LA RICHIESTA DEI MOTIVI DEL LICENZIAMENTO PUO’ ESSERE FATTA ANCHE CONTESTUALMENTE ALL’IMPUGNAZIONE – Se l’azienda non risponde, il provvedimento deve ritenersi inefficace (Cassazione Sezione Lavoro n. 7008 del 27 maggio 2000, Pres. Trezza, Rel. Celentano).


La società Le Camerelle, titolare di un’azienda alberghiera con meno di 16 dipendenti, ha comunicato a G.G. il licenziamento, giustificandolo con "inevitabili motivi tecnico-organizzativi".


Il lavoratore ha impugnato il provvedimento chiedendone contestualmente la comunicazione dei motivi. L’azienda non ha risposto. G.G. si è rivolto al Pretore di Napoli chiedendo la dichiarazione di inefficacia del licenziamento per mancata comunicazione dei motivi e comunque l’annullamento del provvedimento per mancanza di ragioni organizzative, nonché la condanna dell’azienda a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni. L’azienda si è difesa sostenendo che aveva avuto necessità di ridurre i costi con la soppressione della prestazione lavorativa di G.G., portiere di giorno e addetto alla ricezione dei clienti, e l’assunzione dei relativi compiti da parte dello stesso amministratore della società; essa ha comunque fatto presente che, avendo meno di 16 dipendenti, non poteva essere disposta nei suoi confronti la reintegrazione nel posto di lavoro. Il Pretore ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento ma non ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro. Questa decisione è stata riformata in grado di appello dal Tribunale di Napoli, che ha dichiarato inefficace il licenziamento, per mancanza di effettiva motivazione e inosservanza dell’obbligo di fornirla a richiesta del lavoratore, condannando l’azienda al pagamento in favore di G.G. delle retribuzioni a decorrere dal licenziamento fino al ripristino del rapporto. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione sostenendo l’erroneità sia della dichiarazione di inefficacia del licenziamento sia della condanna al pagamento della retribuzione del lavoratore.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 7008 del 27 maggio 2000, Pres. Trezza, Rel. Celentano) ha rigettato il ricorso nella parte concernente la dichiarazione di inefficacia del licenziamento. La Corte ha ricordato che l’art. 2 della legge 15 luglio 1966 n. 604, nel testo modificato dalla legge n. 108 del 1990, prevede per il prestatore di lavoro la facoltà di chiedere entro 15 giorni dalla comunicazione i motivi del licenziamento e l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto tali motivi nei sette giorni dalla richiesta; l'obbligo del datore di lavoro di rispondere alla tempestiva richiesta dei motivi – ha affermato la Corte - permane anche se, con lo stesso scritto contenente la richiesta, il lavoratore abbia impugnato il licenziamento; la facoltà di richiedere i motivi entro quindici giorni dalla comunicazione del licenziamento e la facoltà di impugnare il licenziamento entro i termini di cui all'art. 6 della citata legge n. 604 (60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dalla comunicazione dei motivi, ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento), non hanno finalità contrastanti e inconciliabili.


La specificazione dei motivi, ove richiesti – ha affermato la Corte - risponde in primo luogo ad una esigenza di civiltà giuridica; va infatti rimarcato che il lavoratore deve essere posto in grado di conoscere i motivi del licenziamento, onde valutare l'opportunità di rivolgersi o meno al giudice allo scopo di far valere i suoi diritti qualora ritenga l'infondatezza dei motivi e l'impugnazione stragiudiziale non abbia sortito effetto.


D'altra parte, costringere il datore di lavoro a manifestare, chiaramente ed entro un termine breve, i motivi che lo hanno indotto a recedere dal rapporto, significa agevolare il controllo degli stessi e garantire il principio della loro immodificabilità.
Di conseguenza – ha osservato la Corte - l'impugnazione stragiudiziale può avere anche uno scopo cautelativo, pur se intervenuta prima dell'inizio del termine decadenziale di 60 giorni, termine che, in caso di motivazione non contestuale al licenziamento e di tempestiva richiesta, decorre dalla comunicazione dei motivi.

 

La Suprema Corte ha invece accolto il ricorso nella parte concernente la conseguenza dell’inefficacia del licenziamento. In proposito essa ha affermato che, contrariamene a quanto ritenuto dal Tribunale, l’inefficacia del recesso non comporta autonomamente l’obbligo per l’azienda di pagare, per il periodo successivo, le retribuzioni.
In proposito la Corte ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unte n. 508 del 27 luglio 1999, secondo cui l’inefficacia per vizio di forma del licenziamento "non comporta il diritto del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento inefficace, bensì solo il risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni".


Pertanto la Corte ha rinviato la causa al Tribunale di Torre Annunziata, stabilendo per il giudice di rinvio il seguente principio di diritto:


"Nei rapporti di lavoro sottratti al regime della tutela reale ai sensi dell'art. 18 L. 20 maggio 1970 n. 300, come modificato dall'art. 1 L. 11 maggio 1990 n. 108, qualora il datore di lavoro, a seguito di richiesta del lavoratore, non provveda ad indicare i motivi del licenziamento entro i termini previsti dall'art. 2 L. 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dall'art. 2 L. 11 maggio 1990 n. 108, il recesso non produce effetti sulla continuità del rapporto ed il lavoratore ha diritto - trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive - non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell'inadempimento delle obbligazioni".

1