Sentenza della Cassazione


Per il licenziamento della lavoratrice madre non è sufficiente la normale"giusta causa"


Con una recente sentenza la Cassazione ha affermato che la lavoratrice madre può essere licenziata solo per mancanze di particolare gravità, dal momento che non è sufficiente la normale "giusta causa" (Cass. 21 settembre 2000, n. 12503). Un’impiegata con mansioni d’esattrice è stata licenziata una prima volta nel maggio del ’92 per soppressione del servizio d’esazione. Ha impugnato il licenziamento con lettera raccomandata e, successivamente, a giugno , durante il periodo di preavviso, ha consegnato all’azienda una certificazione medica attestante il suo stato di gravidanza. Pochi giorni dopo, avendo rilevato dai bollettini di versamento una differenza negativa rispetto alle registrazioni contabili, ha comunicato ai suoi superiori tale dato. In seguito a ciò, è stata sottoposta a procedimento disciplinare con l’addebito d’avere causato un ammanco di circa 8 milioni nelle somme riscosse e licenziata quindi una nuova volta per "giusta causa".

Anche questo licenziamento veniva impugnato, in quanto l’ammanco non era stato dimostrato e comunque doveva essere imputato all’azienda quale errore contabile. Veniva inoltre chiesta l’applicazione dell’art. 2 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204, secondo cui la donna in stato di gravidanza è licenziabile soltanto per "colpa grave". Il pretore ha dichiarato la nullità del licenziamento, ordinando la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro. Questa decisione è stata riformata, in grado d’appello, dal tribunale, che ha ritenuto legittimo il licenziamento, affermando che la "giusta causa" può configurarsi anche per un fatto non doloso e non penalmente rilevante, ma comunque tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’inadempienza della lavoratrice madre dev’essere valutata con metro meno rigoroso di quello abituale, in quanto la legge prevede che essa possa essere licenziata solo per colpa grave.

La Suprema Corte ha accolto l’impugnazione, rilevando che la tutela della lavoratrice in gravidanza ha acquistato nella giurisprudenza "sempre di più reale consistenza ed effettività", come risulta tra l’altro dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 61/1991. La Corte ha cassato la decisione del tribunale e ha stabilito per il giudice di rinvio il seguente principio di diritto: "Ai fini dell’operatività della norma dell’art. 2, terzo comma, lett. a), della legge n. 1204/1971 – che rende inoperante il divieto di licenziamento della lavoratrice madre sancito dal primo comma dello stesso articolo quando ricorra "colpa grave da parte della lavoratrice" – non è sufficiente accertare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ma è invece necessario (anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 61/1991) verificare – con il relativo onere probatorio a carico del datore di lavoro – se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa da quella prevista dalla legge o dalla disciplina collettiva per generici casi d’infrazione o d’inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto; salvo restando che la suddetta verifica dev’essere eseguita tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice, in relazione alle sue particolari condizioni psico-fisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell’esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso".


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