Il Sole 24ore - Norme e Tributi
LA RELAZIONE ALLO SCHEMA
La valutazione e quantificazione del danno alla persona, con particolare riferimento alle componenti del danno biologico e del danno morale, presenta, nella realtà italiana, aspetti problematici sempre più preoccupanti, data l'assenza di criteri certi ed uniformi sull'intero territorio nazionale.
La questione è avvertita in primo luogo a livello di opinione pubblica, per palesi ragioni di certezza giuridica e di perequazione risarcitoria.
Il mercato assicurativo, d'altra parte, collega alla incertezza dei criteri di quantificazione del danno l'impossibilità di pervenire alla appostazione di riserve congrue con gravi conseguenze per l'equilibrio tecnico del ramo r.c. auto.
L'opera innovatrice della giurisprudenza ha via via ampliato la tradizionale nozione codicistica di danno risarcibile, attribuendo ai valori della vita e dell'integrità personale quel peculiare riconoscimento che pone senz'altro l'Italia tra i Paesi europei più evoluti sul fronte della tutela dei diritti fondamentali.
All'opera creatrice degli anni '80, caratterizzati dall'affermarsi di nuove figure di danno risarcibile, ha poi fatto seguito una fase di elaborazione dei criteri e metodologie liquidatorie da parte degli stessi organi giudicanti.
In particolare, numerose sedi giudiziarie, alla ricerca di una qualche forma di autoregolamentazione, sono anche recentemente pervenute alla predisposizione di tabelle per la quantificazione del danno alla integrità psicofisica.
Il sistema tabellare, basato sul valore del punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità accertata in sede medica, di per sé apprezzabile se inserito in un contesto di maggiore omogeneità sul territorio nazionale, presenta allo stato limiti preoccupanti.
Ciascun organo giudiziario tende infatti ad adottare la propria tabella, costruita sulla base dei precedenti giurisprudenziali dello stesso organo ed ispirata a diverse scelte di fondo, con la conseguenza che danni della medesima entità vengono risarciti in modo anche molto differenziato sul territorio.
La stessa tabella inoltre può subire, anche a breve distanza dalla sua elaborazione, aggiustamenti, spesso consistenti, non solo dei valori del punto di invalidità ma anche dei criteri evolutivi che regolano i diversi passaggi della scala tabellare.
Né può dimenticarsi che la vicenda giurisprudenziale si ripercuote necessariamente sulla prassi liquidativa extragiudiziale.
La situazione sopra descritta induce a ritenere che è giunto il momento di un intervento del legislatore in materia, ai fini di pervenire a quella uniformità risarcitoria di base divenuta ormai irrinunciabile, anche in quanto idonea ad assumere una valenza deflattiva del contenzioso giudiziario.
Il progetto di legge intende disciplinare il danno alla persona, limitatamente alle voci di c.d. "danno biologico" e di "danno morale", in termini generali, qualunque sia, cioè, il fatto ingiusto che ha causato il danno.
Va infatti evitato il rischio di circoscrivere la regolamentazione ad ambiti settoriali, quale quello dell'infortunistica da circolazione di autoveicoli, in modo da evitare vistose disparità di trattamento rispetto ai danni aventi origine diversa e purtuttavia ricompresi nel campo generale della responsabilità aquiliana.
Ad esempio, l'esperienza spagnola della Ley de Ordenaciòn Y Supervisiòn des los Seguros Privados dell'8 novembre 1995, che regola il risarcimento dei danni alla persona limitatamente al settore della circolazione stradale, conferma in vero la bontà di una scelta non settoriale. La detta legge spagnola ha infatti suscitato in dottrina critiche di incostituzionalità, e gli stessi giudici di merito hanno investito il giudice costituzionale di quel Paese di numerose questioni di ritenuta non aderenza della legge ai principi costituzionali.
La regolamentazione di una disciplina generale inserita nel codice civile non esclude, invero, ma anzi intrinsecamente ammette la possibilità di eventuali discipline speciali di settore derogatorie. Al fine di evitarsi la possibile vanificazione dell'esigenza di certezza giuridica e perequazione risarcitoria che fonda, come detto, l'intervento legislativo in esame non sfugge come siffatta eventualità dovrà tuttavia essere circoscritta ad ipotesi veramente eccezionali, in quanto tali assolutamente insuscettibili di essere ricondotte all'ipotesi generale nella presente sede disciplinata (si pensi,ad es., alla invero diversa fattispecie della valutazione indennitaria del danno biologico di cui all'art. 55, comma 1, lett. s), attualmente recata dalla l. 17 maggio 1999, n. 144 recante "Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL e l'ENPALS, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali").
Sotto il profilo delle varie voci di danno risarcibile, il disegno di legge, nel disciplinare espressamente la figura del danno biologico, mantiene la distinzione tra tale danno, il danno morale ed il danno patrimoniale, in linea con i dati dell'esperienza giurisprudenziale ed alla stregua dei principi del sistema giuridico interno, oltreché in armonia con le indicazioni comunitarie.
Con riferimento specifico a queste ultime è dato infatti individuare diverse fonti (si veda in proposito l'art. 12 della Risoluzione 75/7, l'art. 9 della Direttiva CEE n. 375/85 nonché l'art. 4 del Progetto di Direttiva sulla responsabilità dei Servizi) che indirizzano verso l'affermazione della autonomia concettuale e risarcitoria del danno alla salute, sempre risarcibile indipendentemente dalla incidenza della menomazione sul reddito e sul patrimonio del danneggiato; del danno morale, la cui risarcibilità può incontrare limitazioni nei singoli sistemi normativi nazionali; del danno patrimoniale o reddituale, risarcibile nei limiti della prova fornita dal danneggiato circa l'esistenza e l'entità.
Si è pertanto ritenuto, in tale ottica, di attribuire al danno biologico, quale voce di danno prioritaria e sempre risarcibile, rilevanza normativa specifica attraverso l'introduzione, nel "corpus" del codice civile, di una norma "ad hoc", in tal modo recependo le indicazioni che, da tempo, provengono dal diritto vivente.
E' stata conservata, come già accennato, la distinzione tra danno biologico e danno morale, ontologicamente differenziati, attraverso il mantenimento dell'art. 2059 cod. civ., sia pure modificato al fine di eliminare l'anacronistica limitazione della sua risarcibilità alla sussistenza di un reato.
Non si è ritenuto, infine, di intervenire rispetto alla figura del danno patrimoniale. I pregiudizi economici derivati alla persona a seguito del fatto illecito, nella duplice componente del danno emergente e del lucro cessante, sono infatti già adeguatamente disciplinati dalle norme positive vigenti sulla base dell'ordinario criterio dell'onere probatorio.
Coerentemente con gli assunti sopra esposti, il progetto di legge prevede una prima parte (artt. 1 e 2), a carattere generale, che introduce modifiche al codice civile, e una seconda parte introducente i criteri di valutazione del danno biologico (art. 3) nonché (art. 4) la delega al Governo per la emanazione di uno o più decreti legislativi che diano attuazione al disposto dell'articolo 3, comma 1, in tema di determinazione di valori monetari uniformi.
L'articolo 1 prevede l'inserimento, nel titolo IX del Libro quarto del codice civile, degli artt. 2056-bis (Danno biologico) e 2056-ter (Danno biologico dei prossimi congiunti del danneggiato).
L'art. 2056-bis definisce il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica della persona. Come tale essa deve ovviamente presentare caratteri obiettivi suscettibili di accertamento medico-legale.
Una definizione normativa chiara ed esaustiva del danno "de quo" risponde all'esigenza di precisarne la portata e l'ambito di applicazione.
Le diverse figure di danno elaborate nel corso del tempo dalla giurisprudenza per garantire un risarcimento anche in assenza di un pregiudizio suscettibile di apprezzamento patrimoniale (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno alla capacità sessuale, ecc.) sono pertanto da ritenersi ricondotte ad unità nell'ambito del danno biologico, e non più suscettibili di autonoma valutazione.
Il secondo comma dell'art. 2056 stabilisce che il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato, al fine, anche in questo caso, di evitare ipotesi di duplicazioni risarcitorie (danno alla capacità lavorativa generica). La risarcibilità attiene dunque, nel caso, alla (obiettiva) lesione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata.
Qualora l'evento lesivo abbia determinato riflessi negativi sulla capacità di guadagno del danneggiato, il risarcimento delle conseguenze economiche negative trova la sua sede appropriata nell'ambito della disciplina del danno patrimoniale.
L'ultimo comma dell'art. 2056-bis stabilisce che, in caso di morte del danneggiato, il danno biologico dallo stesso subìto è risarcibile limitatamente al periodo di tempo intercorrente tra l'evento dannoso e la morte.
In ordine al danno biologico da morte, come tale trasmissibile agli eredi della vittima iure successionis, è data constatare nella giurisprudenza di merito l'alternanza tra decisioni secondo cui la valutazione del danno medesimo viene effettuata con riferimento al solo periodo di sopravvivenza della vittima, cioè allo spazio temporale intercorrente tra l'evento dannoso ed il decesso, e altre decisioni ove il danno biologico è riconosciuto e quantificato come se l'evento morte non si fosse verificato.
La norma fornisce pertanto una significativa indicazione all'operatore. In primo luogo esclude implicitamente la configurabilità di un danno biologico qualora il decesso sia istantaneo ovvero segua immediatamente l'evento lesivo: in tale ipotesi, come ha avuto modo di precisare la Corte Costituzionale, il vulnus concerne il bene della vita, giuridicamente diverso dal bene salute. Qualora invece la morte abbia luogo dopo un lasso temporale suscettibile di apprezzamento, il risarcimento del danno biologico maturato dal de cuius durante il periodo di sopravvivenza, alla cui durata deve essere rapportato, spetta agli eredi.
L'art. 2056-ter individua la categoria dei soggetti danneggiati legittimati iure proprio al risarcimento in caso di morte del danneggiato, restringendo l'ambito ai parenti più stretti, quali il coniuge ed i parenti entro il secondo grado (genitori, fratelli e sorelle, ascendenti e discendenti). Non si richiede altresì per costoro il requisito della convivenza con il danneggiato, che non sembra poter essere nel caso considerato un idoneo ed indefettibile indice di sussistenza e rilevanza del danno biologico dai medesimi sofferto. Non si comprenderebbe infatti la ragione di una disciplina normativa che, ad esempio nell'ipotesi di morte del figlio, venisse a riconoscere la risarcibilità del danno biologico in conseguenza di tale evento sofferto dal genitore affidatario ma non anche di quello del pari eventualmente subìto dall'altro genitore separato non affidatario; o ancora, in caso di morte del genitore, ammettesse la risarcibilità del danno biologico sofferto da un figlio ancora convivente e negasse viceversa la risarcibilità di analogo danno subìto dal figlio non più convivente perché sposatosi ovvero in dipendenza di contingenti esigenze di studio o di lavoro.
La realtà e l'esperienza concreta dei rapporti interpersonali familiari e di coniugio denotano, invero, che i componenti della vissuta o attuale famiglia nucleare (il coniuge e i parenti entro il secondo grado), nella normalità dei casi, oltre a turbamenti, sofferenze psichiche o patimenti d'animo (danno morale: vedi oltre), possono venire a subire delle vere e proprie lesioni psicofisiche in conseguenza della morte dello stretto congiunto o del coniuge danneggiato, anche qualora la convivenza con il medesimo sia venuta per qualsivoglia motivo a cessare.
Altra e diversa questione è viceversa quella concernente la determinazione dell'an e del quantum del risarcimento da riconoscersi all'istante nel caso concreto, e cioè se la pretesa, astrattamente ammissibile, al risarcimento del danno biologico lamentato da parte del coniuge o dello stretto congiunto in conseguenza della morte del danneggiato nel caso concreto possa essere riconosciuta, ed in quale misura, ovvero debba essere disattesa.
Il quarto comma dello stesso art. 2056-ter equipara espressamente, codificando una tendenza peraltro ormai consolidata in giurisprudenza, il convivente more uxorio al coniuge, purché venga fornita la prova della esistenza di un vincolo di comunione spirituale e materiale con il danneggiato nonché della stabilità della convivenza, il cui apprezzamento si è preferito affidare al giudice e non regolamentare, nemmeno a livello di presunzione, per legge, essendo in tema la riflessione ancora "aperta", e non sembrando opportuna l'adozione, nell'ambito di un intervento pur sempre settoriale, di soluzioni richiedenti viceversa un più ampio raccordo sistematico.
L'articolo 2 prevede che l'attuale testo dell'art. 2059 c.c. venga sostituito dagli artt. 2059 (Danni morali) e 2059-bis (Danno morale dei prossimi congiunti del danneggiato).
Il nuovo testo dell'art. 2059 c.c. non contiene una definizione di danno morale, ritenuta peraltro superflua se si considera che in dottrina ed in giurisprudenza sussiste accordo sostanziale in ordine al concetto di pretium doloris.
Scelta fondamentale è stata quella di svincolare la risarcibilità del danno morale dall'esistenza del reato, costituente un limite avvertito come eccessivamente rigido.
L'inadeguatezza del disposto del vigente art. 2059 c.c. è del resto confermata dagli sforzi interpretativi della giurisprudenza in ordine al significato da attribuire, ai fini del riconoscimento del danno morale, alle norme di cui all'art.. 185 c.p., avuto riguardo alla locuzione "ogni fatto che integra gli estremi di un reato".
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in un primo tempo orientata a ritenere che il risarcimento del danno morale dovesse essere subordinato alla concreta esistenza di un reato ha, in un secondo tempo, ritenuto, con notevole sforzo ermeneutico, che la sussistenza del danno morale e la sua risarcibilità non richiedono che il fatto integri in concreto un reato punibile, essendo sufficiente che il fatto medesimo sia astrattamente preveduto come reato, e sia di conseguenza idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale.
Il testo del disegno di legge opta viceversa per una soluzione volta a consentire un efficace apprezzamento del singolo caso concreto, da effettuarsi dal giudice rapportando il risarcimento della voce di danno in questione alla gravità della lesione e alla verifica della effettiva incidenza della medesima sul danneggiato.
L'inciso "in mancanza di specifica criteri dettati dalla legge" consente di svincolare la regolamentazione del risarcimento del danno morale dalla regola generale allorquando, per specifici settori, quale quello della infortunistica da circolazione stradale, la legge detti particolari criteri.
In sostanza, la disposizione dell'art. 2059 si applica in via generale, nei limiti della gravità dell'offesa, in tutte le ipotesi di danni morali subiti dal danneggiato in conseguenza del fatto illecito altrui, qualunque sia il bene giuridico leso (si pensi in via esemplificativa ai casi di lesione dei beni dell'onore, del decoro, della reputazione). L'eccezione ivi prevista ("in mancanza di specifici criteri previsti dalla legge"), trova viceversa applicazione rispetto alle ipotesi di danno morale derivante al danneggiato da una lesione che abbia menomato la sua integrità fisica o psichica (danno biologico), attesa la specifica disciplina oggetto di delega legislativa al Governo.
L'art. 2059-bis (Danno morale dei prossimi congiunti del danneggiato) stabilisce, al primo comma, la risarcibilità del danno morale subìto dai prossimi congiunti in caso di morte del danneggiato, recependo un indirizzo ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale, in caso di morte del danneggiato sono i prossimi congiunti conviventi coloro che direttamente ne soffrono.
Al secondo comma, l'art. 2059-bis stabilisce la risarcibilità del danno morale subìto dai prossimi congiunti anche nel caso in cui il fatto dannoso abbia cagionato all'integrità psicofisica del danneggiato menomazioni pari o superiori al 50% di invalidità. In tale ipotesi, in linea con il più recente indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, la sfera dei legittimati ad agire per il risarcimento del danno morale si estende dal soggetto colpito dalla lesione, che può ovviamente agire per il ristoro dei patimenti direttamente subìti, sino ai prossimi congiunti.
La risarcibilità del danno morale sofferto dai congiunti in caso di gravi lesioni invalidanti subìte dal danneggiato è stata invero negata dalla Corte di Cassazione, sulla base del ritenuto difetto del nesso causale, assumendo che costoro, pur soffrendo per i patimenti del proprio familiare non sono colpiti in modo diretto ed immediato dalla condotta lesiva del terzo. Più recentemente, la Suprema Corte, rimeditando la questione, è peraltro giunta a riconoscere la risarcibilità del danno de quo utilizzando la figura del c.d. "danno riflesso", ossia la lesione di un diritto conseguenza del fatto illecito altrui di cui siano portatori soggetti diversi dall'originario danneggiato ma in significativo rapporto con lui (nella specie, stretto rapporto di parentela e convivenza).
Nello schema in oggetto, sia in caso di morte che di lesione dell'integrità psicofisica del danneggiato pari o superiore al 50% di invalidità la risarcibilità del danno morale è riconosciuta in favore dei prossimi congiunti del danneggiato a prescindere dal requisito della convivenza, in relazione al quale vale sostanzialmente quanto sopra esposto con riferimento al danno biologico.
Analogamente a quanto previsto per il risarcimento del danno biologico (art. 2056-ter), al coniuge è equiparato il convivente di fatto, che dia la prova dell'esistenza di un vincolo di comunione spirituale e materiale con il danneggiato nonché della stabilità della convivenza, il cui apprezzamento è ovviamente, anche nel caso, affidato al giudice.
Lo schema regola quindi gli aspetti valutativi del danno biologico e del danno morale rimettendo al Governo, attraverso lo strumento della delega, la concreta predisposizione di un sistema di tabellazione nazionale sulla base di precisi criteri direttivi contenuti nello stesso progetto di legge.
In particolare l'articolo 3 (Valutazione del danno biologico) fissa, al primo comma, il principio della tabellazione legislativa del danno biologico, stabilendo che il relativo risarcimento deve essere determinato sulla base dei valori monetari uniformi, ossia unici e comuni a tutto il territorio del Paese, stabiliti dalla Tabella Indicativa Nazionale (T.I.N.), i cui criteri di formulazione sono indicati nel successivo art. 4.
A tale stregua, la valutazione del danno biologico è in vero sottratta alla valutazione equitativa del giudice, e viene rimessa ad una parametrazione normativa, idonea a realizzare l'avvertita esigenza di uniformità, sul territorio nazionale, della determinazione in concreto dell'ammontare di siffatto tipo di danno.
La rigidità della previsione è peraltro temperata, nei successivi commi del medesimo articolo, al fine di perseguire concretamente l'esigenza, oggetto di rilievo da parte della stessa Corte Costituzionale, di contemperamento tra l'uniformità di base del ristoro pecuniario accordato per tale tipo di danno e la necessità di margini di flessibilità che consentano l'adeguamento del dato normativo al caso concreto, in ragione delle peculiari circostanze, soggettive ed oggettive, del medesimo.
Qualora la lesione dell'integrità psicofisica sia superiore a settanta punti di percentuale invalidante, la determinazione dell'ammontare del risarcimento dovuto a titolo di danno biologico è lasciata alla valutazione equitativa del giudice, che non potrà peraltro nel caso liquidare meno di quanto previsto dal T.I.N. per la lesione massima (70%). Il pieno ricorso al criterio della liquidazione equitativa del danno da parte del giudice trova nel caso ragione nella particolare gravità delle lesioni invalidanti, rispetto alle quali, stante la complessità dei fattori coinvolti, gli importi normativamente (pre)determinati possono risultare inidonei a garantire un adeguato e congruo risarcimento.
Se la lesione è inferiore al 70% di percentuale invalidante, è attribuito al giudice il potere di adeguare l'applicazione delle tabelle alle concrete circostanze del caso, là dove questo presenti caratteri di eccezionalità. Al fine di coniugare le esigenze di flessibilità con quelle dell'uniformità della liquidazione sopra segnalate, la valutazione equitativa trova precisi limiti, oltre che nella detta eccezionalità del caso, da adeguatamente motivarsi da parte del giudice, anche nell'estensione del margine entro cui questi può discostarsi, in aumento o in diminuzione, dalle risultanze del T.I.N., fissato in una fascia non superiore al quinto dell'ammontare del danno determinato alla stregua delle medesime.
L'articolo 4 delega al Governo la emanazione, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con i Ministri del Tesoro, dell'Industria e del Lavoro, di uno o più decreti legislativi che, in attuazione del disposto dell'art. 3, comma 1, contengano il sistema di tabellazione nazionale dei valori per la liquidazione del danno biologico.
Lo stesso art. 4 prevede in proposito determinati criteri direttivi rilevanti ai fini della concreta predisposizione della Tabella Indicativa Nazionale.
Ai fini della suddetta quantificazione [art. 4, comma 1 lett. a) n. 2] si è optato per il metodo tabellare basato sul sistema c.d. "a punto variabile", che tiene conto del fattore età nonché della percentuale di invalidità accertata in sede medica.
Il metodo in questione è largamente utilizzato in giurisprudenza, giacché numerosi giudici di merito hanno con esso sostituito il criterio del triplo della pensione sociale, di cui art. 4 della legge 26 febbraio 1977 n. 39, in precedenza adottato ma più volte oggetto di censura da parte della Suprema Corte, in quanto riferentesi alla valutazione di un danno di natura reddituale (lucro cessante) e come tale pertanto non estensibile ad un danno avente natura squisitamente areddituale, qual è appunto il danno biologico.
Si è detto che le due variabili che influenzano la scala tabellare dei valori del punto sono da identificare nella percentuale di invalidità permanente riportata dal soggetto danneggiato e nell'età del danneggiato al momento dell'evento.
In particolare, il valore del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità, ossia aumenta con l'aumentare dei postumi permanenti accertati [art. 4, comma 1 lett. a) n. 2]. E' ivi indicato che l'incidenza della menomazione nella vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi non solo in termini assoluti ma anche relativi.
Il suddetto criterio di specificazione della crescita del valore del punto, non solo in termini assoluti ma anche relativi, trova fondamento in una accreditato indirizzo medico-scientifico secondo il quale, al crescere della percentuale di invalidità, i postumi che ciascun punto percentuale aggiuntivo riflette sono di peso crescente poiché vanno ad incidere su di un quadro clinico maggiormente compromesso. In via esemplificativa, ciò significa che un ulteriore punto percentuale di invalidità che insista su di una condizione di invalidità pari, in ipotesi, al 55% produce un peggioramento delle condizioni del leso maggiore rispetto ad un analogo incremento su di una condizione di invalidità meno compromessa, quale quella pari al 15%. Tale criterio vale per tutta la scala tabellare, per cui il peggioramento delle condizioni prodotto da un ulteriore punto percentuale, ad esempio il passaggio del 16% al 17%, sarà maggiore rispetto al peggioramento prodotto dal punto percentuale precedente, cioè nel passaggio dal 15% al 16%, e così di seguito.
Da un punto di vista grafico, ciò significa che la curva degli incrementi relativi dovrà essere crescente. La curva degli incrementi relativi di una tabella di liquidazione che non prevedesse al crescere della percentuale di invalidità una crescita del valore liquidato anche in termini relativi, infatti, avrebbe un aumento decrescente.
Dare al valore del punto un incremento che non sia crescente anche in termini relativi significa ritenere che l'incremento del peggioramento arrecato da un ulteriore punto percentuale su una condizione di invalidità del 55% sia inferiore a quello arrecato da un ulteriore punto percentuale su una condizione di invalidità del 15%. Ciò non sarebbe in linea con l'indirizzo scientifico sopra enunciato.
Il valore del punto è inoltre funzione decrescente dell'età del soggetto, cioè decresce con l'avanzare dell'età del danneggiato [art. 4, comma 1 lett. a) n. 3], sulla base delle tavole di mortalità pubblicate dall'ISTAT, con applicazione di un tasso annuo di rendimento pari all'interesse legale. In siffatta determinazione si tiene conto del dato di comune esperienza concernente la maggiore longevità della donna.
La ratio di tale rapporto di proporzionalità tra età e valore del punto è da ricercarsi, anche in questo caso, in considerazioni di ordine scientifico: l'incidenza della menomazione sulle funzioni vitali e sociali del danneggiato è tanto più grave quanto più giovane è la sua età, considerato il maggior periodo di tempo per il quale il danneggiato medesimo deve sopportare l'onere della menomazione della propria integrità psicofisica.
Per le menomazioni subìte dai soggetti di età superiore ai settanta anni, il valore monetario di base è indicato nel valore del punto che verrebbe riconosciuto ad un soggetto settantenne. Per i soggetti ultrasettantenni l'abbattimento del valore del punto in ragione dell'avanzare dell'età non opera, cioè, necessariamente, ma tale valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice.
Nel caso di persona di età avanzata, la scienza medica ritiene di particolare utilità una maggiore personalizzazione del danno, giacché in tali soggetti il normale decadimento dello stato di salute, che si realizza in modo assai differenziato da soggetto a soggetto, nonché la più elevata probabilità che si siano verificati eventi incidenti in modo significativo sull'integrità psicofisica, non consentono di enucleare parametri di normalità ma implicano al contrario la necessità di un puntuale adeguamento alla fattispecie concreta.
La necessità di una valutazione casistica risulta rafforzata dalla considerazione che, oltre i settanta anni, i valori delle tavole di mortalità attribuirebbero liquidazioni sensibilmente decrescenti all'aumentare dell'età.
All'art. 4, comma 1 lett. a) nn. 5 e 6, è fissato il principio per cui le invalidità percentualmente di minore e di maggiore gravità necessitano di una specifica attenzione.
In particolare, per le menomazioni c.d. "micropermanenti" [art. 4, comma 1 lett. a) n. 5], identificate nelle invalidità comprese nell'intervallo 1-10%, si dovrà prevedere una scala differenziata dei valori di punto che tenga conto, secondo le indicazioni della scienza medica, della diversa minore incidenza di tali menomazioni sulla vita futura del soggetto, nonché delle potenzialità di riassorbimento delle stesse.
Del pari, per le menomazioni c.d. "macropermanenti" [art. 4, comma 1 lett. a) n. 6], identificate con le invalidità permanenti superiori al 70%, il valore monetario di base è dato, per le età fino a settanta anni, dal valore del punto che verrebbe riconosciuto al soggetto per una invalidità pari al 70%. Ne consegue che le menomazioni di maggiore gravità, per la pluralità di peculiarità oggettive e soggettive che possono presentare, non trovano una espressa regolamentazione tabellare ma, richiedendo un più puntuale adeguamento al caso di specie, restano rimesse alla valutazione equitativa del giudice.
Coerentemente con tale assunto si prevede [art. 4, comma 1 lett. a) n. 4], che la tabella fissi i valori monetari del punto per invalidità dall'1% al 70%.
Il giudice ha tuttavia come base di riferimento e di partenza, nell'adeguamento al caso concreto, il valore del punto che verrebbe riconosciuto al soggetto leso a seconda della sua età, a fronte di una lesione pari al 70%.
Alla lett. b) dell'art. 4 viene delegata al Governo l'emanazione della disciplina relativa all'aggiornamento dei valori monetari indicati nella tabellazione nazionale, nonché di un sistema di monitoraggio delle sentenze pronunciate dalle sedi giudiziarie in ordine ai valori stessi.
All'art. 4, comma 1 lett. b) n. 1, si prevedono, in particolare, meccanismi di monitoraggio in ordine all'andamento delle liquidazioni effettuate dai giudici a titolo di danno biologico e di danno morale, da affidarsi al Ministero di Grazia e Giustizia.
La previsione è in linea con l'idea di fondo di assumere i dati giurisprudenziali nazionali a fondamento della "base uniforme" della tabellazione.
L'osservazione costante delle liquidazioni effettuate dagli organi giudicanti sarà utile strumento per verificare, nel corso del tempo, l'osservanza delle indicazioni tabellari nonché la misura dello scostamento rispetto ai valori tabellari, ed è volto ad ottenere dei dati obiettivi idonei ad essere presi in considerazione - seppure in termini non automatici e matematici -, unitamente a quello della media del tasso di inflazione registrato nei tre anni precedenti all'ultimo aggiornamento indicato all'art. 4, comma 1, lett. b) n. 2, ai fini dell'aggiornamento periodico dei valori monetari della tabella secondo i meccanismi (con cadenza massima triennale) ivi previsti.
In tema di quantificazione del danno morale conseguente a lesione della integrità psicofisica va rilevato che, allo stato, sussistono diversi indirizzi giurisprudenziali. Si passa dalla adozione del criterio equitativo puro a criteri intermedi che coniugano l'equità del caso concreto con forme di percentualizzazione del danno morale al danno biologico fino a criteri che rapportano automaticamente il danno morale ad un quantum dell'importo riconosciuto a titolo di danno alla salute.
Tutte le tabelle attualmente in uso presso i Tribunali relative alla liquidazione del danno biologico indicano al giudice in quale percentuale (solitamente da un terzo alla metà) dell'importo liquidato a titolo di danno biologico va risarcito il danno morale subìto dal danneggiato.
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione dei rapporti fra la liquidazione del danno morale e quella del danno biologico affermando che l'orientamento, spesso accolto dai giudici di merito, di fissare il primo in una frazione del secondo non è di per sé illegittimo purchè il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto ed apportato, di conseguenza, gli eventuali correttivi in aumento o in diminuzione.
La Corte di Cassazione ha altresì rilevato che il criterio in questione è ispirato alle stesse esigenze che giustificano la liquidazione del danno alla salute sulla base del sistema del valore del punto di invalidità, tendenti ad evitare che la valutazione equitativa del danno da parte del giudice assuma di volta in volta connotazioni diverse ed imprevedibili fino al punto da poter apparire arbitrarie.
La lett. c) dell'art. 4 disciplina gli aspetti valutativi del danno morale conseguente ad una menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto danneggiato, nonché del danno morale subìto dai prossimi congiunti ai sensi dell'art. 2059-bis. Lo schema riproduce specularmente quello adottato per la valutazione del danno biologico.
Il criterio direttivo al Governo di cui all'art. 4, comma 1 lett. c) n. 1, prevede che, ai fini del risarcimento del danno morale del soggetto danneggiato conseguente ad una menomazione della sua integrità psicofisica, dovranno essere individuati 4 livelli di gravità dell'offesa (lieve, medio, grave, molto grave). Ai diversi livelli di gravità dovranno corrispondere altrettante percentuali differenziate, oscillanti fra un minimo ed un massimo, da calcolarsi in relazione all'importo liquidato a titolo di danno biologico. La percentuale massima corrispondente al livello di più elevata gravità dell'offesa non potrà comunque essere superiore alla metà del suddetto importo.
Il livello di gravità dell'offesa che meglio si adatta alle caratteristiche della fattispecie concreta dovrà pertanto essere determinato tenuto conto delle effettive sofferenze patite dal danneggiato in relazione a tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del caso. Successivamente, ai fini della monetizzazione del danno andrà operata la percentualizzazione sulla base dell'importo già liquidato a titolo di danno biologico, a seconda del livello di gravità nel quale è stato sussunto il caso di specie.
All'art. 4, comma 1 lett. c) n. 2, si prevede, per il risarcimento del danno morale subìto dai prossimi congiunti in caso di morte o di grave menomazione del familiare, l'individuazione da parte del Governo di diversi importi liquidabili, oscillanti tra un minimo ed un massimo, in relazione al rapporto di "coniugio" o al grado di parentela.
La sopra esposta percentualizzazione del danno morale è peraltro limitata, come già sopra esposto, alla mera ipotesi del danno morale subìto in conseguenza di una lesione che abbia menomato l'integrità psicofisica (danno biologico) del danneggiato, mentre per le altre ipotesi di danno morale (ad es. conseguente alla lesione dell'onore, del decoro e della reputazione) la relativa liquidazione va informata alla regola generale posta dall'art. 3 del disegno.