OLD E NEW ECONOMY, COME CAMBIA IL RAPPORTO DI LAVORO.

 


 

Un articolo apparso su Il Sole 24 Ore, ha analizzato abbastanza sinteticamente ma in maniera chiara gli aspetti emergenti dei nuovi lavoratori "subordinati" delle Imprese della "New Economy".

A quanto pare le Società oggi impegnate nella gara per accaparrarsi quote sempre maggiori di mercato nei settori della telefonia, informatica ed Internet, hanno generato un nuovo rapporto con i propri dipendenti, che, sotto certi aspetti, anticipa di parecchio, sia nel tempo, sia nelle regole, l'idea di "deregolamentare" il mercato del lavoro nella misura in cui venga favorito lo sviluppo occupazionale.

Occorre premettere che le Società della New Economy si basano su realtà soggette a continui cambiamenti pertanto necessitano di figure professionali molto specializzate, ma anche duttili e capaci di adattarsi rapidamente alle diverse evoluzioni che il mercato tecnologico impone.

Il lavoratore della New Economy e' mediamente un giovane di trent'anni o anche meno, laureato o diplomato. Un web-designer, uno sviluppatore di sitemi informatici, un creativo con ottima conoscenza della programmazione, un laureato in tecnologie informatiche, uno specialista in e-commerce, ecc., insomma figure professionali ancora rare da reperire sul mercato del lavoro, data la scarsa preparazione fornita dal mondo della scuola. Molte aziende investono risorse economiche nella formazione di nuovi tecnici, ma il rischio è di vederseli "rubare", una volta acquisita capacità ed esperienza, da altre Società concorrenti. Ecco che intervengono sistemi di motivazione dei dipendenti che non conoscono uguali nei rapporti di lavoro della Old Economy:

  • una politica dell'incentivazione attraverso le "stock options". Molte Società della net-economy offrono ai dipendenti quote azionarie proprie; dette quote, oltre a beneficiare di un trattamento fiscale di favore, sono finalizzate ad invogliare i dipendenti alla migliore prestazione possibile, per far crescere il valore dell'azienda e di conseguenza la "fetta" di partecipazione che hanno in portafoglio.
  • Dal lavoro del singolo si passa al lavoro in team: i componenti del gruppo hanno rapporti paritetici o comunque, anche se esiste un coordinatore, sono tutti informati sugli scopi e gli obiettivi del loro lavoro, quindi i risultati diventano il frutto della collaborazione di un gruppo. Non esiste piu' quindi un rapporto verticale, ma orizzontale. Le informazioni "girano" velocemente e sono disponibili a tutti al fine di ottimizzare nel breve termine ogni prestazione di lavoro ed adattarsi con velocità ai cambiamenti tecnologici e del mercato. La conoscenza e' alla portata di tutti e non di pochi come nelle Aziende tradizionali, ma saranno i più bravi a fare di questo "sapere" una vera occasione di crescita professionale.
  • Generalmente si potrebbe fare a meno di un Contratto di categoria, non essendo necessaria una vera e propria contrattazione collettiva, visto che i dipendenti della new-economy, essendo specialisti ancora altamente ricercati possono contrattare autonomamente la loro retribuzione, certi che qualche Società, prima o poi, troverà conveniente la loro richiesta e domanda e offerta s'incontreranno. Quindi niente orari fissi di lavoro, concetti di carriera tradizionali, che spesso sono legati piu' alle ore di presenza in ufficio del dipendente che ai risultati da esso raggiunti. Niente rappresentanze sindacali, visto che e' saltata completamente la base tradizionale della contrattazione collettiva, essendo essenzialmente individuale e legata alle effettive capacità del singolo.
  • La subalternità tradizionale, dove le decisioni provengono dall'alto e sono prese da pochi, sembra essere sostituita dalla coscienza di far parte di un unico "corpo", dove non esiste conflittualità tra personale direttivo ed operatori tecnici.

Sicuramente si tratta di un modo nuovo di concepire il mondo del lavoro, che contrasta con l'esigenza, sentita ancora oggi, e non sempre a torto, della necessità del posto sicuro e fisso e della tranquillità economica ad esso associata.

Non mi sento in questa sede di esprimere un parere personale in merito. Quello che è certo è che la "deregulation" del mondo del lavoro è riuscita in pieno solo dove ha trovato le condizioni ottimali, dettate dalla necessità di adattarsi a veloci e complessi sviluppi del mercato.

Nelle Imprese della Old-Economy, pur essendo necessaria un'organizzazione più tradizionale del lavoro, è sentita comunque la necessità di rompere con le rigidità ereditate dal passato: non dev'essere questo un sistema per eliminare le tutele che hanno oggi i lavoratori dipendenti, sulle quali taluni sostengono necessario operare una discreta limatura, bensì significa adottare quei metodi di informazione e formazione verso una platea sempre piu' ampia di lavoratori; adottare un sistema credibile di incentivazione, legato non solo alle Stock Options che sono rischiose perchè collegate all'andamento dei mercati finanziari o dell'impresa stessa (ricordo che il lavoratore subordinato, proprio per la sua natura di subordinato, non dovrebbe partecipare agli utili ma neanche alle perdite dell'Impresa), ma soprattutto a criteri di avanzamento di carriera e gratificazione economica molto selettivi; questo significa sostituire gli aumenti retributivi contrattuali "a pioggia" con aumenti di merito mirati alle effettive capacità del singolo, con il rischio quindi di premiare poche persone, ma con la conseguenza di essere pero' credibili nella politica di incentivazione. Inoltre dovrebbe essere preso come modello anche per le Imprese tradizionali, il lavoro in "team", il gruppo che solidalmente collabora con un coordinatore, per il raggiungimento di uno scopo; lavorare per obiettivi è il segreto per motivare i dipendenti e aumentarne il rendimento, soprattutto là dove occorre molta professionalità e flessibilità nel lavoro. Abbandonare il rapporto gerarchico o paternalistico con i superiori è fortemente auspicabile per tutte le Imprese tradizionali.

Un'ultima nota meritano i rapporti di lavoro, cosiddetti "flessibili": il lavoro interinale, con il suo 30% di posti di lavoro fissi creati a seguito degli impieghi temporanei, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in grande crescita durante questi ultimi anni, stanno sempre piu' convincendo che il mercato del lavoro puo' riprendere vigore solo dando alle Imprese una certa garanzia di flessibilità e di mobilità del personale dipendente, piuttosto che generici sgravi contributivi per certe tipologie di assunzioni: questo anche perche' le Imprese assumono solo se hanno bisogno di una data figura professionale e non perche' e' possibile risparmiare qualche lira di contributi.

Inoltre non si deve fraintendere questa maggior richiesta di flessibilità nel lavoro da parte delle Imprese come la volontà di licenziare "quando fa comodo" i lavoratori: le Imprese si tengono ben stretti i dipendenti che sono utili e capaci; ne è una prova - mi ripeto - il grande "volano" dell'occupazione che e' il lavoro interinale, con le innumerevoli opportunità di lavoro a tempo indeterminato da esso create.

Una nota dolente e' poi la formazione professionale dei giovani, completamente carente nella scuola. Le Imprese non assumono giovani perche' non hanno tempo o risorse per fare formazione, quella formazione che, se fatta durante il periodo degli studi darebbe una reale speranza ai giovani di introdursi piu' facilmente nel mondo del lavoro. Dall'altra parte le Imprese sono restie ad investire in formazione e preferiscono assumere persone già formate in altre realtà lavorative: personalmente ritengo che la formazione di un giovane in Azienda costituisca un investimento in valore umano molto importante, in quanto il dipendente seguirà più facilmente gli indirizzi e le politiche strategiche dell'Impresa, e, nel medio-lungo termine, sarà probabilmente più legato alla Società che lo ha formato, quindi più fedele e redditizio, ed appagato anche da soddisfazioni professionali oltre che economiche.

 

 

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