Venerdì 30 Aprile 1999
- InformaticaI rischi della Internet Due
Negli Usa è in corso una battaglia sotterranea per evitare la chiusura dei nuovi servizi di massa a larga banda. Al centro della contesa la Fcc che ha dato una prima luce verde alla discussa megafusione tra AT&T e Tci
di Giuseppe Caravita
Dietro la gran selva di cifre in crescita costante c’è anche chi è preoccupato per il futuro di Internet. Innanzitutto negli Usa. La questione può sembrare da addetti ai lavori. In realtà tocca la struttura fondamentale della rete di reti, e la principale ragione del suo inaspettato e straordinario successo. Internet, infatti, è nata e cresciuta come rete aperta, basata su su un sistema di standard comuni a tutti, e su una architettura in cui vi è sempre stato spazio per l’ingresso di nuovi partecipanti. Di ogni tipo: centinaia di carrier di infrastruttura nei backbone, le tratte centrali della grande matrice, migliaia di nuovi Isp (Internet service provider, i fornitori dei collegamenti alla rete, dal semplice modem telefonico familiare fino alle grandi linee dedicate in fibra ottica per le aziende); poi innumerevoli fornitori di contenuti e servizi di rete (tra cui, almeno negli Usa, spiccano i grandi portali, come Yahoo, Excite e Lycos con milioni di utenti registrati); e infine una massa crescente di siti professionali, dall’informazione specializzata fino al trading azionario e all’ottimizzazione del commercio elettronico. Una fioritura accelerata e massiccia di innovazione e creatività imprenditoriale (ma anche sociale, se si pensa alle "Community networks" e al volontariato in rete) resa possibile dalla minima barriera all’entrata che ha connotato la rete di reti fin dagli anni 80, quanto era riservata a universitari e ricercatori. Oggi, però, le cose potrebbero cambiare. E piuttosto profondamente. Il rischio è dentro la stessa evoluzione della rete, con il passaggio alla Internet Due, a larga banda sia nella matrice centrale (backbone) che, soprattutto, nei cruciali collegamenti di "ultimo miglio", quelli che arrivano in casa dell’utente. (Sul sito www.ilsole24ore.it/informatica un serie di
link ai siti del progetto Internet Due). Per tutti gli analisti di telecomunicazioni Usa il backbone non è il problema. Innanzitutto perché è già a banda larga (in molti casi, e vale per i grandi carrier come Worldcom-Uunet, Gte-Bbn o Qwest, anche in banda larghissima) e poi, soprattutto, perché qui il "pluralismo aperto" non dà alcun cenno di voler venir meno. I backbone sono interconnessi tra di loro, gli standard comuni sono rispettati, gli accordi di scambio reciproco (peering) anche. Il punto sta nella larga banda all’utente finale, nell’ultimo miglio. Questa è la parte di gran lunga più costosa del passaggio a Internet Due (tirare un nuovo cavo nei reticoli urbani è sempre stato il vero incubo delle tlc) e, almeno ad oggi, le soluzioni disponibili (sia negli Usa che fuori) sono nei fatti due: da un lato la digitalizzazione delle esistenti reti tv via cavo, con cable-modem e altri apparati. Dall’altro lato i grandi gestori telefonici rispondono con i "super-modem" X-Dsl, capaci di accelerare la trasmissione sul normale doppino fino ad alcuni megabit. Ambedue queste tecnologie, però, differiscono in modo sostanziale dalla "classica" architettura aperta di Internet Uno. Quest’ultima, per la gran maggioranza degli utenti finali, si basa all’osso su tre ingredienti: una linea telefonica, un modem, e l’abbonamento con l’Isp. Con un collegamento a piacere a uno qualsiasi di questi, in aperta concorrenza tra loro. E poi la scelta libera del migliore portale, servizio, comunità, sito secondo i gusti. La linea telefonica è stata quindi il fondamentale "canale aperto" all’ultimo miglio che ha consentito la piena fioritura competitiva della rete. Il caso del cable-modem è piuttosto diverso. Dal punto di vista tecnico si tratta di un quasi-collegamento Ethernet a una sorta di grande rete locale residenziale. Per motivi tecnologici (superabili), ma anche economici (meno superabili) questo collegamento via cavo tv fa capo a un solo server, del fornitore del servizio. Che quindi diviene al contempo un Isp esclusivo e anche un fornitore privilegiato di servizi e contenuti. Per esempio nel caso di @Home (il maggior fornitore Usa di servizi Internet su cavo tv, consociata della Tci) l’accesso a Internet viene offerto in un "pacchetto" comprensivo di servizi informativi e di comunicazione (anche multimedia) "ottimizzati". Tra cui anche il portale Excite (il secondo negli Usa dopo Yahoo) recentemente acquisito dalla stessa @Home. E la possibilità di alternative? Sulla carta sempre disponibili (l’utente può navigare liberamente anche da @Home, passando però sempre dal suo server Proxy) ma in realtà molto meno competitive, dato che i servizi inclusi nel "pacchetto" saranno comunque più veloci, sfrutteranno meglio le centinaia di kilobit di banda disponibile (molto variabile per i cable modem, che nelle ore di punta devono dividersi il canale con il vicinato), finiranno per imporre, quindi, precise "corsie preferenziali". Risultato: un cambio fondamentale di modello e di architettura. Dal "gioco alla pari di tutti sulla rete aperta" al "reticolo delle corsie preferenziali". E questo vale, nei fatti, anche per l’alternativa X-dsl. Anche se, tecnicamente, questo supermodem arriva alla centrale telefonica (per definizione aperta) i circa 100mila utenti residenziali Usa connessi a questo servizio (contro i 500mila ai cable modem secondo stime della newsletter Release 1.0 relative al gennaio scorso) sono stati connessi da Us West, Bell Atlantic e altri gestori con formule a "pacchetto" quasi identiche a quelle di @Home e RoadRunner (gruppo Time-Warner), ovvero dei due big del cable-modem. Certo, esiste anche una iniziale fioritura di nuovi micro-carrier specializzati (come Covad, Northpoint, NetConnections...) che affittano linee telefoniche e vi aggiungono i propri X-dsl (in gergo si chiama unbundling dell’ultimo miglio). Ma questa offerta finora si è esclusivamente diretta alle imprese, come sostituzione vantaggiosa delle (più care, anche negli Usa) linee dedicate. Sul residenziale di massa, quindi, si profila un passaggio alla larga banda in chiave di progressiva "chiusura" della rete. Un passaggio molto pericoloso, nota Kewin Werbach (ex consigliere della Fcc, l’organo di regolazione delle tlc Usa e ora tra i principali analisti di Release 1.0) non solo per lo sviluppo competitivo di Internet nel suo complesso, ma anche per gli stessi protagonisti della larga banda. Le cifre, infatti, non sono al momento molto esaltanti. Dopo due anni di grandi fanfare sui cable modem, sugli X-dsl e le alte velocità, sul video on demand e multimedia via Internet 2, la loro penetrazione è ancora a una o due famiglie Usa connesse a Internet su cento. Perché? Anche per lo stesso effetto della chiusura sulla scelta dei consumatori. Se a una famiglia che già fruisce dei servizi di un Isp (mailbox, Ftp) e che si è iscritta a un portale o a una community viene proposto un "pacchetto" tutto diverso (e se fuori da questo pacchetto si trova a navigare con velocità uguali o inferiori al vecchio modem) è quantomai probabile che rifiuti il nuovo servizio. Certo, causa del decollo troppo lento di Internet Due è anche un problema d’offerta. Soltanto l’anno scorso, innanzitutto, la Corte Suprema Usa ha sancito l’autorità della Fcc (Federal communications commission) in tema di regolazione di tutte le reti telefoniche locali (dando il via libera, di fatto, anche alla telefonia via cavo tv). E quindi solo da pochi mesi stanno prendendo forza le grandi concentrazioni. Prima fra tutte la catena formata da AT&T che ha acquisito Tci (il leader del cavo tv Usa, con oltre 10 milioni di utenti); quest’ultima a sua volta controlla @Home che, infine, ha acquisito Excite. Un supergruppo che mostra di avere le risorse finanziarie necessarie (molto consistenti) sia per mettere il telefono sul cavo locale (cosa che la Fcc apprezza molto), sia per diffondere Internet Due. E altrettanto vale per l’altro big, Time-Warner, che ha avviato la sua consociata Internet-cavo RoadRunner che si è velocemente associata a MediaOne (spin-off di Us West) per coprire la ricca area californiana. Questi giganti stanno ponendo un autentico dilemma alla Fcc. Da un lato hanno le dimensioni e le risorse giuste per introdurre la concorrenza telefonica su base locale (secondo il dettato liberalizzatore del Telecom Act del 1996); dall’altro, pur potendo "chiudere" Internet, è bene che non vengano penalizzati nella delicata fase in cui gli investimenti sono massimi e i ritorni ancora molto limitati. E questo nonostante il fatto che un folto gruppo di lobby (sotto l’etichetta di Open net coalition, che raccoglie Isp, gruppi di difesa degli utenti, carrier a lunga distanza, persino aziende di contenuti come Disney e Bertelsmann) facciano pressione per formule di "unbundling" anche dei collegamenti a larga banda (in cui sia possibile rompere i "pacchetti" e permettere a tutti i giocatori di connettersi alla pari alle reti via cavo o X-dsl). Di qui la battaglia svoltasi, negli scorsi mesi, intorno alla cruciale approvazione da parte della Fcc della fusione AT&T-Tci. Risolta dall’organo governativo lo scorso 18 febbraio con una sentenza abbastanza salomonica: la fusione non lede gli interessi dei consumatori ma anzi accresce (come è il caso della telefonia) la competizione e la libertà di scelta. Un via libera ma con una importante postilla: nel caso dei servizi Internet si dà credito alla promessa di AT&T di consentire a tutti i fornitori di servizi alternativi possibilità di accesso alla pari (per esempio America On Line promuove sulla rete @Home la formula "fatti da te il piano di accesso" che permette di saltare i servizi del cablista e andare direttamente al server del maggiore Isp Usa). Sulla base di queste garanzie, e anche sul fatto che si profilano più alternative nella larga banda sia via cavo sia X-dsl, la Fcc ha dato luce verde. Riservandosi però di "monitorare" l’effettivo sviluppo della concorrenza e dell’apertura di Internet Due. In particolare — sostiene Werbach — sulla moltiplicazione e tenuta degli accordi privati di interconnessione tra operatori (primo caso quello tra Aol e @Home) che potrebbero risolvere "naturalmente" l’intricata questione.