Corte di Cassazione

Il diritto del lavoratore alla retribuzione negli intervalli fra contratti a termine irregolari.


Con la sentenza 18 luglio 2000, n. 9420, la sezione lavoro della Corte di Cassazione, in contrasto con le Sezioni Unite, ha affermato nuovamente il diritto del lavoratore alla retribuzione negli intervalli fra contratti a termine irregolari, in caso d’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il caso è il seguente. L.D. è stata ripetutamente assunta da un casinò municipale con contratti a termine, rimanendo disoccupata negli intervalli tra un rapporto e l’altro. Dopo circa cinque anni di precariato, ha chiesto al giudice di accertare che le ripetute assunzioni a termine erano illegittime e che pertanto doveva considerarsi dipendente a tempo indeterminato. Ha chiesto anche il pagamento della retribuzione relativa agli intervalli tra un periodo e l’altro. Il giudice ha dichiarato la nullità dei termini apposti ai vari contratti e l’esistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ha però respinto la domanda di pagamento della retribuzione intermedia, rilevando che in tali periodi non era stata prestata alcuna attività.

Questa decisione è stata confermata in grado d’appello. Entrambe le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Il casinò ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; la lavoratrice ha invece contestato la negazione del suo diritto alla retribuzione negli intervalli. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e ha accolto quello della lavoratrice, pur sottolineando che sulla questione del diritto alla retribuzione negli intervalli, in caso di ritenuta esistenza di un rapporto a tempo indeterminato, le Sezioni Unite si sono pronunciate negativamente, con la sentenza 5 marzo 1991, n. 2324. Il Collegio non ha condiviso quest’orientamento e ha aderito invece al diverso indirizzo espresso in precedenza dalla Sezione lavoro (Cass. 13 marzo 1997, n. 2237 e Cass. 12 dicembre 1997, n. 12665). Ove si accerti che negli intervalli la prestazione lavorativa non sia stata data per causa imputabile al datore di lavoro, ha affermato la Corte, la retribuzione dovrà essere riconosciuta a titolo di risarcimento del danno. In proposito, deve infatti presumersi, salvo prova contraria, che il lavoratore si sia tenuto a disposizione stante il suo interesse alla continuità del rapporto e della retribuzione.

In sintesi, è stato stabilito il seguente principio di diritto: "Nel caso di successivi contratti a tempo determinato convertiti dal giudice in un unico rapporto a tempo indeterminato (...) per stabilire la spettanza della retribuzione intermedia, non è sufficiente un criterio di decisione limitato al rapporto tra obbligazioni di lavoro e obbligazione retributiva, essendo necessario un ulteriore accertamento volto a verificare se la prestazione di lavoro non è stata eseguita per fatto imputabile all’una o all’altra parte del rapporto. In un caso, essendo attribuita al datore di lavoro, quale sanzione per l’inadempimento del lavoratore, la facoltà di recesso dal rapporto e, nell’altro, quale sanzione del rifiuto della prestazione da parte del datore di lavoro senza "legittimo motivo", essendo attribuito al lavoratore il diritto al risarcimento del danno corrispondente alle ordinarie retribuzioni. L’intimazione a ricevere, di cui all’art. 1217 cod. civ., per la quale non occorrono particolari requisiti formali (...), può essere presunta quale ragionevole conseguenza dell’interesse del lavoratore alla continuità del rapporto e della retribuzione, salva la prova contraria data dal datore di lavoro".


 

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