I FOTOGRAMMI OTTENUTI MEDIANTE TELECAMERA A CIRCUITO CHIUSO NON POSSONO ESSERE UTILIZZATI COME PROVA DI UN FURTO COMMESSO DA UN DIPENDENTE DURANTE L’ATTIVITA’ LAVORATIVA Si tratta di controllo vietato dall’art. 4 St. Lav. (Cassazione Sezione Sezione Lavoro n. 8250 del 17 giugno 2000, Pres. Ianniruberto, Rel. Stile).


La società La Carica, titolare di un bar, ha promosso un giudizio davanti al Pretore di Verona nei confronti della sua ex dipendente G.L. chiedendone la condanna al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, quantificato in 37 milioni di lire, per indebiti prelievi di denaro dalla cassa.


L’azienda ha sostenuto di avere accertato, mediante telecamera a circuito chiuso, che l’ex dipendente si era appropriata tutti i giorni di circa 15.000 lire. Essa ha prodotto un fotogramma ottenuto mediante le riprese televisive e ha indicato alcuni testimoni per provare che la ex dipendente era stata effettivamente controllata mediante telecamera. G.L. si è difesa contestando gli addebiti e chiedendo a sua volta il risarcimento del danno per lesioni della sua immagine professionale.


Il Pretore ha ritenuto inammissibili le prove offerte dall’azienda in quanto ottenute mediante uno strumento il cui impiego per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è espressamente vietato dall’art. 4 St. Lav. e ha rigettato entrambe le domande.
Questa decisione è stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Verona.


La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 8250 del 17 giugno 2000, Pres. Ianniruberto, Rel. Stile) ha rigettato il ricorso dell’azienda.
L’art. 4 della legge n. 300/70, la cui violazione è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 della stessa legge – ha affermato la Corte - fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera interna della persona, si ritengono lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore.


L’art. 4, infatti, sancisce, al suo primo comma, il divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi, sul presupposto – espressamente precisato nella "relazione ministeriale" – che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione "umana", e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro.


Lo stesso articolo, tuttavia, al secondo comma – ha osservato la Corte - prevede che esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoro possano richiedere l’eventuale istallazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. In tal caso è prevista una garanzia precedurale a vari livelli, essendo l'installazione condizionata all’accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e con la commissione interna, ovvero, in difetto, all’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.


In tal modo il legislatore ha inteso contemperare l’esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro, o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi.

Nel caso in esame – ha affermato la Corte - l’installazione, da parte dell’azienda, della telecamera a circuito chiuso, nella misura in cui risulti finalizzata a controllare a distanza anche l’attività dei dipendenti, è da ritenersi illecita, inficiando lo stesso valore probatorio del fotogramma conseguito in sua violazione.


Ma anche a volere, in ipotesi, ritenere applicabile il secondo comma dell’art. 4 St. Lav. egualmente l'installazione della telecamera sarebbe vietata, in quanto non preceduta dalla prescritta procedura.

1