Due differenti destini per i Testimoni di Geova

Uno dei più caratterizzanti aspetti della dottrina geovista è la suddivisione dei credenti in due classi distinte con destini separati: i 144.000 unti orientati alla vita celeste e la “grande folla” di “altre pecore” con una prospettiva di vita eterna paradisiaca terrestre.

Sorge spontanea la domanda: i primi cristiani credevano in questa teoria dei due diversi destini per classi di persone differenti? NO! Come si comprende dalla seguente citazione tratta dal libro “Lo spirito santo: La forza del Nuovo Ordine avvenire”, stampato nel 1977 dalla Società Torre di Guardia, dove – alle pagg. 128-129 – leggiamo quanto segue:

Quegli apostoli e altri scrittori cristiani della Bibbia ponevano forse dinanzi ai credenti battezzati una speranza terrena, la speranza di divenire figli del Padre eterno, Gesù Cristo, e di vivere per sempre su una terra paradisiaca? No! Ponevano dinanzi a coloro ai quali predicavano e scrivevano la speranza di quelli che allora erano generati come figli di Dio, figli di Geova. (Isaia 9:6,7) Negli ispirati scritti cristiani, ai discepoli di quel tempo si assicurava che avevano la chiamata a un regno celeste e che la loro speranza era di essere lassù coeredi di Gesù Cristo. (Colossesi 1:13; 1 Corinti 1:26-31; 2 Pietro 1:10, 11) Una sola cosa era posta loro dinanzi; non erano lasciati nell’incertezza. In questo modo lo spirito santo recava testimonianza a quei discepoli del primo secolo che erano figli di Dio, eredi di Dio. Ciò significava che, allo stesso tempo, erano coeredi del glorificato Gesù Cristo.

Ai tempi di C.T. Russell, fondatore della Società Torre di Guardia, si credeva che la “grande folla” menzionata in Rivelazione 7,9-17 fosse una classe celeste secondaria. Su quanto fosse radicato questo convincimento si vedano le seguenti citazioni di fonti geoviste:

Né disabituava la mente degli studenti biblici dall’idea a lungo sostenuta che la “grande moltitudine” fosse un gruppo di martiri cristiani generati dallo spirito che son destinati alla vita celeste pur non facendo parte dei 144.000 coeredi di Gesù Cristo il Re. Si pensava che quelli della “grande moltitudine” fossero ancora “prigionieri” di Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione. (Il millenario regno di Dio si è avvicinato, Brooklyn 1975, pag. 268)

 Si era pensato che fossero degli unti che non erano stati pienamente fedeli e che quindi stavano in piedi davanti al trono invece di essere seduti su troni per governare come re e sacerdoti con Gesù Cristo. (La Torre di Guardia del 15/5/1995, pag. 20). Si veda pure la Torre di Guardia del 15/5/2001, p. 14-15.

 Allora se, fin dalla sua costituzione, la chiesa cristiana assicurava a tutti i credenti solo “la chiamata a un regno celeste”, e se per buona parte della storia dei Testimoni di Geova il passo di Apocalisse 7,9-17 è stato spiegato nel modo appena citato, a che cosa si deve la novità della seconda classe con prospettive di vita eterna sulla Terra?

Questa novità si deve ad una “rivelazione di verità” che J.F. Rutherford ricevette il 31 maggio 1935! Infatti, è scritto nel libro “Vita eterna, nella libertà dei figli di Dio” (edito nel 1967 dalla Torre di Guardia), pag. 149:

“vi fu il 31 maggio 1935, una rivelazione di verità … Essa indicò che la ‘grande folla’, vista nella visione dall’apostolo Giovanni diciannove secoli fa e descritta in Rivelazione 7:9-17, doveva essere formata delle ‘altre pecore’ la cui chiamata è alla vita eterna in un paradiso globale qui sulla nostra terra”.

Ci troviamo di fronte a uno dei rari casi in cui il Direttivo dei Testimoni ammette che una verità creduta dalla Chiesa cristiana primitiva è stata radicalmente modificata da una “rivelazione” extrabiblica di molto successiva! Eppure, i Testimoni sono molto critici nei confronti di altri gruppi religiosi (come i Mormoni, per esempio), i quali credono che le verità bibliche possano essere integrate con moderne “rivelazioni” trasmesse da Dio tramite gli appropriati “canali di comunicazione”. Ma tant’è, come scrive Raymond Franz, il Corpo Direttivo è abituato ad usare “due pesi e due misure”.

Come conseguenza di questa divisione dei credenti in due classi, i Testimoni sono costretti a riconoscere una differenziazione nel legame tra Cristo e i suoi seguaci: ci sarebbe un vincolo di fratellanza con i 144.000 unti, ma un legame di paternità con la “grande folla”; infatti in un libro del 1986 (Sicurezza mondiale sotto il Principe della pace), a proposito di Cristo si dice a pag. 169:

Come tale può adempiere la profezia di Isaia e divenire il “Padre eterno” della progenie del primo Adamo, che egli riacquista e adotta allo scopo di restituirle la vita umana perfetta su una terra paradisiaca.

 Di conseguenza, il rapporto tra Geova e la grande folla sarebbe un tantino più distaccato, come quello tra un nonno e i suoi nipoti:

In tal modo il Padre celeste di Gesù Cristo diverrà il celeste Avo della ristabilita famiglia umana.

Anche se le altre pecore non sono direttamente incluse tra i “figli” menzionati in Isaia 54:13, sono anch’esse ammaestrate e benedette da Geova. Perciò si rivolgono giustamente a Dio chiamandolo “Padre”, in quanto è il Padre di colui che diverrà il loro “Padre eterno”(nella versione inglese della rivista la perifrasi è sostituita da un termine più esplicito: Grandfather), Gesù Cristo. — Matteo 6:9; Isaia 9:6. (La Torre di Guardia del 1/8/1995, pag. 13)

Per non essere tacciato, dal Testimone di turno, di gratuita ironia, riporto un brano tratto da un libro del 1952 (Sia Dio riconosciuto verace), pag. 159: “i figli terrestri … sono quindi legalmente in grado di divenire ‘nipoti’ di Dio”.

Altra problematica conseguenza della distinzione dei due destini (l’uno celeste, l’altro terrestre) consiste nella limitazione dell’efficacia dell’opera di mediazione compiuta da Gesù con il proprio sacrificio; infatti, nella letteratura dei Testimoni si ammette ripetutamente che:

Perciò, in senso strettamente biblico Gesù è il “mediatore” solo per i cristiani unti. … I componenti della “grande folla” di “altre pecore” che oggi si sta formando non sono in quel nuovo patto. (La Torre di Guardia del 1/10/1979, pag. 31)

Quindi, la stragrande maggioranza dei Testimoni non può godere direttamente della “giustificazione” scaturente dal sacrificio di Cristo (Romani 3,22-24,29-30).

Riepilogando, la separazione dei credenti in due classi di persone sarebbe stata sancita da una rivelazione di verità ricevuta da Rutherford nel 1935; come conseguenza di questa rivelazione sono avvenuti i seguenti stravolgimenti teologici:

-la Bibbia (in particolare il NT) ha come diretti destinatari solo 144.000 persone;

-sono solo 144.000 gli esseri umani giustificati grazie al sacrificio di Gesù;

-Cristo ha limitato la propria opera di mediazione a soli 144.000 individui.

Per giunta, questa rigida adesione a una rivelazione extrabiblica, comporta non pochi stravolgimenti testuali. Ad esempio, i Testimoni debbono credere che Gesù, parlando dell’ “ultimo giorno” in due diverse occasioni, avesse in mente due distinti periodi di tempo:

-in Gv 12,28 l’ “ultimo giorno” corrisponderebbe al Millennio;

-in Gv 6,53-54 la stessa espressione, applicandosi solo ai 144.000 unti, indicherebbe il momento in cui, individualmente, ciascuno di loro entra nella vita eterna in cielo essendo risuscitato con un corpo spirituale come quello di Cristo (vedi La Torre di Guardia del 15/12/1979, pagg. 15 e 20).

Ci rimane, ora, da indagare sui presupposti biblici testuali posti a fondamento della rivelazione ricevuta da Rutherford (Ap. 7, e Gv 10). Esaminiamo i passi biblici adottati dai Testimoni a sostegno della differenziazione dei credenti in due classi distinte:

1) Gv 10,16: “E ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo condurre, ed esse ascolteranno la mia voce, e diverranno un solo gregge, un solo pastore (TNM).

A quali “altre pecore” faceva riferimento Gesù? Stava forse pensando a quel gruppo di seguaci di Rutherford che – a partire dal 1935 – avrebbero espresso il proprio compiacimento per il fatto che “il Giudice” offriva loro la prospettiva di una vita eterna paradisiaca sulla Terra? Sarebbe credibile un Cristo che – incurante di 1900 anni di storia – si preoccupasse solo di qualche migliaio di Testimoni? Quale valenza universale potrebbe vantare il messaggio cristiano, se dovessimo circoscriverlo al ristretto àmbito storico geovista?

Non è più logico pensare che Gesù facesse riferimento all’adempimento di certe profezie ebraiche che esplicitamente additavano la fusione di ebrei e gentili in un’unica salvezza (Isaia 49,6; 56,7; 60,3; Zaccaria 2,15)? Non è più credibile, dal punto di vista storico, che Gesù stesse riferendosi all’imminente (dopo la sua morte) radunamento di “altre pecore” gentili (Ef. 2,11-18) unitamente al piccolo gregge di ebrei, convertiti della prima ora?

2) Ap. 7. L’interpretazione geovista impone che, nei vv. 4-8, tutto il contesto debba essere interpretato in senso simbolico, mentre solo il numero 144.000 avrebbe un valore letterale: sulla base di quali criteri esegetici è possibile credere a una tale estrapolazione? Come può il prodotto di due numeri (12 tribù x 12.000 ebrei da ciascuna tribù), di valenza simbolica per ammissione degli stessi Testimoni, diventare un valore numerico assoluto di così grande pregnanza da indicare il tot di veri cristiani per i quali sarebbe morto Gesù, i soli ad essere direttamente giustificati da Dio grazie al valore espiatorio della morte del Cristo? Si tratta di un’altra rivelazione trasmessa direttamente da Dio?

Si noti che, nei vv 1-8, l’ambiente è “terrestre” e i suggellati hanno connotati nazionali ebraici; mentre, nei vv. 9 e seguenti, l’ambiente descritto è “celeste” e la grande folla ha connotati “gentili”; per cui – paradossalmente – i prescelti per una vita celeste dovrebbero essere una “grande folla”, mentre gli occupanti di una terra paradisiaca sarebbero limitati a 144.000!

Si ricordi, pure, che Russell unificava i due gruppi (i 144.000 e la “grande folla”) nella spiegazione accettata per diversi decenni dai Testimoni, che prevedeva la classificazione di entrambi i gruppi come classi celesti.

3)Ap. 14, 1-4. Anche in questo contesto i Testimoni interpretano tutti gli elementi del racconto in chiave simbolica, ma pretendono che i due riferimenti al numero 144.000 vadano presi alla lettera; ci chiediamo: in un libro di simboli (Ap. 1,1), in un contesto tutto simbolico, perché solo un numero dovrebbe avere una valenza letterale, peraltro così condizionante nella storia della salvezza?

In conclusione, sia Gv 10 che Ap. 7 – nei rispettivi linguaggi e generi letterari – esprimono una verità storicamente provata: il In conclusione, sia Gv 10 che Ap. cristianesimo si sarebbe esteso da un primitivo nucleo ebraico fino a comprendere un vasto seguito di gentili. L’interpretazione dei Testimoni è la meno coerente fra quelle possibili e la sua accettazione dipende unicamente dal riconoscimento dell’indiscutibile autorità del Corpo Direttivo.

Achille Aveta
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