Pier Cesare Rivoltella

Quale metodologia per il cineforum

 

Premessa

Intervengo in questa sede - e Vi ringrazio di avermene dato l’opportunità - non come teorico (una teoria dell’attività cineforiale è, mi pare, una contraddizione in termini) ma sulla base della mia esperienza, prima di animatore di cinecircolo, poi di Presidente Regionale e Nazionale dei CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali), una delle Associazioni di Cultura Cinematografica riconosciute dall’ormai defunto Ministero del Turismo e delle Spettacolo.

In tali ruoli ho sperimentato "sul campo" problemi e dinamiche dell’animazione del cineforum, occupandomi anche della formazione degli animatori.

Quanto intendo offrirvi oggi sono alcune riflessioni che di questa attività sono il sedimentato.

Spero possano costituire per voi valido motivo di confronto e, soprattutto, spunto efficace alla progettazione.

 

Due domande

Ho pensato di organizzare il mio contributo attorno a due interrogativi di fondo:

1. cosa è il cineforum?

2. come si conduce, attraverso quale metodologia si può animare?

La risposta alla prima domanda ci condurrà ad evidenziare due rilievi:

1.1. la definizione del senso, del significato profondo del cineforum;

1.2. la verifica, su base storica, di come tale significato si sia delineato sino ad oggi e di quale nuova urgenza si faccia portatore soprattutto nell’attuale contesto socio-culturale.

La risposta alla seconda domanda - alla luce di questo quadro di riferimento - ci consentirà di fissare alcuni criteri molto operativi, precisamente:

2.1. di distinguere i punti di vista a partire dai quali accostarsi ad un film;

2.2. di precisare i tre livelli a cui è possibile focalizzare l’attenzione dello spettatore;

2.3. di indicare alcune strategie di intervento ed animazione.

 

Cosa è il cineforum

La Nota pastorale della CEI del gennaio 1982 (n.1d) dichiarava le sale della comunità "luoghi di incontro e di dialogo, spazi di cultura e di impegno, per un’azione sapiente di recupero culturale, di preevangelizzazione e di piena evangelizzazione". Le stesse istanze vengono ribadite dal Papa nel suo messaggio per la XXIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (28 maggio 1995), in cui sottolinea "la componente sociale del mezzo cinematografico, che può offrire opportune occasioni di dialogo tra coloro che fruiscono di tale mezzo, attraverso lo scambio di opinioni sul tema trattato", conferma "l’importanza del cinema, inteso pure come veicolo di scambi culturali ed invito alla riflessione nei confronti di realtà estranee alla nostra formazione e mentalità", infine sottolinea come il "cinema, con le sue molteplici potenzialità, può divenire valido strumento per l’evangelizzazione".

Mi sembra che in questi richiami siano chiaramente indicate le tre dimensioni costitutive di ogni attività di cineforum, l’intenzione, cioè, di fare del cinema:

1. un’opportunità educativa ("per un’azione sapiente di recupero...");

2. un luogo di socializzazione ("luoghi di incontro e di dialogo");

3. un’occasione per costruire cultura ("spazi di cultura e di impegno").

Sono queste, in sostanza, le tre grandi metafore (socializzazione, cultura e educazione - sull’evangelizzazione troneremo più sotto) che si sono intrecciate - e non soltanto nella tradizione delle sale cattoliche - lungo l’intera storia del cineforum in Italia, connotandone, scandendone le epoche proprio in virtù dell’emergere di un’istanza rispetto alle altre.

Schematizzando e ben consapevoli delle inevitabili generalizzazioni, potremmo indicare nel numero di quattro tali epoche:

1. gli inizi (anni ‘20-’60). A partire dalla nascita dei primi cinéclub in Francia ad opera di Luois Delluc negli anni Venti e fino a tutti gli anni Sessante, è l’istanza pedagogico-culturale ad essere caratterizzante: il circolo di cultura cinematografica è in questo periodo un luogo di incontro, un punto di riferimento culturale per adulti e giovani di qualsiasi età;

2. l’epoca dell’impegno (anni ‘60-’70). La ragione fondamentale del fare cultura con il cinema, è in questi anni l’attenzione alle diverse occasioni socializzanti (e quindi anche al cineforum) come altrettante forme di partecipazione socio-politica;

3. la crisi (anni ‘70-’80). Fenomeni concomitanti come, sul piano sociale il riflusso nel privato e l’affermarsi della cultura individualista borghese, sul piano produttivo, l’avvento dell’home video, hanno orientato il consumo cinematografico sempre più verso pratiche di consumo personale;

4. la ripresa (anni ‘90). E’ la fase che stiamo vivendo e che segnale - insieme all’uscita del cinema dalla crisi simbolica e produttiva del decennio precedente - il ritorno dell’interesse culturale ed educativo per il cinema consumato e discusso in contesto sociale.

E’ in questo contesto di ripresa che va pensato il nostro compito di programmazione e di animazione socio-culturale. Un compito di grande responsabilità soprattutto se posto in tensione con il nostro tempo, caratterizzato da complessità sociale e pluralismo culturale, non privi entrambi di formidabili provocazioni, soprattutto per l’operatore cattolico, ma proprio per questo "tempo di grazia" (Sinodo 47, Introduzione, II,5).

In quest’ottica le istanze fino ad ora viste emergere vanno recuperate e ripensate in una prospettiva di grande attualità:

- la socializzazione, come risposta alla cultura dell’individuo e della dispersione sociale;

- l’educazione, come risposta all’esigenza di orientarsi all’interno del proliferare dei modelli etici ed antropologico;

- la cultura, come risposta all’esigenza di dialogo e di incontro con la ricchezza delle proposte che provengono dalle diverse istanze che alimentano il dibattito odierno.

Tutto questo - e raccogliamo l’ultima sottolineatura della Nota della CEI da cui siamo partiti ("le sale della comunità come azione di preevangelizzazione e di evangelizzazione piena") ci consente di attingere lo specifico cristiano dell’attività cineforiale. In una "società che si sforza di organizzarsi pubblicamente senza far riferimento a valori confessionali ed è percorsa ovunque da fermenti di secolarizzazione" (C.M.Martini, Lettera di presentazione del Sinodo alla Diocesi, 18,33), in una cultura che sempre più si configura come cultura della spettacolarità generalizzata (con quanto ne consegue) l’immagine, e quindi anche il cinema, costituisce una delle frontiere della "nuova evangelizzazione": è affidato alla nostra responsabilità di farcene carico.

Alcuni criteri operativi

Chiarito il senso e la nuova urgenza del cineforum - come di tutti gli interventi formativi sul campo delle comunicazioni sociali, del resto! - proviamo a suggerire alcuni spunti di metodo: dal piano dei principi, per così dire, agli aspetti operativi.

Mutuando parzialmente la terminologia della analisi della narrazione ci sembra che tre siano i rilievi metodologicamente significativi: essi riguardano, come osservavamo in apertura, il punto di vista, la focalizzazione e le strategie operative mediante cui strutturare il nostro intervento. Vediamoli nello specifico.

Il punto di vista: parlare del film, parlare sul film

Questa oscillazione restituisce i due grandi punti di vista a partire dai quali è possibile accostarsi ad un’opera cinematografica, già a livello di programmazione, prima ancora che di animazione di un cineforum.

Il parlare sul film traduce il punto di vista che, con U.Eco, potremmo definire della lettura pretestuale: in quest’ottica il film è selezionato in funzione illustrativa e diviene un pretesto per introdurre una problematica o trovarne confertma nella concretezza delle immagini. Confortata dalla consuetudine dei cinedibattiti televisivi, in cui il film funge semplicemente da input alla discussione in studio di una determinata problematica, questa scelta autorizza di solito impressioni superificiali, soggettive ed estemporanee e rischia di configurarsi come prassi di dialogo che per nulla contribuisce alla educazione dello sguardo spettatoriale.

Il parlare del film, invece, da corpo ad un punto di vista sostanzialmente differente, un punto di vista di tipo testuale, in ordine al quale, superata l’ottica contenutistica ed illustrativa, il film diviene un campo metodologico da attraversare - come suggerisce R.Barthes - un oggetto culturale da smontare e rimontare non per autorizzare percorsi di lettura arbitrari e soggettivi, ma per elaborarne di critici, sebbene personali, sempre e comunque autorizzati dalla materialità significante del testo (i limiti dell’interpretazione, come precisa U.Eco, sono nel testo stesso).

La focalizzazione: vedere, sapere, credere

Risolta l’oscillazione tra lettura pretestuale e lettura testuale a vantaggio della seconda (ed è già una precisa indicazione di metodo) si tratta poi di decidere come parlare del film. A questo proposito mi sembra possibile portare in gioco almeno tre livelli di focalizzazione, cioè di dislocazione dell’attenzione:

a) un primo livello di focalizzazione è quello che si appunta sul vedere. Il cinema è sempre uno sguardo sul mondo articolato in modo sempre più personale in rapporto all’evolvere del linguaggio oltra la camera fissa, grazie a panoramiche, carrelli, montaggio... Registrare questo sguardo, coglierne le diverse declinazioni, è sicuramente un primo grande campo di lavoro per il cineforum: è l’approccio del cinefilo, inteso come colui che fa pratica empirica di conoscenza e consumo di autori, di movimenti, di tendenze estetiche ed ideologiche;

b) ma un film non è soltamto il luogo entro cui si organizza un vedere. Esso, proprio attraverso questo vedere, constribuisce al prodursi di un sapere. verificare come questo sapere venga realizzato, ricondurlo alle logiche culturali ed alle propblematiche storiche del momento in cui è stato prodotto è il compito dell’approccio filmologico, applicazione di metodlogie e categorie critiche spesso proprie di altre discipline ed ambiti comunicativi (psicologia, sociologia, letteratura);

c) quando, infine, ad essere messo a fuoco è il credere che il film induce, mediante il vedere ed in virtù del sapere che lo caratterizzano, dall’approccio cinefilo e filmologico, siamo passati a quello valoriale, attento alle strategie comunicative mediante le quali il film costruisce sistemi di credenze nel pubblico (ed in questo senso si espone alla valutazione etica) o alle modalità secondo cui affronta il proprio tema.

A margine di questa rapida tipologia dell’attenzione al film, si possono portare alcune considerazioni:

- ciascuno di questi approcci presenta, di per se stesso considerato, dei limiti: l’esclusiva attenzione al vedere, il limite di uno sterile enciclopedismo erudito; l’esclusiva attenzione al sapere, la dimenticanza del carattere specifico ed autonomo del linguaggio cinematografico; l’esclusiva attenzione al credere, il rischio dell’ideologia o del moralismo;

- proprio per questo, nonostante storicamente siano stati praticati autonomamente (la tentazione della cinefilia ha caratterizzato e caratterizza l’attività di molti cinecircoli, così come, purtroppo, il rischio della valutazione sommariamente moralistica ha sempre caratterizzato certa tradizione cattolica), questi approcci si devono ritenere complementari e tutti indispensabili. Sarà oggetto dell’ultima parte di questo intervento mostrare come.

 

Strategie operative: scheda vs dibattito?

Soprattutto in questi ultimi anni la riflessione sull’animazione del cineforum si è organizzata attorno a due modelli, spesso configurati in termini antitetici.

Il primo, più tradizionale, ha ribadito l’opportunità e la proficuità dello schema presentazione-visione-dibattito, sottolineando proprio in quest’ultimo momento lo specifico del cineforum.

Il secondo, specchio della crisi di partecipazione dello scorso decennio, ha finito per sostituire al dibattito (spesso anche alla presentazione!) una scheda di presentazione/ analisi del film.

Dal nostro punto di vista, la dialettica è sterile: scheda di lettura e dibattito, più che modalità di approccio diverse ed alternative all’attività di cineforum, si devono pensare come metodologie complementari, entrambi indispensabili.

La condizione perché siano utili è la loro corretta impostazione. Vediamo di dirne qualcosa.

La scheda filmica: funzione e struttura

La scheda di lettura filmica costituisce: 1) prima della visione del film, un importante elemento di paratesto per lo spettatore, il primo orizzonte di precomprensione a partire dal quale egli può avvicinarsi alla proiezione (funzione analoga, sebbene non così esplicitamente pedagogica, svolgono la presentazione e la recensione critiche in televisione e sulla carta stampata); 2) dopo la visione del film, un valido strumento per l’animatore ai fini della conduzione del dibattito, per lo spettatore ai fini del lavoro di riflessione e di confronto critico personali sulla pellicola.

 

Uno schema-tipo degli elementi che essa dovrà contenere può prevedere:

1. la scheda tecnica del film (regista, cast, anno di produzione, origine, ecc.);

2. il profilo del regista e la sua filmografia essenziale;

3. una breve sintesi della vicenda;

4. alcuni spunti tematici per la lettura;

5. una rassegna-stampa essenziale.

Al fine di rendere efficace l’apporto della scheda è opportuno tenere presenti alcuni accorgimenti, in fase sia di stesura che di utilizzo:

- è auspicabile che la scheda venga prodotta da chi coordina la rassegna, così che il taglio della stessa sia rispondente al target cui ci si vuole rivolgere. A questo scopo è necessario che le singole realtà o gli enti e associazioni che le raccolgono si dotino di un archivio-cinema o comunque di fonti per la documentazione;

- la scheda deve essere sintetica (due cartelle massimo) per consentirne la lettura nel breve spazio che precede la proiezione;

- nonostante la sinteticità deve però offrire sufficienti elementi ad essere ripresa dopo la visione in funzione di un ripensamento critico della visione;

- la scheda non deve mai chiudere il senso del film, ma mantenere sempre un atteggiamento soltanto suggestivo e provocatorio della discussione.

Il dibattito

Oltre alla breve presentazione prima della proiezione (che contiene abitualmente un rapido accenno al regista, alla sua poetica espressiva, al mondo tematico del film), è compito dell’animatore condurre il dibattito sulla visione al termine della stessa. Cerchiamo di definirne il significato prima di indicare su quali aspetti possa vertere.

Quanto al significato, al senso del dibattito, si deve fare una distinzione fondamentale.

Se intendiamo per dibattito la libera formulazione delle proprie impressioni "a caldo", la manifestazione del proprio gradimento ("mi è piaciuto", "non mi è piaciuto"), la ricerca di quelli che sembrano essere i significati del film, nel tentativo di ricondurne il "messaggio" (come spesso si dice) alla propria esperienza personale, allora il dibattito serve a molto poco. Logica conseguenza di un punto di vista pretstuale sul film, esso rischia infatti di ridursi ad un insieme di luoghi comuni, approssimazioni, forzature, fraintendimenti.

Se invece il dibattito è per noi un’occasione per applicare insieme, con precisione e rigore, un’attenzione educata ed organizzata all’immagine filmica, allora mi sembra che esso recuperi le tre istanze che indicavamo in partenza come caratteristiche del senso stesso del fare cineforum.

Quali i rilievi ed i momenti in cui tale attenzione si deve organizzare? Mi sembra siano organizzabili attorno a tre nodi che l’abilità dell’animatore dovrà saper porre in risalto e che innescano tre diverse competenze nello spettatore:

1. il nodo linguistico-espressivo. E’ l’aspetto grammaticale e sintattico, che comprende l’analisi dei seguenti elementi: la fotografia (illuminazione, contrasto, composizione, uso della pellicola), il colore (naturale, equilibrato, valore simbolico delle dominanti, effetti), i campi ed i piani (tipologie, utilizzo) angolazione ed inclinazione, uso della macchina (presente, nascosta), il montaggio ed il sonoro. La competenza attivata è quella del saper vedere;

2. il nodo narrativo-tematico. E’ l’aspetto contenutistico del film, il suo dire qualcosa raccontando qualcosa. Comprende i rilievi relativi a: struttura narrativa del film (prima e ultima scena, momenti topici, evoluzione), personaggi (caratteristiche, rapporti reciproci, funzioni nel racconto), contenuto (temi ricorrenti, problematiche, funzionamento simbolico). La competenza attivata è quella del saper comprendere;

3. il nodo etico-valoriale. E’ l’aspetto "ideologico" del film, il suo dire qualcosa in un certo modo. Esso implica tre interventi valutativi su: dignità estetica del film (qualità artistica, compiutezza di sviluppo, ecc.), problematiche in gioco (valutazione sul tema e su come il film ha trattato il tema), impatto sul pubblico (impegno morale del regista, ecc.). La competenza attivata è quella del saper valutare.

Qualche considerazione a margine:

- i tre nodi sono tutti importanti e andrebbero analizzati senza ometterne uno a vantaggio di altri (è facile notare, ad esempio, che difficilmente si potrà giungere a rilievi tematici interessanti senza aver registrato il funzionamento linguistico del film); certo il tipo di rassegna entro cui la proiezione è inserita o di finalità cui essa risponde suggerirà di orientare l’attenzione preferenzialmente su uno dei tre o su alcuni aspetti di ciascuno;

- le tecniche per favorire la riflessione ed il contributo personale degli spettatori su questi momenti sono molte e non rigidamente fissate (questionario, domande aperte, griglia di analisi) e dipendono anche dalla personalità dell’animatore;

- proprio perché il dibattito diventi sempre più applicazione di una metodologia rigorosa è necessario che si progettino interventi formativi per poter contribuire alla creazione ed approfondimento di competenza sempre più specifiche nel pubblico.

Secondo Derrida: "Il senso deve attendere di essere detto o scritto per abitare se stesso". E Leonardo da Vinci: "Quelli che si innamorano di pratica senza scienza sono come il nocchiero che entra in naviglio senza timone o bussola; che mai ha la certezza dove si vada". Due immagini che possono servire da conclusione del nostro discorso: nel cinedibattito il senso viene detto e perciò può abitare se stesso. Importante è che facciamo in modo che venga detto il meno possibile senza scienza.

 

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