio
al contrario della maggior parte delle persone che sembrava trovarsi a
proprio agio in questo tipo di società o, forse, come lui pensava,
non percepiva in quali condizioni stesse vivendo.
Dai suoi vecchi
studi di psicologia dinamica aveva recuperato un concetto, quello di autismo,
quel meccanismo di difesa che fa in modo che le persone si stacchino
sempre di più dalla realtà oggettiva. L’autismo che riscontrava,
però, sembrava essere diventato un fatto sociale, un’epidemia. Moltissime
persone sembravano esserne infettate.
In quest’ultimo
anno, a suo dire, le cose stavano peggiorando in modo talmente evidente
che si stava chiedendo se soffrisse lui di allucinazioni e, in caso contrario,
se avesse potuto fare qualcosa per contrastare questa situazione.
Durante l’ultimo
anno erano accaduti dei fatti che era eufemistico definire inquietanti.
Ma la cosa peggiore era che, alla maggior parte delle persone, sembravano
normali.
Nelle ultime
elezioni i voti si erano concentrati, con percentuali altissime, su di
un solo partito. Quasi tutti avevano cominciato a vestirsi con abiti dello
stesso colore (marrone, l’unico colore che detestava), a cibarsi con gli
stessi cibi (carne di struzzo e melanzane, in tutte le fogge, in tutte
le salse), a fumare le stesse sigarette (Blue Smoke), a guardare gli stessi
spettacoli televisivi. A questo proposito, lo spettacolo più seguito,
"Dentro Casa", che aveva un’audience pari al 90% degli spettatori, costituiva
l’argomento di gran lunga preferito nelle conversazioni e nei commenti
della stampa. Questa trasmissione mostrava agli spettatori scene di vita
familiare carpite ad ignari cittadini che, attraverso la televisione, venivano
spiati da milioni di persone.
L’adeguamento
a modelli di vita molto simili da parte della maggior parte delle persone
individuava, in modo evidente, quelli che non sembravano essere stati colpiti
da questa specie di malattia.
Lui doveva essere
uno di quelli perché continuava ad essere vegetariano, a non fumare
e a vestirsi di colori vivaci come aveva sempre fatto per il passato.
Un giorno associò
il concetto di virus a questi comportamenti e si ricordò di un vecchio
libro di uno scienziato evoluzionista inglese, Richard
Dawkins, che aveva coniato un termine, meme,
per definire, in analogia con il gene, l’unità di base della trasmissione
o dell’imitazione culturale. Forse si trattava di memes che si stavano
diffondendo annidandosi nella psiche della popolazione. Ma perché
lui sembrava, al pari di non molte altre persone, esserne immune? Quali
potevano essere i fattori che impedivano che alcune persone fossero attaccate
dal meme dell’autismo?
Qualche tempo
prima aveva avanzato l’ipotesi che l’autismo fosse in qualche modo correlato
con l’assistere alla trasmissione televisiva "Dentro Casa", ma aveva lasciato
cadere questa ipotesi in quanto anche lui la guardava anche se non molto
frequentemente con la curiosità di chi si aspetta di vedere persone
che conosceva, nella loro intimità.
Cominciò
ad interessarsi sempre più intensamente al problema e cercò
di capire che cosa avessero in comune coloro che non adottavano i modelli
dominanti della società.
Con estrema discrezione
indagò le abitudini delle persone simili a lui che gli capitava
di incontrare e di conoscere nello svolgimento della sua attività
presso il Centro Pompidou.
Il tratto che
accomunava queste persone sembrava essere la passione per la musica, ma
non per la musica in senso generale, ma per la musica minimalista e per
quella elettronica.
La conferma di
questo la ebbe quando, quella settimana, si recò ad un concerto
organizzato dall’IRCAM
(il mitico Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique,
il centro della musica elettronica). Erano in programma musiche di autori
minimalisti: "Einstein on the Beach" di Philip
Glass, "The Desert Music" di Steve
Reich, "In C" di Terry
Riley ed alcuni fra i pezzi più noti della compositrice finlandese
Kaija Saariaho
che era la musicista da lui preferita ed amata. Purtroppo le sue opere
venivano suonate molto raramente a Parigi anche se questa era diventata
la sua città adottiva: vi abitava, infatti, da più di 20
anni.
Conosceva la
musica della Saariaho da quasi vent’anni, da quando cioè aveva cominciato
a comporre.
Da quell’osservatorio
privilegiato che era la mediateca del Centro Pompidou, aveva sempre seguito
la sua carriera artistica e spesso ascoltava la sua musica trasmessa dalla
emittente radiofonica Radio
Classique sulla frequenza di 101.5 MHz.
Recentemente
aveva anche realizzato alcune
pagine dedicate a Kaija Saariaho e alla sua musica, sul sito Internet
Virtual Finland, dove aveva collocato uno dei ritratti a colori da lui
disegnati, firmato con lo pseudonimo di Pekka Vuori, che riproduceva il
viso della celebre compositrice.
Aveva descritto
la illustre musicista con queste parole: "Tempo fa c’era una ragazza che
vedeva i suoni come colori. Tempo fa c’era una ragazza che aveva timore
di comporre, proprio perché era una ragazza. Poi la ragazza divenne
donna e prese la decisione di scrivere musica".
E della sua musica,
aveva scritto che era "fredda e bella come i cieli del nord".
Conosceva bene
tutta l’opera della Saariaho: Lichbogen (composizione ispirata dall’aurora
boreale), Solar, ...à la fumée, Du cristal, Maa, Io (una
delle lune di Giove), Nymphea (pezzo, quest’ultimo, eseguito anche dal
celebre Kronos Quartet), eccetera.
Ebbene, quando
entrò nella sala rimase allibito al vedere che nessuno degli spettatori
di quel concerto indossava un vestito marrone. La platea era un tripudio
di colori. Era la prova che cercava: gli appassionati di quel tipo di musica
erano in qualche modo immuni dal virus mentale dell’autismo.
Aveva ormai raggiunto
la certezza, ma quella notte non se ne occupò perché ebbe
l’occasione (fortunatissima!) di conoscere di persona il mito, Kaija Saariaho,
e tutti i suoi pensieri si concentrarono in quell’incontro che aveva aspettato
da anni.
Il giorno dopo
volle approfondire la questione. Si prese un giorno di ferie per andare
a trovare un amico che si occupava con molta competenza e perizia di musicoterapia.
Gli raccontò tutta la storia dell’autismo dilagante, dei messaggi
subliminali che secondo lui venivano diffusi all’interno della trasmissione
televisiva "Dentro Casa", della nuova scienza chiamata, nel mondo anglosassone,
memetics, dell’immunizzazione prodotta da certi tipi di musica.
L’amico, anche
sulla base delle sue conoscenze di psicoacustica, non poté fare
altro che confermare i suoi sospetti. La musica minimalista e quella elettronica
erano costruite con onde tali che andavano ad interferire con quelle prodotte
dai messaggi subliminali neutralizzandole.
Era una scoperta
molto importante!
Radio Classique
accettò di trasmettere esclusivamente questi tipi di musica che
molta gente apprezzò anche se non era abituata a fare un piccolo
sforzo mentale per avere la pazienza di ascoltare una musica un po’ più
difficile. Contestualmente successe un altro fatto importante: la trasmissione
"Dentro Casa" venne messa al bando in quanto ritenuta eticamente censurabile.
La combinazione
di questi due fatti eliminò a poco a poco la condizione in cui si
trovava gran parte della popolazione e in quello splendido autunno il colore
marrone caratterizzò solo le foglie che cadevano dagli alberi dei
viali parigini.
Trento, 28 marzo
1998
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