INSERIMENTO DEL SOCIO CONSULENTE NELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE - Può comportare l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato indipendentemente dalla veste formale (Cassazione Sezione Lavoro n. 6645 del 26 giugno 1999, Pres. Lanni, Rel. Castiglione).


S.G., dopo aver lavorato per la S.r.l. Industria Gomma Sud, di cui era socio, in base a un contratto di consulenza, ha chiesto al Pretore di Marsala di accertare che in effetti egli aveva prestato la sua opera in condizioni di subordinazione svolgendo le mansioni previste dal c.c.l. del settore per l’impiegato di settimo livello.


Conseguentemente egli ha chiesto la condanna della società al pagamento delle differenze di retribuzione e delle spettanze di fine rapporto maturate in suo favore nonché al versamento dei contributi previdenziali all’INPS.
L’azienda si è difesa sostenendo che S.G. aveva lavorato come libero professionista dando la sua consulenza per la preparazione delle formule necessarie alla composizione di miscele di gomma.
Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Marsala hanno ritenuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e conseguentemente hanno condannato l’azienda al pagamento di quanto richiesto dal lavoratore nonché al versamento dei contributi previdenziali.


L’azienda ha proposto ricorso davanti alla Suprema Corte, sostenendo tra l’altro che il Tribunale non aveva tenuto conto della volontà, manifestata dalle parti, di costituire un rapporto di lavoro autonomo.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 6645 del 26 giugno 1999, Pres. Lanni, Rel. Castiglione), ha rigettato il ricorso affermando che, nella qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure come autonomo, è necessario distinguere due ipotesi.


La prima è che le parti contraenti vogliano attuare un rapporto di subordinazione, di soggezione, cioè, del prestatore al potere di direzione del datore di lavoro ed eventualmente di inserimento del primo nell'organizzazione di impresa (del datore), ma per aggirare o celare la subordinazione - e con essa gli obblighi e gli oneri che la sua disciplina comporta - dichiarino espressamente di volere un rapporto di lavoro autonomo oppure si esprimano in modo non chiaro. Nel primo caso, il contratto dissimulato prevale, ai sensi del secondo comma dell'art. 1414 cod. civ., su quello simulato; nel secondo caso, le difficoltà di interpretazione delle dichiarazioni di volontà debbono essere superate a norma dell'art. 1362 cod. civ., che prescrive all'interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole, ma di valutare anche il comportamento delle parti nell'esecuzione del contratto.


La seconda ipotesi è che i contraenti abbiano voluto effettivamente un rapporto di lavoro autonomo, ma finiscano, poi, per non tradurre in atto la dichiarazione, in quanto durante lo svolgimento del rapporto stesso manifestino attraverso fatti concludenti-eventuali modifiche o mutamenti della volontà negoziale già espressa, con conseguente mutamento del regime normativo. Nel rapporto di lavoro, anzi, gli atteggiamenti delle parti assumono rilevanza giuridica non tanto in sede di conclusione del contratto individuale, quanto nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, sicché é dal loro contenuto che è dato risalire al tipo negoziale nel quale la vicenda concreta deve essere inquadrata.
Nell'una e nell'altra ipotesi - ha affermato la Corte - spetta, dunque, al giudice di merito il rilievo, e la conseguente qualificazione giuridica, del comportamento tenuto dalle parti durante l'attuazione del rapporto di lavoro. Giudice di merito che, peraltro, ai fini di detta qualificazione, deve considerare che il rapporto di lavoro subordinato e quello di lavoro autonomo si distinguono per la presenza, nel primo, del vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, vincolo la cui esistenza va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione.


Ciò premesso, la Corte ha ritenuto che il Tribunale di Marsala abbia correttamente motivato la sua decisione tenendo conto delle prove testimoniali e ponendo in evidenza che il lavoratore "non si è limitato allo studio e preparazione delle mescole per la produzione della gomma con responsabilità del solo risultato, ma si è pienamente inserito nel ciclo produttivo dell'impresa diventandone soggetto indispensabile, sottoposto ai poteri di controllo e direttivi del datore di lavoro".

1