Uno degli
spettri dell’attuale pontificato è quello della secolarizzazione,
cioè della laicizzazione e mondanizzazione delle mentalità
e dei costumi del popolo credente. Ciò significa, in parole povere,
che i credenti tendono sempre più a regolare la propria fede
sulla base di criteri personali e ad affrancarsi dalle direttive della
gerarchia. Si paventa, insomma, una crescente scristianizzazione
dell’Occidente sotto i colpi dell’edonismo, dell’individualismo e del
materialismo dominanti. Ed a tutto ciò il Papa ha inteso rispondere,
fin dagli albori del suo pontificato, con una nuova pastorale ed una
nuova evangelizzazione che puntassero anche al recupero della
pietà popolare dimenticata. Sintomatico, in questo senso, e il
nuovo impulso da lui dato alla fede mariana. Anche il recente documento
dei vescovi sul Meridione, Chiesa e Mezzogiorno, pone l’accento
su di un recupero della pietà popolare.
Ora, sembra che da un po’
di tempo a questa parte la vita religiosa di Capri sia sotto l’impulso
di un nuovo corso. La popolazione sembra benedire questo rifiorire
di attività liturgiche e parrocchiali: cortei, processioni, visite
pastorali... Sembra che sia uscita di scena tutta una politica ecclesiastica.
Quale? Con l’avvento degli anni ’70 la Chiesa di Capri usciva da un
periodo eccessivamente spiritualizzato, appariscente, il cui
esagerato culto dei santi spesso non permetteva di distinguere la fede
dall’idolatria.
In questa Chiesa accentratrice,
pre-conciliare, controriformista, tipica di Capri prima
degli anni ’70, veniva ad inserirsi con effetto dirompente una politica
liturgica ed ecclesiastica certamente nuova, che rigettava senza tanti
complimenti alcuni aspetti barocchi del culto, senza troppo curarsi
di stornare da sé le simpatie ed il favore del popolo cattolico,
a cui sicuramente questo taglio netto con il passato doveva apparire
incomprensibile ed ingiustificato. Ciò significa che la base
nutriva un sensibile malcontento verso il vertice della Chiesa
locale. Alcuni aneddoti che giravano intorno alla stagnarella
di San Costanzo sono emblematici in questo senso. La pietà popolare
si sentiva defraudata da tutta una serie di tradizioni senza che fosse
spiegato ad essa né il perché né il percome.
Pare adesso che tutto il
patrimonio culturale negletto stia ritornando di botto alla luce, quasi
a significare che la tendenza generale del pontificato di Giovanni Paolo
II sia stata accolta da Capri in pieno solo all’inizio degli anni ’90
e che essa ne sia stata precedentemente risparmiata.
Ma non solo nella sfera del
culto il vecchio corso (rispetto a quello attuale) mieteva dissenso;
anche nella cura parrocchiale esso non sembrava molto zelante. L’interesse
che questo nutriva verso le attività ed i movimenti della parrocchia
ed anche verso il volontariato laico non difettava certo per eccesso.
Il ristagno e l’inerzia in cui versava la parrocchia, con l’avvento
dei parroci attuali, hanno sembrato ricevere uno scossone. Se prima
ci si poteva lamentare di un andazzo fin troppo tranquillo e di un torpore
che sembrava avvolgere tutto e tutti, adesso pare che l’attivismo e
la militanza clericale siano una bandiera dell’attuale corso. Il rispolvero
ed il recupero delle vecchie tradizioni liturgiche vanno di pari passo
con un intruppamento da clima quarantottesco. In particolare
i giovani sembrano essere i protagonisti ed i beneficiari di questa
svolta.
Abbiamo cercato, nella nostra
modestia, di capire cosa c’è alle radici di questo che oseremo
chiamare un nuovo revanscismo clericale. Innanzitutto bisogna
riconoscere che la religiosità cattolica, incline alle sensazioni
forti, ha sempre avuto un che di teatralità e di corposità
barocca. Del resto Jean Delumeau, storico delle mentalità religiose
nell’età moderna, ha avuto più volte modo di sottolineare
nelle sue opere che la cristianizzazione dell’Europa moderna
e sempre avvenuta innestandosi su di un ceppo di arcaiche tradizioni
pagane, per cui non è sempre facile sceverare ciò che
è cristiano da ciò che non lo è. I due piani sono
tra di loro saldamente ed inestricabilmente intrecciati, così
che, a dire di Delumeau, voler dare un taglio netto alle tradizioni
popolari sarebbe come voler segare l’albero su cui il cattolicesimo
si trova. Il cristianesimo puro sarebbe solo un modello astratto.
Disincarnare all’accesso la religione quotidiana era già
un’assurdità per i cristianizzatori dei secoli XVI-XVIII che
intesero condurre una propaganda depaganizzatrice contro le superstizioni,
nella prospettiva di una pratica unanimista. Per questo i recenti studi
storici e sociologici sulla religione popolare hanno avuto come
conseguenza una sua riabilitazione e hanno messo in evidenza una dimensione
magica anche nel cristianesimo. Essi, per quanto illuminanti, non devono
indurre in conclusioni semplicistiche e a credere che si ristabilirà
il cristianesimo cattolico giocando troppo sistematicamente una carta
neo-populista. Questo significherebbe dimenticare altri fattori
che hanno in larga misura contribuito alla scristianizzazione.
In tutto questo è anche vero che un recupero acritico delle tradizioni,
che non permetta di purificarle dai loro elementi spuri e soprattutto
di inquadrarle storicamente, costituirebbe senza dubbio un salto indietro
nel passato.
Cosi come la nuova evangelizzazione
risulterebbe controproducente se si limitasse ad un propaganda che non
tenesse conto dei nuovi valori della società e soprattutto se
si ignorassero i non pochi aspetti positivi dello spauracchio
della secolarizzazione. I giovani non hanno fame di religione, di Sacro,
ma di religiosità, cioè della ricerca di un senso di vivere.
Il nuovo clericalismo caprese
sembra giocare la carta del populismo, disponendosi cioè a far
leva sul malcontento della popolazione, soprattutto più anziana,
che ricorda tempi migliori. Saprà esso far corrispondere
al ritorno delle tradizioni ed alla massiccia opera di rievangelizzazione
un significativo salto qualitativo sul piano etico?
Daniele Vuotto