"Ah la telematica!"

Problematiche della comunicazione e progettazione in rete

Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica di Milano

 

Le brevi riflessioni che vado a fornire di seguito costituiscono un parziale rapporto di osservazione delle dinamiche comunicative che si sono verificate in rete durante il seminario di progettazione didattica on line coordinato presso l’Università di Firenze da Antonio Calvani.

La parzialità del rapporto va determinata in ordine a tre sostanziali ragioni:

  1. anzitutto, perché l’analisi non riguarda la totalità del flusso di comunicazione verificatosi nell’ambito del seminario, ma solo quello relativo ai messaggi in transito nella mailbox denominata "xosserva", la cui funzione dichiarata (fatica) era quella di definire un’area di osservazioni libere e di discussione in cui sollevare problemi in ordine al lavoro che si stava svolgendo;
  2. in secondo luogo perché il punto di vista che viene assunto è quello di riflettere sulla comunicazione prodotta dal responsabile del seminario (resta pertanto esclusa dall’analisi l’osservazione della comunicazione prodotta dai singoli coordinatori);
  3. infine, il carattere delle riflessioni che annoteremo di seguito è la assoluta provvisorietà, una sorta di prima impressione ancora da validare attraverso l’analisi del resto del materiale nell’economia generale di una osservazione a 360° di tutto il seminario.

Obiettivo dell’intervento non è tanto quello di giungere a una diagnosi attenta dello stile di comunicazione telematica di Calvani, quanto di fornirne un modello praticabile di analisi e di diagnosi di eventuali patologie comunicative.

 

Note di metodo

La nostra analisi (che muove dal riscontro quantitativo che circa il 50% dei messaggi in transito sulla mailbox osservata - 16 su 37 scambiati lungo tutta la durata del seminario – sono del direttore di seminario!) gioca sostanzialmente su due tipi di descrittori:

  1. descrittori funzionali, che individuano le tipologie di messaggi osservati in ordine al tipo di finalità che essi si propongono di raggiungere;
  2. descrittori di qualità, che tendono a tipologizzare non tanto in rapporto alla funzione del messaggio, quanto piuttosto in relazione al valore comunicativo e alla tonalità emotiva dello stesso.

Nel caso specifico vengono individuati 4 tipi di descrittori funzionali che identificano altrettanti tipi di messaggio:

  1. direttività - orientamento dell’attività dei gruppi;
  2. rinforzo - apprezzamento del lavoro dei gruppi;
  3. riflessività – produzione di considerazioni "meta" sull’oggetto dell’esperienza (la cooperazione finalizzata alla progettazione on line);
  4. conflitto – risposta ad attacchi da parte di componenti dei gruppi.

Di due tipi sono, invece, i descrittori di qualità:

  1. consapevolezza di ruolo – esplicitazione delle funzioni connesse all’esercizio del proprio ruolo;
  2. soggettività – esplicitazione, tematica o meno, di atteggiamenti, quadri valoriali, precomprensioni personali.

Non è difficile individuare dietro a questi descrittori alcune delle funzioni comunicative di Jakobson: soggettiva (consapevolezza di ruolo, soggettività), fatica (direttività, rinforzo), conativa (direttività), referenziale (riflessività), metalinguistica (riflessività, consapevolezza di ruolo).

Proviamo a dare alcune indicazioni relative ai diversi descrittori prescindendo dal loro trattamento statistico (anche se sarebbe di grande interesse stabilire, in percentuale, se la comunicazione osservata, nel suo complesso, sia più direttiva, conflittuale, ecc.).

 

Le finalità della comunicazione

1. Facendo media dei messaggi inviati, risalta subito come il tono di essi sia soprattutto improntato all’orientamento del lavoro in rete dei partecipanti e alla riflessione di tipo "meta" sulla didattica tecnologica.

In essi si specifica il tipo di uso delle diverse mailboxes invitando chi ne avesse fatto un uso diverso a uniformarsi ai criteri standard; si invita a rispettare il ritmo stabilito per le comunicazioni (settimanale); si intima ai coordinatori di portare su xmonitor i problemi interni al proprio gruppo ("Non possono non averne"); si chiarisce che è comunque il coordinatore a dover "avere l’ultima parola"; si suggerisce quale potrebbe essere la funzione dell’esperto.

Quanto alla riflessione "meta", essa evidenzia la difficoltà specifica del lavoro di cooperazione on line e chiarisce come si tratti di una nuova forma di cultura – cultura dell’analisi e della comunicazione - che trova la propria valenza educativa proprio nella capacità di rispettare le regole negoziate dal gruppo e di mantenere il controllo dei processi.

2. Solo due volte, nella messaggistica di Calvani, ci si imbatte in interventi di rinforzo al lavoro dei gruppi.

Nel primo caso si tratta di un classico intervento fatico in cui viene esplicitata la comprensione del responsabile di progetto per la difficoltà del lavoro ("Sono i primi passi. Succede sempre cosi. I primi momenti sono di disorientamento, sgomento. Emergono anche conflitti, anche complessi"), si verbalizza la consapevolezza che nel caso della cooperazione on line la difficoltà è ancora maggiore ("Sappiamo tutti che fare progetti e` di per sé non facile. Più difficile ancora e`, ad esempio, fare progetti in area di frontiera di ricerca (di questo tipo). Ancor più difficile e ` farli, cercando di aiutarci reciprocamente a distanza (anche con persone che non si conoscono gran che)…"), si conclude con toni parenetici: "Però, se negli esseri umani prevale alla fin fine la ragionevolezza ed il buon senso, tutto si può fare. Con pazienza, vedendo nelle "critiche" un fattore di possibile crescita, esponendosi al confronto serenamente".

Il secondo caso, invece, è l’unico (!) vero apprezzamento per il lavoro di un gruppo: "Il progetto del gr.2. è il primo tentativo, per quanto io conosca, di inquadrare in modo sistematico le diverse valenze che può assumere intranet nella scuola. E' un progetto considerevole, segna una svolta. Merita proprio per tutti di stamparlo e leggerlo".

3. In tutto l’arco del seminario si sono dovute registrare (almeno a livello esplicito) due turbolenze comunicative tra i partecipanti e il responsabile, turbolenze che si sono poi allargate a interventi di sostegno a una o all’altra posizione, nonché volti a stemperare la tensione riportando in equilibrio il sistema.

Il primo problema, sollevato da una partecipante e presto condiviso da altri, era relativo alla percezione del ruolo di Calvani e si esprimeva in tre sostanziali appunti:

  1. l’insofferenza per la pressione psicologica esercitata sui partecipanti intimando loro il rispetto dei tempi, pressione che non avrebbe tenuto conto delle difficoltà legate alle dinamiche di comunicazione interne a i gruppi;
  2. il rifiuto di collocarsi in un’ottica fiscale in ordine al conteggio del tempo di autoformazione, cioè al numero di ore "in rete" da computare ai fini della certificazione (" del pezzo di carta non ce ne frega niente…");
  3. il dubbio che la giornata di convegno del 31 ottobre, che avrebbe dovuto concludere il seminario, fosse dettata solo da motivi di opportunità politica e che, di conseguenza, i tempi stretti e il formato rigido imposti ai gruppi costituissero in sostanza una forma di censura preventiva (onde evitare che i referenti ministeriali sentissero cose poco gradite).

Il secondo problema, invece, è nato in relazione ai tempi di presentazione dei progetti nell’ambiente di groupware GOL perché potessero essere discussi prima di giungere alla loro definitiva formulazione: qui l’appunto dei partecipanti, che in parte ribadiva l’eccessiva pressione esercitata da Calvani sui gruppi, sottolineava il fatto che si fossero anticipati i tempi di questa presentazione rispetto a quanto concordato durante il primo incontro presenziale di Firenze per l’impostazione della ricerca.

Più che i contenuti del feed back che Calvani restituisce in questi due casi, è interessante la metodologia della risposta, che consiste in una "analisi filologica" della comunicazione. Riportiamo, a mo’ di esempio, la risposta al secondo problema, relativo alla presunta anticipazione dei tempi di presentazione dei progetti in GOL.

"A questo punto, visto che dobbiamo riflettere sulla comunicazione telematica, può essere utile (ed anche "divertente") un riesame filologico dei passaggi.

Il punto che ha generato l'equivoco e' la mia seguente affermazione:"1) STESURA COMPLETA DEL PROGETTO. Ricordo la data del 15 ottobre come data per la quale una stesura (ragionevolmente) completa del progetto (o ipotesi di lavoro) dovrebbe risultare visibile in GOL.".

Quando dico "ricordo" io mi rifaccio agli accordi presi il 14-15 (niente di piu', niente di meno), nei quali avevamo gia' stabilito che per tale data si sarebbe avuta una prima stesura (ragionevolmente completa).

Gli accordi del 14-15 prevedevano le seguenti fasi di elaborazione del progetto:

-schema brain storming (14-15 sett.)

-prima scaletta (fine settembre)

-prima stesura completa del progetto (15 ottobre)

-revisione e stesura "finale" del progetto (30 ott.).

Quando dico "completa" intendo distinguere il progetto dalla scaletta (o semplice dichiarazione di intenti)."Completa" e' diverso da "finale", riferendo questo termine al carattere che il lavoro dovrebbe avere il 30 ottobre (tenendo presente che il concetto di finale e' relativo, come già detto).

Questo era un mio presupposto. Il mio errore e' stato di averlo dato per scontato. Diverse persone hanno inteso "completa" come "finale", ed hanno pensato che proponessi... una sorta di improvvisa accelerazione dei tempi. Ma come si fa ad immaginare che di punto in bianco proponessi: "Via, facciamo in una settimana il lavoro che avevamo previsto di fare in tre settimane"? Nello stesso ms, parlando della versione designata come "finale", mi soffermo a suggerire (si esamini il punto 5) come, forse, non sia necessario fare questa nuova compilazione: non e' importante avere un testo in bella, la faccia se uno puo' e vuole farla. Per questo la mia indicazione contenuta nel ms del 9/10 era di "ALLEGGERIMENTO rispetto agli accordi del 14-15: fermo tutto quanto stabilito nel 14-15 propongo di non perdere tempo a compilare la versione finale (all'opposto invece di anticipare la visibilita' del lavoro in progress ad esterni). Questo il senso del mio ms.

Quel "ricordo" e l'uso diverso di "completa" e "finale" non sono state pero', ahime', spie linguistiche sufficienti. Mi arriva il ms Contini di questo tenore perche'... "arrivino indicazioni (o osservazioni ?) cosi' impreviste e disorientanti proprio da chi dovrebbe possedere la necessaria prudenza..."

Mi scervello su cosa diavolo non vada. Ho mandato negli stessi giorni parecchia roba. Forse non si sara' d'accordo sull'organizzazione della giornata di convegno, sulla semplificazione di Gol.. Non mi era facile pensare che il problema potesse essere scaturito da quel punto, in cui, in tutta serenita' avevo fatto una proposta di alleggerimento. La cosa emerge piu' chiara dagli altri interventi (tendenti a collocarsi in una logica di tutela "sindacale" del gruppo).

Sarebbe bastata una domanda: "quando dici stesura "completa" intendi dire che dovremmo già essere ad un livello più avanzato di quanto stabilito, o addirittura a livello della stesura che avevamo ipotizzato per il 30"?

Al che avrei risposto: "ma nelle sue forme e nei ritmi stabiliti. E' solo la visibilità all'esterno che chiedo di anticipare, per accrescere la quantità degli apporti all'esterno". Anziche' rendere visibile il lavoro a livello di versione "finale", rendiamolo visibile a livello di "versione"-15 ottobre (una versione che, essendo completa nelle sue parti, puo' essere gia' oggetto di discussione). E tutto si sarebbe chiarito".

4. Una prima parziale conclusione, riguardo ai diversi tipi di messaggio scambiati in rete dal responsabile del progetto, è la assoluta coerenza, rintracciabile in una ben precisa idea del lavoro in rete: esso non può che essere organizzazione, controllo di processo, scambio che obbedisce a regole ben precise. Un’idea resa ridondante ai diversi livelli: nella direttività della messaggistica, nella riflessione "meta" – in cui si definisce la cultura della rete una cultura dell’analisi e della comunicazione – e nella gestione del conflitto, che è volta a dimostrare come il conflitto stesso sia generato proprio da un mancato controllo del processo, da un venir meno della collaborazione nell’analisi e nella comunicazione.

 

La qualità della comunicazione

Questa idea si dimostra essere il vero elemento aggregante anche quando si passa dall’analisi della tipologia dei messaggi a quella del loro tono comunicativo.

Qui il primo dato rilevante è la verbalizzazione implicita da parte di C. della consapevolezza del ruolo che sta giocando, che si coglie bene in interventi che manifestano la autopercezione della propria rigorosità forse eccessiva ("Scusate la puntigliosità"), denunciano, quando succede, la deroga alle regole precedentemente fissate per il gruppo ("Mi scuso se debordo un po’"), rivelano meccanismi di tipo proiettivo circa il proprio "gusto" per la teorizzazione ("Lasciamo stare le discussioni meta… organizzazione").

L’esito di queste implicature (nel senso griceano del termine), soprattutto nella fase del conflitto, è l’interrogazione aperta sulla percezione del propri ruolo da parte del gruppo: "Forse puo' essere la lunghezza stessa del ms e/o la frequenza stessa dei miei messaggi. Forse intervenendo, anche indirettamente, mi trovo ad indurre ansia. Sara'cosi. Ma se questo accade, mi chiedo perche' accada? Qual e' la percezione del mio ruolo?".

A questa domanda viene una risposta dallo stesso C. che passa attraverso due tipi di comunicazione:

  1. l’esplicitazione chiara (qualora non lo si fosse già desunto da tutti gli indicatori che abbiamo già osservato) delle funzioni della sua comunicazione: "Il senso del mio ruolo poi, oltre quello di dare una mano, se ci riesco, quando mi vengono presentati dei problemi concreti e chiaramente definiti, consiste nel favorire un'organizzazione un po' piu' razionale - che ci riesca e' tutto discutibile";
  2. l’accentuazione della "soggettività" della comunicazione, che restituisce informazioni relative al proprio vissuto ("Non volevo proprio scrivere più, sono in effetti anche un po' stanco (per non dire deluso, credo come lo saranno molti, per altri motivi)") e al proprio stile di relazione ("Personalmente mi ritengo una persona disponibile ad ogni tipo di critica. Sostengo inoltre che queste non fanno che bene. Mi sforzo poi di essere possibilmente chiaro quando scrivo (comunque i fraintendimenti sono sempre possibili)") terminando in una doppia ammissione: "Sono un pragmatico", "Non è mia intenzione essere educativo".

Proprio quest’ultima affermazione consente una parola conclusiva anche su questo secondo momento dell’analisi. Esso pare evidenziare un cortocircuito tra la volontà del responsabile di progetto di giocare un determinato ruolo (diciamo di garante dell’efficienza di tutto il processo) e la percezione che di questo ruolo hanno avuto, almeno in parte, i componenti dei gruppi: il richiamo "pragmatico" alle regole è stato recepito come eccesso "educativo"! Il rilievo di questo scarto apre lo spazio per alcune conclusioni in ottica di progettazione della comunicazione formativa.

 

Alcuni rilievi conclusivi

Alla luce degli elementi fatti emergere nell’analisi proviamo a collocarci nella prospettiva di una analisi di processo che cerchi di risalire alle ragioni del problema indicando la via a una loro eliminazione nell’ottica di una ottimizzazione dell’esperienza.

  1. Un primo rilievo, forse ovvio ma importante, è che i partecipanti al seminario non sono studenti, ma adulti di formazione universitaria, a elevata competenza tecnologica, che proprio in virtù di questa competenza presumibilmente giocano nei loro contesti di appartenenza ruoli di leader. È facile prevedere, quindi, una certa insofferenza da parte di questo tipo di soggetti nei confronti dell’autorità, o comunque riguardo a processi decisionali che non si risolvano in forme negoziali e paritetiche, ma percepite come impositive e quindi asimmetriche.

Questo aspetto è rinforzato da almeno tre ulteriori fattori:

  1. la precomprensione (errata, ma autorizzata dalla mitologia dei media) che la rete debba essere lo spazio per eccellenza della razionalità anarchica;
  2. il fatto che questi adulti, ad alto livello di alfabetizzazione, siano insegnanti (in questo caso l’insofferenza per l’autorità diviene strutturale, genetica);
  3. il fatto che, soprattutto per qualche partecipante, pesasse il vissuto di una precedente conoscenza (e, magari, conflittualità) con il responsabile del seminario.

Da tutto questo si capisce come l’esplicita ammissione di pragmatismo e la denuncia della propria consapevolezza di ruolo da parte di C. non fosse veramente sufficiente a sgombrare il campo da equivoci.

  1. A questo primo dato ne va aggiunto un secondo. La rete quanto meno conserva, se non addirittura enfatizza, i problemi della relazione vis a vis. Questo rilievo, pacifico nella letteratura scientifica, ha trovato nel seminario una conferma emblematica. Le variabili ambientali (precompernsioni, profili soggettivi dei partecipanti, dinamiche di gruppo) non vengono per incanto annullate nel momento in cui si adotta la rete come spazio di lavoro: forse questa è l’ingenua pretesa di certa "fantascienza" della didattica tecnologica. Se la cooperazione costituisce già per me uno stile di apprendimento e di lavoro sarà più facile che riesca a trasferire questo stile on line, in caso contrario le difficoltà saranno veramente grosse.
  2. Senza generalizzare, mi pare allora di poter indicare, come strategia organizzativa volta alla ottimizzazione dell’esperienza, di ripensare in maniera più accurata il momento presenziale che ha costituito l’impostazione di tutto il seminario. In particolare andranno precisate in quella sede (e discusse con tutti i partecipanti in modo che siano condivise) le regole esatte che dovranno disciplinare la comunicazione, compreso un galateo di comportamento per il responsabile. Questo consentirà di fugare dubbi sull’ "ingombro" della sua presenza, se si sarà deciso che essa è funzionale al controllo di tutto il processo, e di economizzare sui tempi e sulle energie spesi a gestire (e dirimere) gli inevitabili conflitti che immancabilmente ri-sorgeranno se a questa esplicitazione non si sarà proceduto.


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