Ognuno viene da un paese.
Anche chi si dice da sette generazioni figlio della città.
Veniamo dalle marmellate fatte in casa, dalle donne con i fazzoletti in testa per ripararsi sia dal sole che dal freddo, dal quotidiano che va avanti senza lasciare strascichi e che sembra sempre uguale a se stesso.
Eppure a volte si cambia, a volte si torna indietro, a volte ci si mette a registrare tutto quello che è accaduto.
Come un amante tradito, un amante abbandonato.
Questa formula del ritorno sui passi, della lettura passato-presente a teatro funziona da sempre.
Offre la figura del narratore, del destino con un volto e una carineria che nella realtà non ha quasi mai.
In questi copioni, in queste recite è facile ritrovarvi il ritratto degli alibi e delle passioni che hanno scusato questo e fatto impazzire quest'altro.
E racconta proprio di famiglie e sapori semplici questo spettacolo messo in scena al teatro Dafne.

Il paese dei semplici
di Simone Navarra

Le interpretazioni sono sempre in buona forma, attente alla parola che esce oltre che a quella che si è imparata. Va bene.
Anche se ci si deve aspettare sempre il meglio dall'officina di Antonia Di Francesco e Gianni Pontillo.
L'esperimento riesce pure nei casi dove l'adattamento obbliga una ragazza ad essere un ragazzo, facendo risultare un poco goffa la dichiarazione d'amore di una coppia.
Il tutto si lascia comunque vedere, basta prestare attenzione alle parole, alle espressioni e non all'esteriore.
Complimenti anche a chi si è passato il fiocco azzurro.
Una sorta di alone ha donato attività e forza teatrale.
L'unico avvertimento lo rubiamo a Petrolini.
"Essere il protagonista non è difficile, si può sbagliare e recuperare. Per chi ha una sola battuta il percorso è più difficile".

Le recenzioni
Somm. Gen. '00 - N° 37

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