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I veneziani di Carlo Goldoni sono operosi e simpatici, nascosti dietro le loro maschere diventate famose e sempre pronti a lanciare una battuta, una definizione ritagliata intorno a chi sta di fronte.
La famiglia dell'Antiquario, portata in scena dalla sempre più attiva compagnia del teatro Dafne, è un bell'esempio di vita vera rappresentata dentro un bel costume di scena.
L'antiquario - al centro del tutto - in realtà è un nobile non tanto intelligente, impegnato a disperdere i suoi sempre meno numerosi possedimenti pur di acquistare qualche vasetto, una collanina, un libro che di antico non ha nulla.
Una moglie degna di abitare a "Dallas", a "Capital" o a "Falcon Crest" e un figlio sposato con una ricca e ambiziosa "borghese" fanno il resto.
Attraversano il dramma consunto della suocera che non sopporta la nuora, le figure e le macchiette di Arlecchino, Colombina, Pantalone e via ricordando le recite di carnevale delle elementari.
Ottimo Fabio Avaro, come troppo spesso scriviamo, seppur chiuso in movenze non naturali.
Bravo. Fa il paio la regia di Renato Capitani che risolve in modo originale un finale che altrimenti si sarebbe attorcigliato su se stesso.
Curiosità da accontentare è sentire il veneziano con inflessione di Ostia o Roma marittima come non sarà mai.
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