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DOSSIER ARCHEOLOGIA
UN’ARCHEOLOGIA A RISCHIO
Persistenza e limiti della visione
antiquaria nell’archeologia di Capri
Tra i tanti
e difficili fenomeni che, segnatamente negli anni ’80 di questo secolo,
hanno riguardato l’isola di Capri provocando sul piano socio-economico-culturale
ora normali ora discutibili ed anomale trasformazioni, c’è stato
quello di un sempre più diffuso e vivo interesse per la storia
di Capri e le memorie archeologiche dell’Isola.
Questo interesse più
volte si è manifestato attraverso dibattiti più o meno risonanti,
attraverso denunce più o meno incisive e prese di posizione da
parte di privati o associazioni, locali e non.
Una passione non incisiva
Di fronte al dato incontrovertibile
di un avviato degrado ed alla paura di un aggravamento della situazione,
la domanda più ovvia e metodica è la seguente: la diffusa
passione e curiosità di isolani e non per le cose antiche
di Capri quanto incisivamente hanno contribuito e contribuiscono alla
loro conoscenza e salvaguardia?
L’impegno fervido ed il richiamo
all’impegno passato, a conti fatti, non sembra abbia creato una coscienza
collettiva capace di frenare quelle spinte miranti a tutt’altro che alla
difesa del patrimonio storico-archeologico. Il perché di tutto
questo è da noi individuato, tra altre cose, nella persistenza
di concezioni ampiamente superate dell’archeologia e del suo valore in
rapporto alla realtà ed alla storia.
L’archeologia nuova
A metà circa degli anni
’70, Ranuccio Bianchi Bandinelli, insigne archeologo nonché maestro
di metodo, analizzando le varie reazioni che suscita la parola archeologia,
metteva in risalto quella di un romantico entusiasmo per un passato misterioso
ed idealizzato "al quale accostarsi con l’avventura dell’esplorazione".
L’illustre maestro non tardava a ritenere errata questa definizione in
quanto "superficiale frutto di malinteso" (Introduzione all’archeologia,
1976, p. XIII ss.).
Oggi, a seguito di un grande
confronto e dibattito metodologico, l’archeologia persegue scopi ben diversi
da quelli che, come vedremo, continuano a prefiggersi quanti si dichiarano
cultori di Capri. L’archeologo non va più alla ricerca unica
del grosso monumento e dell’oggetto prezioso, del manufatto curioso appartenuto
alle grandi figure del passato, ma, come la storia attraverso il documento
scritto, l’archeologia ha il compito essenziale di tentare una ricostruzione
di un quadro reale della vita del passato attraverso lo studio della cultura
materiale: in più della storia, l’archeologo ha la possibilità
di incontrare la cultura materiale di quelle classi sociali marginali
che vengono ideologicamente ignorate dalle fonti scritte, espressione
per lo più delle classi dirigenti.
Viceversa, la cultura antiquaria
guarda al reperto archeologico con mistico stupore e curiosità
e lo mette sempre in rapporto alle figure più importanti che le
fonti scritte ci hanno restituito, preoccupandosi solamente della conservazione
e poco o nulla del suo significato ai fini di una corretta e cauta ricostruzione
storica.
L’archeologia, insomma, oggi
non è più fatta da pedanti antiquari alla ricerca di bei
pezzi per le collezioni né è un tuffo profondo nel mondo
che fu, ma è scienza storica autonoma, legata alla realtà,
sia quella studiata sia quella vissuta.
L’archeologia caprese
È questo, crediamo,
l’anello mancante al dubbio posto da noi all’inizio a proposito della
crescita proporzionale tra cultori e degrado: una passione antiquaria
che difficilmente si pone in rapporto col la realtà, passata e
presente.
Effettivamente è difficile
negare che, lontano dalle Sovrintendenze, il gran numero di cultori dell’Isola
è legato ad una concezione superata dell’archeologia che abbiamo
definito antiquaria: quest’ultima si esplica soprattutto e sempre
di più con la passione collezionistica.
L’immaginare il passato, soprattutto quello greco-romano, come un mondo
semplice, puro, privo di tensioni, palcoscenico esclusivo di grandi figure
che si chiamano Augusto o Tiberio è caratteristica tipica della
cultura antiquaria e genera nei confronti della realtà due atteggiamenti
che ben chiariscono la situazione caprese:
1) ricostruzione di un passato in cui abbondano
elementi suggestivi e fantasiosi;
2) fuga dalla realtà attuale, ritenuta
epoca di decadenza.
Sarà superfluo sottolineare
che il denominatore comune di questi atteggiamenti è il rifiuto
di un approccio razionale con la realtà che o viene evitata oppure,
come nel caso di quella passata, viene fantasiosamente inventata. A questo
punto l’archeologia diventa hobby, passione personale, in molti
casi sfizio di possedere o anche di toccare con mano quel particolare
oggetto per provare arcane sensazioni, quasi che gli antichi fossero essere
sovrumani o extraterrestri!
Va detto, per precisione, che
questa concezione diffusa, sentimentale e conservatrice del passato, quando
rientra nel rispetto delle leggi in materia, appare legittima ed in certo
qual modo giustificata, in quanto passione privata, dall'autonomia culturale
che ogni individuo si riserva.
Connessi, tuttavia, a questa
forma di dilettantismo si intravedono particolarmente due pericoli che
diventano evidenti allorché questi interessi personali e privatistici,
usciti dal privato, tentano di trovare spazio nella coscienza civile e
pubblica.
Il pericolo culturale
L’abusivismo culturale è
l’espressione più tangibile della volontà degli ideali privati
di farsi pubblici.
È facile imbattersi,
a livello locale e non, in storici di Capri che si ritengono tali per
aver visto, essere nati sul posto oppure prima di un altro, aver frequentato
Capri da decenni o, e qui siamo al punto che ci riguarda, per aver letto
un libro raro o per possedere un oggetto antico. Con queste premesse è
inevitabile che si diffondano teorie strambe, ricostruzioni ardite, simpatiche
forse, ma false.
Fraintendendo il valore della
circolazione delle idee e del dibattito e sotto gli auspici di un’editoria
che non sempre sa autocontrollarsi, si diffondono contributi alla conoscenza
che per niente giovano al fine prefissato, anzi sono motivo di confusione
e, talvolta, di arretratezza culturale.
Il rischio politico
Il dubbio postoci all’inizio
circa la crescita contemporanea e proporzionale di cultori e degrado è
in gran parte sfatato se si considera che buona parte dei primi è
legata ad una visione antiquaria e, perciò distaccata dalla realtà.
Questo atteggiamento, tra le altre cose, può essere stato responsabile
di aver lasciato spesso campo libero alle politiche speculative.
L’archeologia, pertanto, solo
difficilmente si è fatta e si fa politica, nell’accezione più
nobile del termine: difficilmente, proprio perché quasi sempre
passione personale, si è fatta coscienza collettiva.
Tuttavia va segnalato che sempre
più negli ultimi tempi si sta diffondendo la giusta coscienza che
il patrimonio storico-archeologico, attraverso la sua valorizzazione,
rappresenti un potenziale non di poco conto per l’economia turistica e,
particolarmente, per lo sviluppo di un turismo culturale a Capri.
Un rischio che si può
correre di fronte a questo progetto è che, rovescio della medaglia,
il politico si fa archeologo, facendo leva proprio su quelle vaste frange
di cultori antiquari: scelta comoda, quest’ultima, perché permetterebbe,
per la natura privata dell’archeologia antiquaria, di lasciare "liberi"
gli altri campi della politica isolana, primo fra tutti quello della politica
territoriale.
Non ci si può arrendere
di fronte ad un semplice processo di museificazione e di creazione di
parchi archeologici, quando altri beni archeo-culturali, che guarda caso
interessano meno l’archeologia antiquaria, rischiano di sparire per sempre,
tra incuria e speculazione (Grotta delle Felci,
Scala cosiddetta Fenicia, Muro cosiddetto Pre-greco...).
D’altra parte basta vedere
un po’ la storia passata del mondo per rendersi conto che molto spesso
gli interessi erudito-antiquari sono cresciuti in epoche restauratrici
ed all’ombra di sistemi politici particolarmente reazionari e conservatori.
La proposta
Per far sì che si diffonda
una conoscenza di un’archeologia moderna e capace di integrarsi a pieno
titolo con le scelte più sane della comunità a livello socio-politico-economico,
non si può fare a meno di invocare una presenza più incisiva
delle istituzioni preposte, prima tra esse le Sovrintendenze.
Più che scendere a crociate
contro di esse ed alla formulazione di progetti alternativi se non addirittura
sostitutivi ad esse, occorre che il mondo politico e culturale dell’Isola
chieda alle Sovrintendenze una sempre più incisiva presenza attraverso
i loro ufficiali operatori od esponenti del mondo scientifico (Università,
Enti, Accademie). Una presenza che, attraverso un maggiore impegno culturale
(pubblicazioni, dibattiti, mostre, conferenze) che sia soprattutto capillare
e metodologico, abbia la forza di aggiornare le conoscenze ed affermare
una volta per sempre i valori della moderna archeologia.
Un’attività culturale
affidata ai canali ufficiali delle Sovrintendenze non significa, sia chiaro,
la volontà di un’informazione elitaria e specialistica che escluda
quanti, pur dilettanti, sentono un rapporto almeno sincero con l’antichità
e che rivestono comunque una grande importanza nella politica di salvaguardia:
anzi è una preoccupazione di far giungere, attraverso forme divulgative,
un quadro aggiornato delle conoscenze.
Un passo necessario, a nostro
avviso, per una politica culturale più cosciente e democratica.
Eduardo Federico
( Borsista dottorato di ricerca in Storia
Antica
presso l'Università Federico II di Napoli)
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