L’ORGANICO DEL PERSONALE DEVE ESSERE ADEGUATO ALLE NORMALI ESIGENZE AZIENDALI, AFFINCHE’ I DIPENDENTI IN SERVIZIO NON SIANO SOTTOPOSTI AD ABNORMI PRESTAZIONI LAVORATIVE – Se dal superlavoro deriva una malattia, l’azienda è tenuta al risarcimento del danno (Cassazione Sezione Lavoro n. 1307 del 5 febbraio 2000, Pres. Sommella, Rel. Capitanio).


P.L., dipendente dell’Ente Autonomo Fiera del Levante di Bari con qualifica di quadro, ha svolto per circa sette anni le mansioni di capo ufficio addetto alla organizzazione della esposizione. Avendo subito nel marzo del 1986 un infarto cardiaco, egli ha chiesto al Pretore di Bari la condanna della datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico sostenendo di essere stato costretto ad un’estenuante attività lavorativa con impegno medio settimanale di 60 ore a causa della inadeguatezza dell’organico (14 dipendenti suddivisi in due uffici) e della complessità dei compiti affidatigli, concernenti la partecipazione all’esposizione di circa 2000 aziende.


Il Pretore ha rigettato la domanda e la sua decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Bari.


La Suprema Corte ha invece accolto, con decisione del 14 febbraio 1997 n. 8267, il ricorso di P.L. cassando la sentenza del Tribunale di Bari e rinviando la causa al Tribunale di Foggia. Al giudice di rinvio la Corte ha assegnato il compito di applicare il principio di diritto secondo cui il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, allla libertà e alla dignità umana e nel far sì che nell’attività di collaborazione richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili a impedire l’insorgere o l’ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore, ai sensi dell’art. 41 secondo comma Cost. e dell’art. 2087 cod. civ.


Con sentenza in data 12 novembre – 12 dicembre 1998 il Tribunale di Foggia, premettendo di volersi uniformare a tale principio, ha accolto la domanda di P.L., ritenendo provata la sussistenza delle condizioni di superlavoro in cui aveva operato il dipendente nell’indifferenza dell’Ente datore di lavoro, sollecitato a ovviare alla insufficienza dell’organico.


Il giudice del rinvio, inoltre, sulla base della consulenza tecnica medico-legale disposta dal Pretore, ha ritenuto che l’infarto subito da P.L., nonostante la sussistenza di altri fattori di rischio, quali la familiarità ipertensiva, il fumo di 15 sigarette al giorno e la vita sedentaria, era da attribuire in via causale all’attività lavorativa intensa svolta dal lavoratore in concomitanza con l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di misure atte ad evitare tale effetto dannoso.


Sulla base di tale premessa il Tribunale di Foggia ha riconosciuto la risarcibilità del danno biologico e ne ha determinato la misura nella complessiva somma di lire 300 milioni, oltre svalutazione monetaria e interessi quantificati del 4% sulla somma rivalutata dal giorno dell’evento dannoso sino al saldo.


In seguito a ricorso dell’Ente Fiera la causa è tornata davanti alla Suprema Corte che con sentenza n. 1307 del 5 febbraio 2000 (Pres. Sommella, Rel. Capitanio), ha rigettato l’impugnazione, in quanto ha ritenuto che il Tribunale di Foggia abbia correttamente motivato la sua decisione con riferimento sia all’inadempienza della datrice di lavoro all’obbligo di tutelare la salute del dipendente, sia alla esistenza di un nesso causale fra le abnormi condizioni di lavoro e l’infarto subito da P.L., sia alla liquidazione del danno biologico.


La Corte ha richiamato la sua giurisprudenza che ha ritenuto sussistente il danno biologico del lavoratore in relazione all’inosservanza dell’obbligo del datore di lavoro di non dequalificarlo con l’offesa della sua dignità (art. 41 Cost.) in quanto, insieme alla lesione del diritto alla salute (art. 32, primo comma Cost.), conseguenza diretta ed immediata della dequalificazione (Cass. 24.1.1990 n. 411).


La Corte ha altresì ricordato la sua giurisprudenza che, in tema di infortuni sul lavoro, ha ritenuto sussistente la responsabilità del datore di lavoro per il danno biologico, inteso come menomazione dell’integrazione psico-fisica, subita dal lavoratore e valutabile monetariamente in modo autonomo rispetto al danno morale e alla vita di relazione causati dal reato (Cass. 4.10.1994 n. 8054; Cass. 1996 n. 3510 e 7636). Infine la Corte ha ribadito i principi, già affermati nello stesso processo con la sentenza n. 8267 del 1997 secondo cui: "In ottemperanza al precetto costituzionale di cui all’art. 41 secondo comma Cost. il datore di lavoro non può esimersi dall’adottare tutte le misure necessarie, compreso l’adeguamento dell’organico, volte ad assicurare livelli compensativi di produttività, senza, tuttavia, compromettere l’integrità psico-fisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo di dimensionamento delle strutture aziendali. Pertanto l’accettazione da parte del lavoratore di un lavoro straordinario continuativo, ancorché contenuto nel c.d. "monte ore contrattuale massimo", o la rinuncia a un periodo feriale effettivamente rigenerativo dell’impegno lavorativo non possono esimere il datore di lavoro dall’adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto che è in condizioni di subordinazione socio-economica. L’eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha efficacia esimente per il datore di lavoro che abbia omesso le misure atte ad impedire l’evento lesivo, restando egli esonerato da ogni responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute".


Nella specie – ha precisato la Corte - si verte in materia responsabilità contrattuale nascente dall’inosservanza di un obbligo preesistente del datore di lavoro, previsto dalla Costituzione come limite al diritto di libertà all’iniziativa privata nell’esercizio dell’impresa (art. 41 primo e secondo comma Cost.).


Tale limite si sostanzia nell’obbligo di non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e, posto in relazione all’art. 32 primo comma Cost. e all’art. 2087 cod. civ., nell’obbligo del datore di lavoro, costituzionalmente imposto, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità fisio-psichica del lavoratore.


L’inadempimento di tale obbligo deve essere dimostrato dal lavoratore che chiede il risarcimento del danno biologico. Una volta, però, dimostrata la sussistenza dell’inadempimento, non occorre, a norma dell’art. 1218 c.c., che il lavoratore dimostri, come invece nella responsabilità extracontrattuale, anche la sussistenza della colpa del datore di lavoro inadempiente. Su quest’ultimo infatti, incombe l’onere di provare che l’evento lesivo dipenda da un fatto a lui non imputabile e cioè da un fatto che presenti i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità e dell’esorbitanza in relazione al procedimento lavorativo e alle direttive impartite.

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