IL LICENZIAMENTO PER MANCANZE ESEGUITO A NOTEVOLE DISTANZA DI TEMPO DAI FATTI DEVE ESSERE RITENUTO ILLEGITTIMO, SE IL DATORE DI LAVORO NON PROVA RIGOROSAMENTE L’ESISTENZA DI RAGIONI GIUSTIFICATRICI DEL RITARDOLa non immediatezza della sanzione fa ritenere che l’imprenditore abbia escluso la gravità della colpa (Cassazione Sezione Lavoro n. 8200 del 16 giugno 2000, Pres. Trezza, Rel. Capitanio).


T.A., dipendente della Banca Popolare di Belpasso, è stato licenziato in tronco nell’ottobre del 1992 con l’addebito di avere svolto, nel periodo marzo-aprile del 1989, attività finanziaria, mediante sconto di titoli cambiari, in concorrenza con la datrice di lavoro. Egli ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Belpasso contestando l’addebito e sostenendo di aver eseguito, a titolo amichevole, solo poche operazioni, delle quali la banca era venuta contestualmente a conoscenza, in seguito al protesto dei titoli scontati. Egli ha chiesto perciò l’annullamento del licenziamento, anche per la sua tardività. Il Pretore ha escluso l’esistenza di una giusta causa, ma ha ugualmente ritenuto legittimo il licenziamento, ravvisando gli estremi del "giustificato motivo soggettivo" e riconoscendo il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso.


Questa decisione è stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Catania, il quale ha tra l’altro escluso la tardività del licenziamento basandosi sull’affermazione della Banca di essere venuta a conoscenza delle operazioni irregolari solo in un secondo momento, in seguito ad un’ispezione. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando il Tribunale, tra l’altro, per non avere posto a carico della Banca l’onere di giustificare – con prove adeguate – la tardività del licenziamento. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 8200 del 16 giugno 2000, Pres. Trezza, Rel. Capitanio) ha accolto il ricorso.


Quanto più lungo è il tempo intercorrente tra la data in cui si è verificato il fatto l’addebitato e il licenziamento – ha affermato la Corte – tanto più rigorosa deve rivelarsi la prova, incombente sul datore di lavoro, diretta a vincere la presunzione dell’illiceità della contestazione non tempestiva. La non immediatezza della contestazione, infatti, induce a ritenere che il datore abbia a suo tempo soprasseduto al licenziamento, ritenendo non grave o, comunque, non meritevole della sanzione espulsiva, la colpa del lavoratore. Di questo principio – ha osservato la Corte – il Tribunale non ha fatto corretta applicazione, in quanto, con un’inversione dell’onere della prova, in violazione dell’art. 2697 cod. civ., ha ritenuto presuntivamente legittima la non immediatezza della contestazione – rispetto alla data di commissione dei fatti addebitati – costituente, invece, fatto impeditivo di tale legittimità: il giudice di merito, perciò, avrebbe dovuto esaminare con il dovuto rigore se la banca aveva dimostrato la legittimità della tardiva contestazione, non essendo, all’uopo, sufficiente l’allegazione generica di una successiva ispezione non supportata dalla prova di un nesso causale tra essa e la tardiva conoscenza dei fatti. Il Tribunale, in particolare – ha riferito la Corte – non ha considerato che il notevole lasso di tempo trascorso tra il periodo in cui i fatti addebitati erano stati commessi (marzo – aprile 1989) e quello della intimazione del licenziamento (9.10.1992) rendeva problematica l’asserita tardiva conoscenza che, al contrario, concernendo operazioni di sconto di effetti cambiari, risultati insoluti in conseguenza dell’immediatezza del protesto, deve reputarsi essere avvenuta immediatamente a conoscenza degli organi responsabili della banca; andava, perciò, considerata, a quel punto, la difesa del lavoratore, secondo cui la banca era venuta a conoscenza dei fatti immediatamente e li aveva ritenuti, nell’immediatezza, non di tale gravità da legittimare il licenziamento.

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