THE MONASTERIUM VIVARIENSE OF CASSIODORUS AND ITS BYZANTINE NEIGHBOURS: A PROGRESS REPORT

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My paper for the XIII CIAC cautioned against hasty assumptions on the early demise of the monasterium vivariense of Cassiodorus ("Contra voluntatem fundatorum: il monasterium vivariense di Cassiodoro dopo il 575" in ACTA , XIII CONGRESSUS INTERNATIONALIS ARCHAEOLOGIAE CHRISTIANAE , vol. II pp. 1-31, Rome-Split 1998), ruling out as not compatible with the topographical data contained in the works of Cassiodorus, the twofold identification proposed by Pierre Courcelle in 1938 and again in 1954, still found in most reference works. According to Courcelle’s views, a small church at S. Martino of Copanello is the site of the monasterium vivariense and the former church of S. Maria de Vetere that of the castellense.

These and other earlier attempts lacked key elements for the proper identification of the sites. As regards archaeological data, the location of the Roman Scolacium was unknown; as regards the authenticity of primary sources, there was as yet no way to distinguish manuscripts produced at Vivarium from those written elsewhere. As far as topography is concerned, no thorough survey of the territory from the Courcellian sites eastwards was ever undertaken. Specifically, the territory known as Coscia di Stalettì, from the crest of mons Moscius to the Alessi River, was ignored, and the "fountain of Cassiodorus" was erroneously identified with the fons Arethusa remembered by Cassiodorus in the Variae .

Things have changed. Thanks to the excavations of Ermanno Arslan, we are now familiar with the Roman Scolacium (Parco archeologico della Roccelletta). Seven interconnecting basins have come to light near the mouth of the Alessi River, where ancient sources place the fishponds of Vivarium. A cross with inscription datable to the medieval period and rests of ancient canalization were found near the fountain of Cassiodorus, in the immediate vicinity of the Casino Pepe at the Coscia di Stalettì, and a thorough survey of the territory has been carried out thanks to the availability of the Bocchino family, lifelong residents of the area and owners of the former church of S. Maria de Vetere. The research by Fabio Troncarelli makes now possible to identify codices written at Vivarium or copied from Vivarian archetypes.

These factors call for a reassessment of the topography of Vivarium. The monastic complex appears as an estate flanked by Byzantine neighbours - the castrum excavated by archaeologists of the Ecole Française to the west and Scolacium to the east The monasterium vivariense should be situated at the Coscia di Stalettì near the Alessi River, and the castellense at the modern Villa Ciluzzi, above the Roman castellum, which is not a castle, but the terminal point of an aqueduct.

The consequences of such localization are important for the profile of the monastic foundations of Cassiodorus. The most obvious remark is that the vivariense was by no means a secluded retreat, but was situated on the main road between Scolacium - still active, as Ermanno Arslan has shown, in the VII century under Byzantine administration - and the highways leading south to Reggio and Sicily, and north to Rome. More importantly, the proposed topography places the vivariense in control of one of the few landings of the Gulf of Squillace, a dangerous stretch known since antiquity as navifragum Scyllaceum. Thus, the monastery was situated directly on the maritime route to Sicily, Africa, and Spain (to the west) and Crotone, Greece, and Constantinople (to the east). With the land and sea routes, communication was wide open, and the same ships that carried oil and wine could also carry visitors and manuscripts, to and from Vivarium.

The topography of Vivarium is consistent with the results achieved by Fabio Troncarelli, who recognized in Vivarian manuscripts the influence of Cosmas Indicopleustes and pointed out, among other things, the identity of initials between Vivarian manuscripts and the Greek Dioscorides at Naples. The same topography also supports the insight of Samuel Barnish, who realized that Cassiodorus was writing for an audience broader than his own monks at Vivarium, and my own work on the Easter computus written in 616 by Felix of Squillace - a work that became known as computus graecorum, a link with the world of Byzantium.




IL MONASTERO VIVARIENSE DI CASSIODORO: RICOGNIZIONE E RICERCHE

Questa comunicazione segue quella per il XIII CIAC e va integrata con le notizie che appaiono di volta in volta sul sito internet della Societas internationalis pro Vivario.[1] Dissi nel 1994 a Parenzo che l’ubicazione proposta da Pierre Courcelle per i siti delle fondazioni di Cassiodoro ( la chiesetta di S. Martino di Copanello nel sito del monastero Vivariense, e quella di S. Maria del Mar nel luogo del monastero Castellense, (pianta a fig.xx) è errata. Vi si oppongono le indicazioni topografiche date da Cassiodoro, e non c’è alcuna prova che la chiesetta cui Courcelle diede il nome "S. Martino" sia un fossile di quella del Vivariense, né che quella di S. Maria del Mar {foto web 1, 1a) sia dov’era il Castellense: di essa sappiamo che si trovava entro o sotto una fortezza bizantina, e che vi risiedevanono monaci basiliani almeno fino al 1219 (fig…. ). [2] Obiezioni a Courcelle vennero da diverse parti; quelle decisive sono che l’ubicazione proposta da Courcelle non corrisponde alle indicazioni topografiche delle Institutiones di Cassiodoro, e che stabilimenti termali romani sono impensabili a S. Martino di Copanello, definita lapidariamente "una pietraia" [3]. Ma, come notato da Ermanno Arslan, non vi è mai stato un esame accurato delle fonti scritte relative alle fondazioni; né, come rilevò Vito Sirago vi è mai stata alcuna seria indagine archeologica. [4] Aggiungo che, a prescindere da quanto espongo in queste note, non si è mai espletata un’accurata ricognizione dei luoghi indiziati, sul modello di quella compiuta da Ermanno Arslan nel Comune di Borgia. [5]

Dal 1994 la ricerca su Vivarium si è sviluppata in due filoni distinti ma complementari: lo studio della tradizione manoscritta di codici scritti od annotati a Vivarium e la ricognizione del terreno, necessario preliminare a future indagini archeologiche. I risultati conseguiti da Fabio Troncarelli si sono imposti a livello internazionale. Lo studioso determinò che I codici Reg. 2077, sicuramente datato fra il 604 ed il 613, e Basilicano (Arch. S. Pietro ) furono (rispettivamente) scritti ed annotati a Vivarium.[6] Troncarelli rilevò la continuità logica e cronologica tra il codice reginense ed il calendario pasquale di Felice di Squillace, completato nel 616.[7] All’inizio del vii secolo il monastero Vivariense era dunque non solo vivo, ma un centro importante: il calendario pasquale di Felice per gli anni 626-721 si diffuse in tutta Europa, e ciò dovette avvenire entro i limiti di tempo degli anni suddetti, poiché è inutile copiare un calendario scaduto. Per produrre manoscritti occorrono pecore in quantità, e se Vivarium le possedeva, ciò vuol dire che il monastero non era né piccolo né povero. Importante per la topografia vivariense anche la restituzione di un frammento di manoscritto, finora ritenuto indipendente, al codice Mazarine 660.

La seconda linea d’indagine riguarda le ricognizioni in sito. Anche qui, dal 1994 al 199, grazie alla disponibilità di Emanuela Bocchino e della sua famiglia e di altre guide del luogo, è stato possibile studiare il terreno indiziato, e tengo a dire che questo lavoro sarebbe stato impossibile senza qualcuno che conosca bene la zona, poichè il terreno in questione ("Coscia di Stalettì", foto web 2), benché vicinissimo alla statale 106 nel tratto Bivio di Squillace-Copanello di Stalettì, ai km 174-177, non di è facile ricognizione, sia perché di proprietà privata (e ne è quindi vietato l’accesso), sia perché a tratti molto impervio.[8] Lo studio delle fonti scritte e la ricognizione della Coscia di Stalettì convergono nel rendere necessarie aggiunte e correzioni alla topografia proposta nel 1938 da Courcelle e nel 1994 da Emilia Zinzi.[9]

Le fonti testuali sono Inst. 1.29, Variae 12.15 (di Cassiodoro) e tre illustrazioni delle due chiese del monastero ed i vivai in codici medievali risalenti ad un archetipo vivariense.[10] Come preliminare è necessario stabilire se Cassiodoro, descrivendo il Vivariense in Inst. 1.29, usi espressioni retoriche o se il testo vada preso alla lettera. L’autore stesso, in De orthographia, ci toglie ogni dubbio, poiché le Institutiones sono definite un libro ubi plus utilitatis invenies, quam decoris, scritto dunque secondo criteri utilitaristici, non estetici: un manuale di istruzioni, sia per la parte bibliografica che per la topografia di Vivarium. Le sorgenti sono vere sorgenti, il fiume è un fiume, ed i pesci sono pesci. Nei termini tecnici il vocabolario di Cassiodoro trova riscontro nel De re rustica di Columella, che è un manuale sull’agricoltura, non un’opera retorica.

Il passo della lettera al governatore di Scolacium, scritta da Cassiodoro in proprio quale prefetto al pretorio, dice dunque:

[Scolacium] gode anche di prelibati frutti di mare, poiché possiede i vicini chiostri di Nettuno, da noi fatti: giacché, scavate le viscere del monte, vi abbiamo convenientemente immesso le onde del mare. Là una schiera di pesci , trastullandosi in libera schiavitù, ricrea l’animo di diletto e carezza l’occhio ammirato. Quelli corrono avidi verso la mano dell’uomo, e vogliono cibo, prima di divenir cibo. L’uomo nutre i suoi bocconcini e, mentre è in suo potere catturarli, spesso avviene che, soddisfatto, lasci tutto. (Var. 12.15)

Secondo questo testo, anteriore alla fondazione del monastero, i vivai furono costruiti da Cassiodoro stesso o dalla sua famiglia. Credo si possano escludere, a lume di buon senso, due categorie di vivai, una per i cittadini di Scolacium, l’altra per i monaci di Vivarium; erano gli stessi vivai, appartenenti ai Cassiodoro, prima messi a disposizione dei cittadini di Scolacium, poi donati al monastero. Conosciamo ora l’ubicazione di Scolacium (oggi Parco archeologico della Roccelletta), di cui Courcelle era ignaro, e dall’ottica di Scolacium (neppure visibile da S. Martino di Copanello) i vivai possono dirsi "vicini" solo se si trovano sotto il versante est del monte di Stalettì (foto web 3), e solo da quel versante il mare si può "immettere",cioè incanalare verso il monte.[12] Inoltre, e questa è un’osservazione che devo ai Bocchino, sul lato est del monte, cioè alla Coscia di Stalettì, la roccia è tufacea, quindi si presta facilmente allo scavo di canali; e la costa è riparata dal vento (cosa importante per l’allevamento dei pesci nei vivai): era lì l’unico punto d’approdo, e per secoli quel tratto di costa fu noto ed usato come "Marina di Squillace". Dal versante ovest la roccia è granitica, e la costa è esposta al vento: è questo il navifragum Scyllaceum di virgiliana memoria (Aen ….).

Il secondo testo fondamentale per l’ubicazione del monastero Vivariense è il capitolo 29 nel libro I delle Institutiones. Qui Cassiodoro non si rivolge ai cittadini di Scolacium, ma ai monaci di Vivarium, e dà una serie di indicazioni topografiche, generiche se prese individualmente, ma molto precise se viste in relazione l’una all’altra; e dalla convergenza di queste indicazioni risulta che la Coscia di Stalettì (fig. …, tratteggiata in nero), dal ciglio del monte di Stalettì fino al fiume Alessi, era il sito del monastero Vivariense, delle terme annessevi, e di almeno una delle due chiese. I vivai erano sulla costa, in corrispondenza della Coscia, andavano cioè dall’odierno museo naturalistico istituito da Libero Gatti nel parco di Ca’ Fazzari, verso nord-est, lungo il Villaggio Guglielmo fino alla foce dell’Alessi (foto web 4).

Gli elementi topografici convergenti sono i seguenti: (1) l’ubicazione del Vivariense invitava a preparare il necessario per viaggiatori ed i bisognosi . Quindi il monastero doveva essere situato vicino ad una strada ben frequentata, (2) il mare era sottoposto al monastero. Cio significa, con una di quelle frasi a doppio senso di cui Cassiodoro si compiaceva, che i monaci avevano i diritti di pesca, ma anche che il mare era topograficamente sotto di loro. Ciò corrisponde ai consigli di Columella per chi voglia costruire una villa rustica: essa dev’essere in vista del mare, ma non sulla spiaggia ( dere rust. ) Il monastero era quindi vicino al mare ed ai vivai; e (3) era anche vicino al fiume Alessi. La convergenza dei dati fiume-vivai-strada consente di collocare il Vivariense vicino al tratto terminale dell’Alessi (foto web 6), dove il fiume scorre vicino alla Viaranda, la strada romana che, salendo dalla vecchia statale 106 all’altezza del’odierna Torrefazione Guglielmo, raggiunge il comune di Staletti in cima alla collina.[13] (4) il monastero possedeva mulini sul fiume Alessi, e per l’irrigazione usava l’acqua del fiume, con un sistema di chiuse. Alcuni mulini esistono ancora, e quello più a valle è alla Coscia di Stalettì, nel tratto detto Ariavucati (fig. …), e fino a pochi anni addietro un canale, oggi interrato, lo collegava al fiume. Altri mulini si trovano risalendo il corso del fiume Alessi. (5) Cassiodoro fece costruire uno stabilimento termale a scopi terapeutici "la dov’è abbondanza di sorgenti". La zona in cui esse sono più abbondanti è Ariavucati, vicinissima all’Alessi; ed (ironicamente) la miglior conferma al testo di Cassiodoro viene dalla ditta che ora progetta di imbottigliare l’acqua del sito e metterla in commercio, proprio lì dove Cassiodoro dice che le sorgenti sono ottime, sia per bere che per i bagni per la cura dei corpi infermi. Acqua con proprietà terapeutiche non è inusuale in una zona vulcanica com’è quella della Coscia.

Per quanto riguarda i termini tecnici, un breve confronto fra il testo di Cassiodoro e quella di Columella (De re rustica) renderà chiaro il significato di saepta e receptacula. Saepta sono i recinti; anche Columella ne parla, ed è chiaro che essi sono veri muri, e che Cassiodoro si riferiva ad un vero muro di cinta, del resto normale in ville romane; cosa da tener presentein future ricerche archeologiche. La stessa corrispondenza fra Cassiodoro e Columella si riscontra con receptacula, che ho tradotto con "nicchie".

Il testo di Columella descrive dettagliatamente le nicchie, cui Cassiodoro accenna soltanto: sono grotte artificiali, scavate nella roccia ad imitazione di quelle naturali. Columella (re rust…) conferma il passo di Cassiodoro relativo ai pesci liberi, eppure prigionieri, e specifica com’erano i cancelli - altro dato importante per l’archeologia. Un altro passo di Columella rende chiaro il testo di Cassiodoro relativo al "nutrire i bocconcini prelibati" (Var. 12.15). Columella spiega che un molo è indispensabile per i vivai marini, e che i pesci si devono nutrire in continuazione. Unendo l’utile al dilettevole, i moli erano spesso dotati di portici ad arcate, per proteggere i pesci dal mare in tempesta e dall’eccessivo calore, ma anche per provvedere un passeggio e ricreazione ai visitatori.[14]

Sul Castellense non abbiamo da Cassiodoro indicazioni topografiche dirette paragonabili a quelle date per il Vivariense.[17] Ci sono però due elementi chiave, il primo derivato dal testo delle Institutiones, il secondo dalla loro tradizione manoscritta risalente ad un archetipo vivariense. Secondo Inst. 1.xx il Castellense si trovava in luogo elevato rispetto al Vivariense, e l’ascesa doveva essere ripida; e nei manoscritti il titolo di Inst. 1.xx è De monasterio vivariense sive castellense.Vivariense e Castellense sono sinonimi, ed il titolo vuol dire: "Il monastero dei vivai e/o del castellum"[15]. Se vivai e castellum sono un’entità unica, non potevano trovarsi a grande distanza, ed il monastero castellense doveva essere vicino al castellum da cui prendeva il nome: nella generazione successiva alla morte di Cassiodoro il monastero è chiamato senz’altro "Castellense" da Gregorio Magno. Ed è proprio il castellum l’elemento chiave: non un castello nel senso di fortezza medievale, ma un castello idraulico romano, cioè il punto terminale di un acquedotto, che spesso alimentava le tubature d’acqua per i vivai.[16]

L’esistenza di un acquedotto che portava l’acqua dal colle di Stalettì fino alla costa, dove ora sono il museo naturalistico Gatti ed il ristorante "Le Terrazze" è ben attestata, ed Emilia Zinzi ha pubblicato la foto di alcune condutture (Zinzi 1994 p. ); la tradizione orale parla di tunnel ad arcate (ora murati) che sboccavano sulla spiaggia. Ciò corrisponde a quanto ci è noto per altri acquedotti romani, ad esempio Ventotene; a Copanello le sorgenti ci sono ancora, a monte del museo naturalistico Gatti, camuffate ed imbrigliate, ma al posto esatto per poter alimentare il castellum situato dov’è ora il museo stesso e parzialmente incorporato nelle fondamenta dell’edificio (foto web 6).

Interessante a questo riguardo la tradizione orale, proveniente da testimoni oculari, secondo cui dov’è ora il ristorante "Le Terrazze" attiguo al museo Gatti (sulla statale 106, all’uscita del tunnel di Copanello verso Reggio Calabria) c’era un cebbione con molti sbocchi d’acqua, e la testimonianza indiscutibile del fu ing. Giovanni Gatti, già proprietario del sito, il quale rese noto che c’erano (nel 1974) archi antichi nel piano inferiore dell’hotel.[17] Gli attuali proprietari (Marincola) non mi hanno consentito l’accesso all’edificio per verificare il tutto, ma dal mare è ancora visibile un arco. Il castellum era dunque dov’è ora il ristorante Le Terrazze, in posizione dominante; e da esso dovevano dipartirsi, come accadeva spesso nei castelli idraulici romani, tubature per portare l’acqua dolce ai vivai posti sulla spiaggia.

Ciò premesso, il passo di Cassiodoro relativo all’ascesa dal Vivariense al Castellense diventa pienamente comprensibile e, come il resto della descrizione, da prendersi alla lettera. Poiché esiste ancora un sentiero che dall’oliveto sito ad ovest del Casino Pepe porta, lungo il sentiero oggi chiamato "della Forestale" (demanio dello stato) alla sommità del colle di Stalettì, in località Villa Ciluzzi (foto web 7). Questo sentiero, ancora usato dai pastori del luogo, e con tracce di lastricato, ha diverse ramificazioni, di cui almeno una porta al ristorante Le Terrazze, cioè al sito del castellum; e si ipotizza fosse quello che i monaci del Vivariense prendevano per recarsi al Castellense, che dovrebbe quindi trovarsi sul ciglio del colle di Stalettì, ad altezza ancora indeterminata, ma certo separato dalla strada dov’è la fontana di Cassiodoro da un’ascesa ripida (foto web 7a, 7b, 7c)..

L’ultimo elemento di documentazione testuale è dato dalle illustrazioni delle due chiese di S. Martino e S. Ilario, parte del complesso monastico di Cassiodoro. Com’è noto, esse si trovano in tre codici medievali. Due dei tre codici riproducono, rispettivamente, due diverse edizioni delle Institutiones, entrambi risalenti ad un archetipo vivariense.[18]

Metodologicamente conviene ritenere risalenti all’archetipo gli elementi comuni a manoscritti provenienti da diversa trasmissione testuale, nel caso nostro il nome di S. Martino per una delle due chiese, quello Pellena per il fiume, e l’illustrazione dei vivai. Si tratta ora di stabilire quale di queste illustrazioni meglio rispecchi la topografia del monastero vivariense.

Il codice che gli studiosi concordemente ritengono il più fedele al testo uscito dalla penna di Cassiodoro è il Mazarine 660.[19], ma poiché esso manca degli ultimi fogli del libro I delle Institutiones, non se ne sono mai potute trarre informazioni relative al Vivariense. I fogli del Mazarine 660, però, non sono perduti: tranne due carte, essi sono alla Staatsbibliothek di Berlino, parte del codice Phillips 1830. Ritenuti un frammento indipendente dagli studiosi (un’eccezione fu l’anonimo lettore che segnò a matita, in margine alla copia del catalogo Rosen alla Staatsbibliothek, "Questo appartiene al Mazarine 660"), questi fogli sono classificati come "Frammento D" nell’edizione critica del Mynors.[20] Ma se il frammento appartiene al Maz. 660, esso appartiene alla più autentica tradizione testuale; e si spiega allora la lezione- del numero dei libri di Columella, corretta solo nel frammento di Berlino.[21] Ed è logico concludere che, se questo era il manoscritto è un membrum disiectum del Mazarine, ed il più attendibile per quanto riguarda il testo, è anche il più attendibile riguardo alle illustrazioni. Quella del Vivariense, però, non c’è.

Avrebbe dovuto esserci - tutto era predisposto a questo scopo, ma lo spazio nella pagina corrispondente è rimasto in bianco [22]. Tuttavia, le affinità tra l’impaginazione del codice di Berlino e quella del codice di Würzburg indicano che essi risalgono ad uno stesso antigrafo, e che di conseguenza anche l’illustrazione del codice di Wurzburg risale, come il testo, all’antigrafo del Mazarine 660. Conviene quindi ritenerla più fedele delle altre due pervenuteci.

Tale fedeltà riceve conferma da fonte insospettata - la carta catastale della Coscia di Stalettì (fig. ….). Nel codice di Würzburg sono chiaramente visibili due fiumi, di cui uno identificato come Pellena, e fra di essi c’è la chiesa di San Ilario. Nella carta catastale ci sono pure due fiumi, che corrispondono nell’ubicazione a quelli del manoscritto: l’Alessi ed un suo affluente, il "fosso della Coscia". Secondo il manoscritto di Würzburg, nel punto in cui i due corsi d’acqua si avvicinano c’era la chiesa di S. Ilario; effettivamente, in quel punto c’è la fontana di Cassiodoro, e c’è anche il rudere di una cappellina con un arco e (fino al 1995) la data iscrittavi: 1807. Secondo la tradizione locale al posto dell’attuale cappellina c’era un’altra chiesa, più antica e più grande.

Quasi a conferma dell’illustrazione medievale, nelle immediate vicinanze del Casino Pepe sono emersi, durante le ricognizioni 1995-1999, alcuni monumenti importanti: la fontana di Cassiodoro, la cebbia annessavi, le condutture d’acqua pochi metri a monte della fontana, e numerosi frammenti di materiale da costruzione tardoantico, ora a disposizione della Soprintendenza competente. Poiché tali monumenti non risultano dalla carta catastale, né dal piano regolatore di Stalettì, conviene parlarne, iniziando dalla fontana di Cassiodoro, che (unica) ha attratto recentemente l’attenzione della stampa locale, che ne scrive con più zelo che accuratezza[23]; mentre i reperti circostanti (la cebbia annessa alla fontana, le condutture d’acqua, la strada romana (Viaranda), sono altrettanto, anzi maggiormente importanti e formano un tutto unico, da considerare nel suo complesso.

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Updated: February 14, 2000


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