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Nelle immense campagne cinesi la vita non è facile.
La povertà spinge i bambini a lavorare invece che a studiare e se si assentano da scuola, anche per un solo giorno, significa che hanno scelto il bene della famiglia.
In questa piccola epopea di cose e sentimenti semplici, Zhang Yimou, con il suo "Non uno di meno", riesce a coniugare la povertà della campagna e la città, la TV con la scuola rurale affidata a una ragazza cui serve denaro.
Al centro del dibattito, per l’accento a volte troppo vicino alle politiche di Pechino, il film così denso di fatica nei campi, attese del sole e della pioggia, che è certamente criticabile per l'happy end.
Strappa, insomma, sì un sorriso, ma non dice del mondo che impone la limitazione dei sogni e che da 50 anni non ha opposizione riconosciuta.
E se la realtà rurale, immediata e continua come le variazioni atmosferiche, ospita questi rapporti sempre corretti, la città è confusione e attrazione per i reietti, per i senza valori.
L'oggettivo neo-realismo delle inquadrature, delle storie minime e degli attori non professionisti - tutti bravissimi - è allora forse tradito da una lettura estremamente basilare, bianca o nera come piace ai politici che non si vogliono lavare i panni lontani da casa.
Gli scolari devono stare al loro posto, non devono mancare, il futuro è la costruzione di un paese giusto.
Questa la promessa. Mantenuta?
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