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Della mia famiglia sono rimaste solo le foto.
Adesso sono più gli assenti che i presenti.
Le ho cercate le fotografie, quasi tutte in bianco in nero o addirittura, quelle di mio padre, di quel colore seppia che si scattavano negli anni venti.
Ogni anno andava a Riccione. Si era infortunato sul lavoro e le Ferrovie contribuivano a rimborsargli il periodo di cura.
Eccone una, seduto in mezzo a un gruppo di amici, in accappatoio e con un sorriso accattivante. Penso che l'amore per il mare debbo averlo ereditato da lui.
In un'altra foto, ancora al mare, mamma, carina e delicata e mio fratello Pietro, bello e pensieroso, con i ricci appena tagliati. Io sarei nata qualche anno dopo.
Risento le loro voci nel casello ferroviario di Faenza. Nella grande cucina, il tavolo era al centro della stanza. Il camino occupava mezza parete, non c'era la luce elettrica e una lampada ad olio che, a sera, mandava dei tenui bagliori, mi faceva ricordare la chiesa e gli odori dell'olio bruciato, l'incenso.
Il passaggio a livello sulla via Emilia era controllato da mio padre. Le sbarre venivano manovrate a mano e quando lui non stava bene ci pensava mamma. Lungo la ferrovia c'era un orto ed un albero di pere volpine piantato nel recinto dove razzolavano polli ed ochette.
Ho comprato un nuovo album per le foto di Pietro. Gli anni quaranta, con la guerra che era appena iniziata. Lui era di leva. Una serie di scatti in cui giovane e bello appare nelle varie pose vestito da aviatore con i capelli fermati forse dalla brillantina, perché erano tanti e ricci.
L'aeroporto di Castiglion del Lago, lui era motorista. Eccolo, in calzoni corti, vicino agli aerei. Ho sistemato le immagini in ordine di tempo. Ho ricostruito la mia famiglia. Non sono triste. Calarmi in quegli anni mi conforta, non mi fa sentire sola.
Loro, in fondo, sono sempre con me.
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