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Il cambio di stagione era sempre un grande evento. Arrivavano le prime piogge e con loro i primi freddi.
Del mare vicino, si sentiva ormai solo il profumo e il canale Corsini, che in estate sembrava quasi colorato, si incupiva all'improvviso.
Le barche ormeggiate dondolavano leggermente. Mi soffermavo a guardarle e a leggere i loro nomi: "Mira", "Carla", "Giovanna", quasi fossero delle persone e, simbolicamente, lo erano, forse. Fidanzate, mogli, immortalate su quelle tavolette di legno.
Il meccanico di via Alberoni, vicino di casa, si chiamava Lorini. Aveva un viso simpatico, le mani, quasi sempre sporche di morchia e un mucchio di biciclette da aggiustare.
Anch'io ne possedevo una. Un tempo era stata di mia madre, che poi l'aveva passata a me. Era nera, sempre lucida e mi piaceva tenerla pulita. Rappresentava la libertà e gli undici chilometri che mi dividevano dal mare, li percorrevo con la musica dentro.
Poco mi importava se più a sud c'era la guerra.
Ero una bambina e porto Corsini, diventata poi Marina di Ravenna, mi piaceva tantissimo.
La bicicletta ai bordi della spiaggia non la perdevo mai di vista. Lo zio parlava con i pescatori che stavano a riva. Le prime piogge significavano la fine dell'estate. Mi piaceva pensare che avrei indossato abiti diversi e che avrei messo le scarpe nere fatte dallo zio Carlino, con gli stivali dello zio Emilio.
Poi sarebbe arrivata la nebbia e la mattina, guardando dalla finestra, non avrei più visto gli alberi, ma solo i contorni.
Rami informi dalle sembianze di fantasmi e quell'odore acre che impregnava i capelli e un po' anche i pensieri. Eppure c'era un non so che di vivo in quel paesaggio.
Giocavo a immaginare e a indovinare. Li c'è una casa, più avanti la scuola. E la gente, per strada, che appariva all'improvviso.
Oggi piove. L'aria si è fatta più fredda. Il cambio di stagione. Novembre è ormai vicino. Ho indossato una felpa. Fra poco arriverà l'inverno.
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