Pier Cesare Rivoltella

SGUARDI DEL SILENZIO

Per un'etica dell'immagine pubblicitaria

 

Il problema dei rapporti tra immaginario massmediale ed istanza etica costituisce da sempre, ma a maggior ragione oggi, un tema ineludibile per chiunque intenda porsi di fronte alla pratica comunicativa in atteggiamento di seria e responsabile sollecitudine. E questo non solo nel caso di un approccio al comunicare che lo pensi come dimensione dell'agire umano da ordinare inequivocabilmente all'orizzonte del senso, ma anche per chi decida di muoversi in una condizione post-metafisica, segnata, secondo categorie del dibattito filosofico attuale, da una visione s-fondata della realtà, dall'eclissi del soggetto, dal superamento dell'oggettività dell'ordine etico.

Il presente studio intende mettere a tema proprio questa preoccupazione etica, con riferimento particolare alla comunicazione pubblicitaria e, in essa, al problema della rappresentazione della sofferenza, della morte. L'occasione per l'analisi viene offerta da uno degli spot che hanno aperto, il 19 novembre 1993, la seconda campagna "Ho bisogno di te" promossa dalla RAI, in collaborazione con la Croce Rossa e la Caritas italiane, in favore delle popolazioni della ex-Jugoslavia. Vediamo che tipo di rilievi consenta e quali riflessioni autorizzi.

 

1. Precomprensioni d'ingresso

Prima ancora di procedere alla trascrizione grafica dello spot, che costituirà il momento d'avvio della nostra analisi, due osservazioni si impongono subito, già ad un primo approccio, a fornirci l'orizzonte di riferimento e le attese a partire dalle quali accostarci ad esso con intenzione critica: mi sembra possano riguardare la tipologia cui esso si può ricondurre e la sua collocazione all'interno del palinsesto.

Quanto al primo problema, sia i rilievi video che i rilievi audio, ci consentono chiaramente di inserire lo spot in analisi all'interno di quella categoria di messaggi che abitualmente vanno sotto il nome di "pubblicità sociale" o di "pubblicità avente fini sociali", od ancora di "non profit advertising", vale a dire quei messaggi contraddistinti dal "richiamo ad una costellazione di valori solidaristici, umanitari, civili", cioè dalla "consapevolezza di una utilità collettiva nella pratica di quei valori", dalla "convinzione di una loro potenziale universalità" (GADOTTI, 1990; 419) e che proprio per questo si caratterizzano, rispetto a tutti gli altri messaggi pubblicitari, per il loro obiettivo non commerciale.

I soggetti dello spot in esame, infatti - la RAI, la Caritas, la Croce Rossa, soggetto pubblico la prima, agenzie non profit le altre - intendono intervenire dal punto di vista comunicativo sullo spettatore non per suscitare un determinato comportamento commerciale o predisporre una certa tapezzeria mentale, ma per sensibilizzare ad un problema, pro-vocare ad una scelta di campo. Un tipo di attenzione, questa, che ci sembra evidentemente dichiarata dallo spot già a livello di marche di riconoscimento (titolatura, sovrascritte, ecc.) ed anche sottolineata dalle scelte linguistiche che, come vedremo, ne caratterizzano la ripresa ed il montaggio.

La vocazione sociale del messaggio, quello che abbiamo definito il suo carattere provocatorio, viene peraltro ribadito dall'intenzionalità che sembra aver guidato la sua collocazione all'interno del palinsesto: un passaggio in prima serata, tra il telegiornale e la sua appendice di informazione sportiva, a precedere la serie di messaggi commerciali che abitualmente scandiscono, nel notiziario della seconda rete, proprio i due momenti della cronaca e dell'attualità sportiva. Una collocazione che evidenzia l'intenzione di raggiungere un pubblico ampio, di usare il telegiornale come traino dello spot, di anticipare il cambio di canale che in molti casi può scattare alla comparsa della pubblicità. Non solo. Oltre a questa preoccupazione, che si giustifica con la volontà di garantire al messaggio un’alta ricettività ("vogliamo che durante il passaggio di questo spot, davanti al televisore ci sia il maggior numero di spettatori possibile"), l'individuazione della prima serata e in particolare dell'ora dell'informazione può rispondere anche ad un'altra esigenza: quella di entrare in casa degli italiani al momento della cena, giocando a rompere la loro tranquillità proprio quando più facilmente potrebbe crearsi ("vogliamo farvi sapere che proprio in questo momento qualcuno, invece di consumare la cena in un ambiente confortevole, sta soffrendo"). Si vuole raggiungere tutti, dunque, e li si vuole raggiungere con il massimo di efficacia pragmatica possibile.

Il risultato è di ricavare da queste due osservazioni già una sorta di precomprensione ai fini della ricezione dello spot: si tratta di un messaggio che si connota subito per la sua marcata valenza sociale e una certa aggressività comunicativa. L'obiettivo è di sensibilizzare lo spettatore e per raggiungerlo si ricorre ad una terapia d'urto. Verificheremo se proseguendo nell'analisi questa precomprensione troverà modo di tematizzarsi.

2. La geografia audiovisiva: l'inventario degli elementi espressivi

Il nostro percorso di analisi, l'abbiamo già anticipato, deve prendere avvio dalla trascrizione grafica dello spot: la riproduciamo nella tabella in calce all'articolo.

Sulla base dei rilievi operati nel corso di questo lavoro si tratterà anzitutto di vedere che tipo di considerazioni sia possibile fare, sul piano dei codici grafo-visivi, cioè dei codici operanti al doppio livello del registro percettivo-figurativo (in sostanza gli aspetti grammaticali dell'immagine) e degli interventi narrativi e di montaggio (la sintassi attraverso cui le singole immagini sono poste in relazione fra loro).

Alcune osservazioni si impongono anzitutto a livello iconico.

Quella più ovvia, sul piano segnico, è relativa al profilmico ed alle modalità attraverso le quali esso ci viene mostrato. Le immagini che vediamo sono della ex-Jugoslavia, lasciano intuire l'arrivo di un inverno rigido e precoce (alle inqq.1-3 e 10 il paesaggio è abbondantemente innevato), alludono alla situazione di guerra che tuttora persiste in quelle regioni (il soldato che corre all'inq.4), evidenziano le difficoltà che l'inverno viene ad aggiungere ad una situazione già sufficientemente problematica (come si capisce dalle inqq. 6-9 e soprattutto dalla inq. 5, flash sulla sofferenza di alcuni malati in un ospedale e sulle coperte e la stufa che dovrebbero difenderli dall'inverno).

A questi rilievi se ne aggiungono altri sul piano figurativo.

Ciò che si può subito notare, da questo punto di vista, è la presenza dello sguardo in macchina, dell'interpellazione come frequente scelta linguistica (soprattutto se il ricorrere di questo tipo di sguardo si mette in relazione alla durata dello spot ed al numero di inquadrature di cui si compone, entrambi esigui): all'inq.1, è lo sguardo dei due occhi azzurri della bambina che costituisce l'elemento di riconoscimento dell'intera campagna, all'inq.7 quello della ragazza nel letto d'ospedale, all'inq.9 ancora quello degli uomini anch'essi in un letto d'ospedale. Sempre sul piano figurativo (inqq.1, 6, 7) è da registrare, poi, il ricorso al primo piano ed al particolare (inq. 6) con valore di sottolineatura, di evidenziazione della situazione. La macchina sembra accompagnare lo sguardo di chi osserva sui volti, sulle cose, indicandone l'emergenza. Infine (soprattutto alle inqq. 2-4) va notato come la camera si renda presente, faccia in modo di essere percepita, ad esempio nei movimenti bruschi che accompagnano le panoramiche o nelle oscillazioni che lasciano avvertire la presenza dell'operatore, proprio come succede nei documentari amatoriali o nei reportages girati in condizioni ambientali di estrema precarietà.

Questo orientamento a mostrare la realtà ed alla interpellazione dello spettatore, nonché il carattere documentaristico dell'immagine, vengono ribaditi sul piano del montaggio.

Lo spot, da questo punto di vista, sembra lasciarsi comprendere tra due inquadrature, la inq.1 e la inq.11, che paiono surrogare i titoli di testa e di coda dei prodotti fictionali, fungendo da marche di riconoscimento dello spot. Lo sottolineano le due dissolvenze incrociate (le uniche di tutto lo spot) che rispettivamente le seguono e le precedono, ma anche il volto della bambina che guarda in macchina, le scritte sovraimposte all'immagine ("Ho bisogno di TE"), l'accompagnamento sonoro (su cui torneremo in sede di rilievi audio). Tra queste due inquadrature, piuttosto lunghe (12" la prima, 18" l'ultima) una serie di inquadrature brevi, legate fra loro da una serie di stacchi netti, che ribadiscono l'assenza di manipolazione tecnica e riproducono l'impressione di una restituzione fotografica delle cose in presa diretta, a ribadire quanto già notato sul piano figurativo circa l'uso della camera.

Queste emergenze, soprattutto l'aggressività comunicativa con cui lo spot investe lo spettatore, si possono registrare anche a livello della ridondanza grafo-visiva che caratterizza il messaggio di cui esso si fa veicolo.

E' il caso della scritta: "Ho bisogno DI TE", che apre e chiude la sequenza dei frames di cui lo spot è costituito e che ribadisce gli sguardi in macchina della bambina dell'inq.1, della ragazza dell'inq. 8, degli uomini dell'inq. 9, sguardi che vengono disambiguati nel senso di una richiesta d'aiuto ("Ho bisogno") rivolta proprio allo spettatore che in quel momento se ne sta seduto nella poltrona di casa ("DI TE"), come evidenzia la grafia in maiuscolo con cui sono scritte queste ultime parole.

A questa richiesta d'aiuto "personalizzata" il cartello che scorre in sovraimpressione all'inq.10 fornisce contenuto: "E' arrivato l'inverno e in un ospedale vicino a Sarajevo cinque persone sono morte per il freddo. Molti altri malati stanno rischiando di fare la stessa fine. SALVARLI dipende anche da noi". Con questo l'impegno personale cui ciascuno è invitato trova la sua motivazione ed acquistano significato - sebbene fossero già eloquenti a prescindere da questo commento - le immagini delle inquadrature precedenti: a Sarajevo, ora che è arrivato l'inverno, si muore anche di freddo!

L'analisi degli elementi audio dello spot, ci consente di completare la ricognizione scompositiva del testo, confermando, come vedremo i rilievi già portati a livello video.

Iniziamo a rilevare, a questo proposito, l'assoluta assenza di commento esplicitato verbalmente lungo tutta la durata dello spot. L'unica eccezione è costituita dall'inq. 10 in cui una voce off si limita a ribadire carattere, soggetti e finalità del messaggio in questione: "Ho bisogno di te. Un'azione di aiuto a favore dei popoli della ex-Jugoslavia in collaborazione con la Caritas Italiana e la Croce Rossa Italiana". Da questo punto di vista, potremmo dire che il contenuto informativo del sonoro è inversamente proporzionale a quello della parte video, in tal senso assolutamente eloquente. Così, l'unico sottofondo per le immagini è costituito dalla musica che identifica la campagna (proprio come le immagini delle inqq.1 e 11 nella parte video), una musica che, analogamente a quanto visto in ordine alle due dissolvenze che aprivano e chiudevano l'asse diegetico sul versante iconico, sfuma sul passaggio tra le inqq. 2 e 3 per riprendere solo alla inq.11. In mezzo solo un ritmare mesto e cadenzato di tamburi, che fa da accompagnamento o a rumori realistici di spari e colpi di mortaio (alle inqq.3,4,10) o ad un silenzio quanto mai eloquente. Questi ultimi - spari e silenzio - costituiscono le uniche annotazioni possibili in ordine ai rumori contenuti nella colonna sonora.

L'impressione generale che si ricava al termine di questa rapida ricognizione è di una estrema sobrietà, di una grande compostezza: il sonoro, da questo punto di vista, risolve il proprio compito nel lasciare spazio all'immagine, completandone il senso (gli spari) o sottolineandone i tratti (lo slogan: "Ho bisogno di te").

3. La strategia discorsiva: la centralità dell'interpellazione

Terminati il recupero e la registrazione puntuale di tutti gli elementi coinvolti nell'enunciazione, la nostra analisi deve ora iniziare ad aprirsi alla individuazione della progettualità comunicativa ad essa sottesa. Si tratta in sostanza di passare dall'analisi della superficie significante, che rende conto di codici e lessici impiegati nella articolazione di immagine e suoni, a quella dello spessore del testo, evidenziando quale tipo di comunicazione esso inneschi.

Tre ci sembrano i rilievi interessanti da annotare in proposito:

- in linea preliminare la rinuncia ad argomentazioni di tipo retorico;

- in secondo luogo la scelta di lasciar parlare il visibile;

- in terzo luogo, a livello video e a livello audio, l'emergere dell'interpellazione quale modalità comunicativa fondamentale.

Cerchiamo di vedere in che senso recuperando le emergenze registrate nella parte iniziale dell'analisi.

Il primo dato evidente, nello spot, è anzitutto la rinuncia alle strategie argomentative che abitualmente caratterizzano la comunicazione pubblicitaria di tipo commerciale, ma anche certa pubblicità progresso. Non c'è traccia nel nostro spot di nessuno dei topoi della tradizione retorica classica, tanto meno si registrano in esso particolari forme di argomentazione persuasiva, ancora, nella struttura dei codici messi in gioco, non ci sembra di rilevare il funzionamento di particolari strutture simboliche. L'obiettivo dello spot, in sostanza, non è persuasivo e nemmeno esso intende "vestire simbolicamente" oggetti - sottolineandone il valore di forte identificazione sociale - per incentivarne l'acquisto. Questo, oltre a suggerirci un ben preciso modo di dislocarsi dell'enunciatore nel testo (vi torneremo in sede conclusiva) ci rinvia immediatamente al secondo aspetto rilevante che abbiamo individuato.

La rinuncia all'argomentazione persuasiva, infatti, non si giustifica come una scelta spontanea, magari dettata dall'intenzione di garantire dignità comunicativa ad un messaggio sociale, ma si motiva mediante il ricorso ad una diversa strategia comunicativa, che sostituisce l'argomentazione con l'informazione. Tutta una serie di marche espressive operanti nello spot lo sottolineano. Anzitutto lo stesso profilmico, che mostra immagini assolutamente reali: l'inverno, la guerra, la sofferenza in un ospedale. Ma lo ribadiscono le scelte di ripresa e di montaggio, decisamente documentaristiche: una camera che traballa, che pedina le cose, fruga tra i volti, segue i personaggi, fotografa le situazioni; le immagini montate in rapida sequenza, per stacchi netti. A questo si aggiunga il sonoro, quasi esclusivamente occupato dai rumori realistici delle armi o da un silenzio denso di significato, ed il commento che scorre in fondo allo spot come un dispaccio d'agenzia a fare presente che a Sarajevo è sopraggiunto l'inverno e si muore di freddo.

Questa presentazione scarna dell'esistente, questa pubblicità-documentario, si serve, infine, dell'interpellazione come fondamentale scelta comunicativa. Un tipo di sguardo, l'interpellazione, che è l'"aperto indirizzarsi a chi sta seguendo il film" in cui, da un lato, "l'avanzare delle immagini e dei suoni si traduce in un intervento diretto, nella forma del gesto d'invito, o della confidenza a quattr'occhi", dall'altro, si configura come "uno spazio perfettamente agibile, un versante aperto quasi a forza da quell'occhiata, e pronto ad essere concretamente riempito, sia pur in un ambito ulteriore com'è quello attivato dalla comunicazione" (CASETTI, 1986; 73). In altre parole, quando un personaggio guarda in macchina, o quando l'istanza enunciativa che attraversa il testo si rivolge allo spettatore con didascalie o con l'uso della voce, in questo momento tale istanza prende corpo, si tematizza esplicitamente e "sfonda" la linea che demarca lo spazio del testo da quello dello spettatore per rivolgersi direttamente a lui. Non solo. Proprio attraverso questo sguardo, proprio attraverso questa apertura, lo spazio del testo si rende disponibile ad essere attraversato, richiede che lo spettatore intervenga attivamente a riempirlo. Dunque, un rivolgersi a qualcuno perché faccia qualcosa.

E' proprio questo modo di comunicare che i diversi elementi del nostro spot ci consentono di rilevare. Lo si coglie a livello video, dove il ricorso allo sguardo in macchina funziona a duplice livello.

Nella inq.1, anzitutto, quella che serve da frame di riconoscimento della campagna, in cui gli occhi e poi il volto della bambina, rivolti verso la camera, denotano subito l'obiettivo della campagna stessa: si tratta di un'azione d'aiuto, che non può realizzarsi senza la collaborazione di tutti. E lo slogan, "Ho bisogno DI TE", lo ribadisce eloquentemente, rinforzando l'efficacia pragmatica del messaggio attraverso il ricorso al maiuscolo, che accentua ulteriormente il carattere personale dell'invito, sottolineandone ad un tempo il doppio soggetto: la bambina, che ha bisogno di aiuto - e come lei tutte le vittime di questa guerra - e i promoters della campagna che hanno bisogno dell'aiuto di ognuno per riuscire a fare qualcosa per lei.

Entro questa interpellazione-cornice, poi, ci si accorge di come l'intero spot si configuri a sua volta come una eloquente richiesta d'aiuto: sono le inqq. 8 e 9 a chiarirlo, attraverso gli sguardi interrogativi di una giovane donna e di alcuni uomini, ricoverati in una corsia d'ospedale, ma anche il cartello che scorre sovrapposto all'inq. 10, in cui il "SALVARLI" ed il "dipende da noi" costituiscono altrettante marche interpellative. Alla richiesta d'aiuto generale, per le popolazioni della ex-Jugoslavia, si aggiunge, quindi, una richiesta d'aiuto particolare, per la situazione concreta dell'inverno in arrivo che rende ancor più estrema la condizione in cui i malati si trovano costretti a vivere.

Ma l'interpellazione è anche la caratteristica secondo cui si organizza il sonoro. Qui il silenzio si lascia realmente percepire in tutta la sua efficacia semantica, è "silenzio comunicativo", che agisce in almeno tre direzioni.

Anzitutto, manifesta un nulla, lascia percepire una mancanza, sedimenta delle solitudini: è l'assurdo della guerra come negazione ostinata della vita; la mancanza di riscaldamento, di pace, dei diritti violati; la solitudine che la guerra ha prodotto e che il mondo complicemente aiuta a costruire.

Ma il silenzio è anche cenno di intesa, mossa enunciativa che favorisce lo spettatore nel suo disporsi all'ascolto, come se si tacesse proprio per consentire a chi guarda di vedere meglio, per non coprire il rumore degli spari, per non nascondere qualcosa di quanto viene mostrato. E' il silenzio dell'ascolto che subentra al silenzio dell'assenza.

Infine, il silenzio è anche meta-linguaggio, constatazione stupefatta, imbarazzo del dire: per quanto viene mostrato, proprio per la situazione estrema che lascia venire a presenza, non c'è possibilità di commento, perché la parola non riesce a trovare termini adeguati e quindi tacere diviene il modo migliore di esprimere un giudizio.

Proprio da questo silenzio, rotto soltanto dai rumori e da un leggero sottofondo musicale, emergono le uniche parole all'inq. 10: ancora una volta l'interpellazione, la richiesta d'aiuto ("Ho bisogno di te") e a seguire i dati funzionali al versamento delle donazioni. Un messaggio secco, reso ancora più tagliente ed esigente proprio perché lasciato venir fuori da un silenzio così ricco di senso.

 

4. Verso un'etica della sofferenza e della responsabilità

Cerchiamo ora, in chiusura del nostro percorso di analisi, di raccogliere in sintesi il portato di tutti gli elementi espressivi e delle scelte comunicative emersi. Ci sembra che essi si lascino organizzare in due direzioni: nel senso di una ben precisa scelta rappresentativa nei confronti della sofferenza e di una conseguente scelta di campo etica.

L'atteggiamento dell'odierna realtà dei media di fronte alla morte ed al dolore è evidentemente schizofrenico.

L'immaginario della fiction (intendendo il termine in un significato ampio che va ad includere anche un certo modo di fare informazione) si lascia leggere nel senso di una logica della spettacolarizzazione a qualsiasi costo, in cui il criterio etico del rispetto per l'intimità del dolore, per il suo appartenere solo a chi soffre, viene sacrificato alle esigenze perverse della audience, alimentate dalla rincorsa ad un'immagine-verità sempre più realistica, sempre più volgare, e proprio per questo, come dice Baudrillard, sempre più oscena. E' la morte violata, l'infrazione di uno dei tabù che, insieme all'amore, Bazin aveva indicato al cinema come frontiere del rappresentabile.

Diametralmente opposta la tipologia dell'immagine pubblicitaria. Certo anche qui lo sguardo ravvicinato della telecamera che ci fa entrare i prodotti nel salotto di casa, ce li presenta nei loro aspetti più disparati, li seziona in dettagli assurdamente iperreali, risponde alla stessa logica oscena di restituzione del vero che è proprio di tanta trash-tv, ma profondamente diverso è il rapporto che tra questo tipo di immagine e la sofferenza si istituisce. Essa non viene rappresentata, anzi, si può dire che nell'immaginario pubblicitario non se ne trovi traccia: alla morte violata, potremmo dire, si sostituisce la morte ignorata.

Ora, questi due modi di disporsi così differenti sono a ben vedere espressione di un unico atteggiamento di fondo. L'ostentazione ripetuta del morire, del soffrire, e la scelta di negarvi qualsiasi rappresentazione, costituiscono, infatti, altrettanti modi per rimuovere il problema: è la stessa intenzione, cioè, che persegue l'esorcizzazione del dolore o cercando di renderlo innocuo col banalizzarlo nella rappresentazione frequente, o estromettendolo (è il caso della pubblicità) da un universo rappresentato fatto di benessere e ottimismo.

La ragione di questo doppio mascheramento va cercata nella mentalità propria delle società capitalistico-avanzate che nell'immagine dei media si rende visibile, in particolare nell'atteggiamento che la cultura di queste società assume di fronte al morire, un atteggiamento di "emarginazione della morte", di vera e propria "cosmesi della morte" (MARTINI, 1992; 18-19), come hanno evidenziato le belle analisi di P.Ariés: il morire, che per tutto il medioevo era stato familiare per l'individuo, a partire dall'ottocento inizia ad essere subito, sentito come problema, guardato con terrore. E allora si capisce anche perché "una cultura quale quella attuale, che non vuole o non sa pensare a livello ed in dimensioni universali, non sia in grado di assumere altro atteggiamento di fronte alla sofferenza ed alle molteplici sue figure che la collera, il rifiuto, l'esorcizzazione, incapace di capire e di interpretare il dolore nella sua radicale universalità" (BERTONI, 1983; 288-289).

Il nostro spot sembra rompere decisamente sia con questo modo di accostarsi al dolore, che con le sue abituali rappresentazioni. Il dolore, infatti, viene mostrato: alla logica della rimozione si sostituisce, quindi, una logica della testimonianza. A Sarajevo si muore, la situazione peggiora più ci si inoltra nell'inverno, e non servirà rifiutare di venirlo a sapere perché non succeda! Abbiamo visto come l'informazione sia, a livello comunicativo, una delle scelte su cui lo spot si regge: c'è la morte, c'è gente che soffre, c'è una guerra ingiusta. Ma questo far vedere, questo mostrare, si sottrae completamente alle regole rappresentative proprie dei media di fronte al dolore: abbiamo infatti uno spot pubblicitario che parla della sofferenza (se rispettasse le regole di genere non dovrebbe farlo) ma che allo stesso tempo rinuncia a parlarne in termini spettacolarizzanti. Una piccola lezione di etica: in televisione si può (in certi casi si deve) mostrare il dolore, anche la morte, senza per questo essere osceni.

A questa istanza informativa forte, a questa etica del dover far sapere, ci sembra si aggiunga, e l'abbiamo visto, anche una forte istanza interpellativa, che porta in gioco un'etica del dovere fare e del dover far fare. E' in questo senso che si deve intendere la richiesta d'aiuto, reiterata ai diversi livelli linguistici lungo un po' tutto lo spot: "Ho bisogno di te"! Come dire che l'essere informati, il venire a sapere, non può non tradursi in un'assunzione di responsabilità, che potrà esprimersi nelle diverse forme della sollecitudine.

Ma tra l'informazione e la responsabilità manca forse un passaggio intermedio. La prassi responsabile può scattare ed aprirsi solo là dove la constatazione dell'esistente ha fatto sorgere un'interrogazione, ha comportato il mettersi in discussione della coscienza, portando in gioco la consapevolezza di un dover essere: "Capire, accettare e rispettare il dolore: il dolore, allora, non è necessariamente un evento fisico, una reazione somatica ad uno stimolo molesto o ad un perturbamento biologico, in quanto stimoli e reazioni naturali potrebbero anche non essere dolorosi, bensì è certamente un problema che investe la coscienza e coinvolge il senso ed il fondamento etico-antropologico dell'uomo, il significato ed il fine della storia dell'universo" (BERTONI, 1989; 295). In questo si attinge anche, forse, l'indicazione più forte dal punto di vista morale, il fondamento di un'etica del comunicare e di un'etica dell'agire responsabile che siano rispettose dell'uomo, anche quando è più minacciato come nella sofferenza e nella morte.

 

 

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