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Regina Orioli l'avevamo vantata per quel grandissimo fil di Paolo Virzì che è Ovosodo.
Interpretava alla perfezione il ruolo della fanatica-viziata-bionda-libertina che fa girare la testa e che sta nei ricordi di cuore d'ogni generazione di maschietti.
Anche questa volta che è all'interno di un prodotto corale e spontaneo, si riappropria di questa sua caratteristica, se non recitativa, quasi somatica.
Ne La guerra degli Antò, tratto dai romanzi di Silvia Ballestra, è una ragazza che "conosce l'italiano", ha coscienza di sé in un paese che quasi non sopporta i suoi abitanti e ha il sex appeal per far innamorare non uno ma tutti i componenti di una banda simile in tutto e per tutto all'armata Brancaleone.
Due o tre scene rimangono impresse anche quando si ritorna a casa, perché riportano a un mondo che si immagina quando si percorre l'autostrada, quando si parte per le vacanze e si ha paura di non divertirsi, quando si mangia da soli in una rosticceria con accanto una coppia di immigrati che si baciano.
Luoghi, odori, sensazioni, speranze tradite, c'è ogni cosa in queste immagini che sembrano raccontare poco.
Riccardo Milani firma un'opera di sicuro valore, e che è passata troppo sottotraccia in un finale di stagione per il cinema di casa nostra, che ha visto alcuni capolavori e il solito mucchio di stupidaggini che dovrebbero far guadagnare, ma che giustificano solo il consumo di videocassette e l'abbonamento a un canale digitale.
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