"Tu sarai con me in Paradiso"...

L'episodio del "buon ladrone" è narrato soltanto dal Vangelo di Luca ed è un fatto storico che l'evangelista ha conosciuto da fonti proprie; infatti, mentre Matteo (27,44) e Marco (15,32) affermano che entrambi i ladroni insultavano il Maestro, invece Luca precisa che solo uno dei due malfattori, condannati al supplizio, ingiuriava il Cristo morente. Il Vangelo di Luca narra che, poco prima che Gesù morisse, uno dei due criminali appesi accanto a lui implorò ripetutamente: "Gesù ricordati di me quando verrai nel tuo regno"; e Gesù gli rispose: "Amen ti dico oggi sarai con me nel paradiso" (Luca 23,42-43; traduzione mia). A quale paradiso si riferiva il Maestro? Quando quel malfattore sarebbe stato in "paradiso"? Cosa intese dire Gesù con "oggi"? Poiché le risposte a queste domande possono influire direttamente sulle nostre speranze e sul nostro futuro, è opportuno che le ponderiamo bene.
Il problema della punteggiatura
La forma grammaticale del testo greco di Luca 23,43 consente di mettere una virgola (o due punti) sia prima che dopo la parola "oggi"; per cui potremmo avere le due seguenti traduzioni, diverse tra loro:
-1^) "Veramente ti dico oggi: Tu sarai con me in Paradiso";
-2^) "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso".
Nella traduzione n° 1 la parola "oggi" è messa in relazione con la prima parte della dichiarazione di Gesù, volendo così significare che il Maestro non avrebbe inteso indicare quando il malfattore sarebbe andato in "paradiso", ma piuttosto richiamare l'attenzione sul momento in cui veniva fatta la promessa. Nella traduzione n° 2, invece, l'enfasi è posta sul tempo in cui la promessa si sarebbe adempiuta. La versione al n° 1 è della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture dei Testimoni di Geova e, in modo simile, rendono il versetto altre traduzioni, come quelle inglesi di J. B. Rotherham e di G. Lamsa, e quelle tedesche di L. Reinhardt e di W. Michaelis; invece la versione al n° 2 appartiene alla traduzione biblica della C.E.I. e similmente rendono la Versione Riveduta di G. Luzzi, Nardoni, La Parola del Signore e molte altre.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: quale punteggiatura l'evangelista Luca mise nella frase? Il fatto è che l'Autore non pose alcun segno d'interpunzione, perché fino al 9° secolo d.C. la scrittura onciale (tipo di grafia in cui ci è pervenuto il Nuovo Testamento) della letteratura greca consisté di lettere maiuscole poste l'una accanto all'altra senza alcun segno per separare parole e frasi! E allora? E' evidente che la punteggiatura usata per la traduzione di Luca 23,43 dipende dal senso che il traduttore attribuisce alle parole di Gesù; per esempio, i Testimoni di Geova adottano la traduzione n° 1 perché ben si confà al loro sistema dottrinale. Infatti, poiché negano la sopravvivenza al corpo di un'anima immateriale, o spirito, e credono che i morti siano assolutamente inconsapevoli, inconsci, i Testimoni non possono ammettere che Gesù e il "buon ladrone" si siano ritrovati, nel medesimo giorno della morte ("oggi"), in un "paradiso".
Da queste riflessioni preliminari, ricaviamo una prima osservazione relativa ai criteri interpretativi della Bibbia, adottati dai Testimoni e da gruppi simili: i Testimoni di Geova ritengono che, se la loro traduzione di un versetto biblico è grammaticalmente possibile, allora essa è incriticabile; in linea più generale, i Testimoni si sforzano di giustificare l'interpretazione più adatta al loro insegnamento, invece di preoccuparsi di sapere quale versione si adegua meglio al testo "originale".
Occorre molto più impegno a cercare il senso corretto di un brano della Bibbia (o di ogni altro testo antico) che a cavarsela con una qualsiasi versione accettabile dal solo punto di vista grammaticale. Nel caso di Luca 23,43 è opportuno fare una serie di considerazioni per dimostrare come la traduzione geovista del versetto sia la meno corretta tra quelle grammaticamente possibili.

"In verità ti dico"

E' interessante rilevare che le parole di Gesù in Luca 23,43 iniziano con l'espressione "amen" (=in verità, veramente); nei Vangeli troviamo questo termine solo in bocca a Gesù il quale, introducendo i suoi detti con "amen", li presenta come certi e degni di fede, dichiara il suo totale assenso ad essi e li rende vincolanti per sé e per i suoi ascoltatori; sono quindi espressione della sua sovranità e del suo potere divino. (Cfr. del Nuovo Testamento, Dizionario dei concetti biblici EDB, p.90).
Alla frase "amen ti dico" non si addice l'aggiunta della parole "oggi" in un'unica espressione (come fa la Traduzione geovista in Luca 23,43: "Veramente (gr. amen) ti dico oggi: ..."). Infatti, in 73 delle 74 volte in cui quest'espressione ricorre nel Nuovo Testamento, la Traduzione del Nuovo Mondo (TNM) colloca un'interruzione subito dopo la frase "veramente ti (o vi) dico", unica eccezione è Luca 23,43. Per illustrare, in dieci casi (Matteo 5,18; 16,28; 19,23; 21,31; 24,34; Marco 3,28; 11,23; 12,43; 13,30; Luca 4,24) la TNM ha "veramente ti (o vi) dico che"; in 63 casi (Matteo 5,26; 6,2.5.16; 8,10; 10,15.23.42; 11,11; 13,17; 17,20; 18,3.13.18; 19,28; 21,21; 23,36; 24,2.47; 25,12.40.45; 26,13.21.34; Marco 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 14,9.18.25.30; Luca 11,51; 12,37; 18,17.29; 21,32; Giovanni 1,51 3,3.5.11; 5,19.24.25; 6,26.32.47.53; 8,34.58; 10,1.7; 12,24; 13,16.20.21.38; 14,12; 16,20.23; 21,18) la TNM inserisce una virgola o due punti dopo l'espressione "veramente ti (o vi) dico". In mancanza di una schiacciante prova per giustificare la diversità del contesto di Luca 23,43, anche in questo versetto la TNM avrebbe dovuto rendere l'ordinario uso dell'espressione, adottato da Gesù. Da ciò ricaviamo una seconda osservazione circa l'esegesi biblica geovista: di solito i Testimoni di Geova interpretano un testo facendosi guidare in maniera deduttiva dal loro apparato dottrinale, piuttosto che pervenire a una comprensione del brano in modo induttivo mediante le peculiarità del testo in esame. In altre parole, essi fondano la spiegazione di un brano sulla base di conclusioni precostituite (ragionamento deduttivo), invece di esaminare prima tutto quanto dice la Scrittura su un dato soggetto per poi trarne una conclusione generale (ragionamento induttivo).

La parola "oggi".

Nel testo greco di Luca 23,43 la parola "oggi" (gr. semeron) è posta subito dopo l'espressione "In verità ti dico". Se Luca avesse voluto includere questa parola nella prima parte della frase, come intendono i Testimoni, egli avrebbe potuto scrivere: "In verità oggi ti dico" (cambiando l'ordine delle parole), o "In verità ti dico oggi che" (aggiungendo la congiunzione "che"; come esempi in cui il testo greco contiene la congiunzione "che" - gr. Hoti - si vedano le parole di Gesù in Luca 4,21; 19,9; Marco 14,30; Matteo 5,20.22.28.32); questi due ordini di parole avrebbero giustificato pienamente la traduzione geovista di Luca 23,43. Siccome, però, in Luca 23,43 non ricorre alcuno dei casi indicati, ciò rende - a dir poco - discutibile la versione geovista. Questo giustifica una terza riflessione sulla metodologia interpretativa geovista: è tipico dei Testimoni di Geova non tenere in considerazione se la loro interpretazione di un brano biblico sia quella che meglio si adatta al preciso ordine delle parole contenute nel testo in esame. Essi si interessano solo alla scelta di una lettura che, per quanto possibile, non contrasti esplicitamente con il testo e sia soprattutto in linea con il loro assunto dottrinale.
A questo proposito, nell'edizione del 1987 della TNM una nota in calce a Luca 23,43 afferma che la versione siriaca curetoniana (5° secolo d.C.) "rende così il brano: Amen, io ti dico oggi che con me tu sarai nel Giardino di Eden". Pur di citare una fonte a loro favore, i Testimoni di Geova dimenticano ciò che Bruce Metzger, rinomato studioso di Greco a Princeton, ha illustrato riguardo alla versione siriaca: essa, in effetti, ridetermina l'ordine delle parole nel testo, modificandone in tal modo il significato (citato da Robert M. Bowman jr., Understanding Jehovah's Witnesses, Baker Book House 1991, pp. 101-102; lo studio di Bowman su Luca 23,43 costituisce il filo conduttore di quest'articolo). Questo riferimento ci consente una quarta osservazione sulla metodologia esegetica geovista: spesso i Testimoni di Geova si rifanno a insolite lezioni varianti o ad antiche versioni bibliche per difendere alcune loro inesatte traduzioni, anche se questi stessi riferimenti possono costituire una prova contraria alla loro lettura.
I Testimoni insistono nel sostenere che col termine "oggi" Gesù intendeva richiamare l'attenzione sul momento "in cui il malfattore aveva manifestato una certa fede in Gesù" (Perspicacia nello studio delle Scritture, Roma 1990, vol. 2, p. 484). Va rilevato che Luca cap. 23 non fa esplicito riferimento alla fede del malfattore, perciò anche in questo caso si dimostra che i Testimoni di Geova spesso abusano del concetto di "contesto biblico", estendendolo fino al punto di includervi la loro ipotetica ricostruzione del modo in cui una dichiarazione biblica fu intesa inizialmente, e trascurano di fondare la loro spiegazione sull'immediato contesto scritto.

Paradiso: dove?

A cosa poteva riferirsi Gesù parlando di "paradiso"? e come il malfattore avrebbe compreso il riferimento di Gesù al "paradiso"? E' evidente che il malfattore ebreo avrebbe compreso il riferimento al "paradiso" "in armonia con l'uso che allora si faceva del termine. E qual era?" (cfr. La vita ha veramente uno scopo, Wiesbaden 1977, p. 28).
Nel libro apocrifo di Enoc, espressione del pensiero giudaico del primo secolo a.C., si fa distinzione tra l'antico paradiso terrestre ed il luogo degli eletti e dei giusti, dove "dai tempi remotissimi, dimorano i patriarchi e i giusti, dove fu accolto Enoc ed anche Elia, il giardino dei giusti". Il paradiso è nel pensiero giudaico, in generale, il luogo ove i giusti aspettano il giudizio finale e la risurrezione, questo luogo è descritto anche come "il seno di Abramo" (Luca 16,20) - Cfr. Dizionario Biblico, a cura di G. Miegge, Milano 1968, p.437. L. Albrecht, traduttore della Bibbia in tedesco, afferma che con la parola "paradiso" Gesù intendeva quella "parte del regno dei morti dove le anime dei giusti attendono la risurrezione"; quest'idea è estesamente accettata perché l'antica letteratura ebraica illustra l'insegnamento rabbinico secondo il quale una parte dello Sceol è riservata ai morti che sono nel favore di Dio (Si veda Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia 1974, vol. 9, colonne 588-593).
Per contestare la validità del riferimento di Gesù al "paradiso" (in Luca 23,43), inteso come una temporanea dimora per le anime dei dipartiti in una parte dell'Ades o Sceol, nel loro manuale Ragioniamo facendo uso delle Scritture (Roma 1985, p.256) i Testimoni citano il Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento (p. 1166) che attesta: "Con la diffusione della dottrina greca dell'immortalità dell'anima, il paradiso diventa la dimora dei giusti durante il periodo di transito". Comunque, il manuale geovista omette di riferire che lo stesso Dizionario sostiene: "In Lc 23,43 - collegandosi alla concezione giudaica del tempo - (il termine "paradiso" indica) l'attuale temporaneo e nascosto soggiorno dei giusti". Per sminuire il significato della parola "paradiso" al tempo di Gesù, i Testimoni citano il Dictionary of the Bible di J. Hastings (Edimburgo 1905, vol.3, pp. 669,670), secondo il quale "la teologia ebraica più antica ... sembra lasciare poco o nessuno spazio all'idea di un Paradiso intermedio". Anche nel caso di questa citazione parziale, i Testimoni omettono di riferire che, a p. 671 della stessa opera, Hastings dichiara: "E' certo che la credenza in un Paradiso inferiore prevalse tra i Giudei, così come la credenza in un superiore o celeste Paradiso"; inoltre, riferendosi a Luca 23,43, Hastings scrive che "Cristo si riferiva al Paradiso celeste".
Questi due esempi di uso fazioso di fonti autorevoli dimostrano un ulteriore elemento caratterizzante l'esegesi geovista: spesso i Testimoni di Geova citano autorevoli fonti in maniera selettiva e fuori contesto, per sostenere una loro conclusione addirittura contraria a quanto attestato dagli studiosi citati; le loro citazioni danno l'impressione che le autorità citate concordino con le opinioni geoviste.
Gli altri due riferimenti neotestamentari in cui ricorre la parola "paradiso" (Apocalisse 2,7; II Epistola ai Corinzi 12,4) non sono d'aiuto ai Testimoni nella loro ricerca di un significato alternativo da dare al termine in discussione. Infatti, per gli stessi Testimoni, il "paradiso" di Apocalisse (o Rivelazione) 2,7 è celeste; mentre, nel caso di II ai Corinzi 12,4, i Testimoni deducono che Paolo si stia riferendo "a una condizione spirituale esistente fra il popolo di Dio" durante il "tempo della mietitura" (=la nostra generazione): in altre parole, secondo il Geovismo, Paolo avrebbe avuto una visione degli odierni Testimoni di Geova! Quest'ultima interpretazione geovista ci permette di evidenziare un altro limite dell'esegesi dei Testimoni: molto spesso i Testimoni di Geova inventano spiegazioni allegoriche di profezie e visioni scritturali per poter riferire queste ultime ad avvenimenti della loro storia, tutto ciò viene fatto senza il minimo sostegno testuale!

"Con me": dove andò Gesù?

In che modo, dunque, Gesù sarebbe stato con il malfattore? I Testimoni rispondono: "Destandolo dai morti, provvedendo alle sue necessità fisiche" e spirituali in una futura terra paradisiaca (Ragioniamo ..., op. cit., p. 257). In contrasto con quest'opinione, i Testimoni interpretano alla lettera alcuni brani biblici in cui Gesù parla di altri che sono "con me" (Luca 22,28; Rivelazione 3,21; 14,1; 20,4.6); pertanto non si capisce perché in Luca 23,43 si debba allegorizzare la stessa espressione. Questo è un buon esempio per far osservare che spesso i Testimoni di Geova sono costretti a interpretare chiare espressioni scritturali in modo figurativo, senza alcun sostegno nel "contesto", al solo scopo di difendere un precostituito enunciato dottrinale.
Da ebreo, il malfattore poteva benissimo conoscere le profezie messianiche; infatti nel Giudaismo "era diffusa la credenza che i pii israeliti, quando il Messia sarebbe apparso nella pienezza della sua regalità, sarebbero risorti da morte per partecipare alla gioia del regno che egli avrebbe instaurato. Il ladrone pentito prega che il Redentore morente, nel giorno del suo trionfo messianico, si ricordi di chi gli è stato accanto nella croce e lo associ alla sua gloria risuscitandolo da morte con gli altri pii Ebrei che avevano creduto ed atteso questa sua venuta" (Vangelo secondo Luca, tradotto e commentato da B. Prete, B.U.R. 1961, p. 546, nota a Luca 23,42).
Stando alla testimonianza biblica, quando Gesù morì, scese nell'Ades, nell'"abisso" (Matteo 12,40; Atti 2,27.31; Romani 10,7; Efesini 4,9; Rivelazione 1,18), restandovi per tre giorni; "pertanto - asseriscono i Testimoni - menzionando il paradiso, Gesù non poteva riferirsi a qualche immaginario luogo di beatitudine" (Svegliatevi! del 22/1/1980, pp. 26-27). Si noti che con tale obiezione, invece di esaminare le parole e il contesto di Luca 23,43, i Testimoni argomentano che questo versetto non può significare ciò che appare evidente a una lettura diretta e accurata, perché tale lettura contrasta con il loro intendimento di altri passi biblici. Perciò, paradossalmente, per "salvare" la Bibbia dal pericolo di contraddirsi, i Testimoni la interpretano in modo scriteriato. In altri termini, i Testimoni di Geova oppongono una parte delle Scritture a un'altra allo scopo di costringere la Bibbia a concordare con il loro apparato dottrinale.
In definitiva, "il buon ladrone ... ha da Gesù una risposta che racchiude una promessa molto più ricca ed immediata di quella che attendeva il richiedente. Il Redentore infatti lo assicura, con una formula solenne (in verità ti dico), che in quello stesso giorno sarà con lui nel paradiso. ... Gesù non intende specificare la natura di questo luogo, né vuole stabilire un parallelo tra «paradiso» e «cielo», come potrebbe pensare un lettore moderno; il Maestro intende semplicemente assicurare il ladrone pentito che nel soggiorno dei morti si troverà insieme con lui; per il malfattore ravveduto quindi trovarsi con Cristo nella vita d'oltretomba costituisce un'assicurazione di raggiungere la suprema felicità. L'accento dell'intera proposizione non va posto sulle ultime parole («nel paradiso»), ma sulle precedenti («con me»); la frase così intesa risponde perfettamente alla umile e fiduciosa preghiera del buon ladrone" (Vangelo secondo Luca, op. cit., p.547, nota a Luca 23,43). Quindi, Gesù promise al malfattore d'essere con lui nella benedetta condizione dei morti nel favore divino; per giunta, va tenuto in mente che il "paradiso", come dimora, non è una località precisa del nostro universo. Pertanto, le espressioni indicanti il luogo dove Cristo condusse il malfattore, non possono essere prese alla lettera.
Comprendiamo che queste riflessioni non sono ben accette ai Testimoni di Geova e a chi, come loro, interpreta le realtà spirituali, di cui parla la Bibbia, in un modo eccessivamente razionalistico, a coloro che pretendono che gli insegnamenti biblici si adattino sempre alla limitata comprensione umana. In ogni argomento concernente l'essenza di Dio o il rapporto tra Dio e la creazione, dovremmo aspettarci dei paradossi; il sistema dottrinale geovista si sforza di far a meno di ogni paradosso: i Testimoni di Geova vogliono un "dio" che siano capaci di comprendere, quindi di possedere intellettualmente. Ma queste osservazioni comportano un discorso che non si può liquidare in poche battute, ne riparleremo!
Achille
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