Riabilitazione legittima dei Templari: ritardo ingiustificato


Riceviamo e pubblichiamo una relazione stilata da Carlo Gualtieri, a cura delle Edizioni Templari dell' S.M.T.H.O. di Roma, che riteniamo interessante per sviluppare un aspetto estremamente controverso.


Proemio:

Con una certa frequenza negli ultimi tempi, specialmente da quando è caduto il Muro di Berlino, si parla e si scrive intorno all'Ordine dei Templari ed all'ingiustizia della Bolla "Ad providam Christi Vicarii", con la quale il Pontefice Clemente V, pressato dal Re Filippo IV il Bello e minacciato dai suoi consiglieri ebbe, in data 2 maggio 1312, a disporne la interdizione.

I giornalisti, i giuristi ed i filosofi se ne occupano con serietà di intenti e di sforzi, e quasi sempre proficuamente nel ristretto mondo della cultura.

Da parte mia si intende dare un piccolo contributo per tentare di dimostrare che, contrariamente a quanto le apparenze potrebbero far pensare (innegabile autorità di una bolla pontificia), l'ingiustizia del provvedimento in questione non è una opinione personale o di pochi, ma una verità scientificamente e filosoficamente acclarata.

Si ritiene opportuno non presentare un'ulteriore ricostruzione storica del pensiero dei tanti studiosi, cattolici e laici, che hanno eloquentemente dimostrato l'iniquità della Bolla Conciliare di Vienna; occorre, però, precisare che uno studio giuridico non può seriamente occuparsi di argomenti non scientifici, quale quello in esame, senza prescindere dal diritto naturale, dal diritto canonica-ecclesiastico e dal diritto positivo pubblico-privato.

Riabilitazione secondo il diritto naturale.

  1. L'attenzione va soffermata principalmente sul tema come il cattolico in veste di semplice cittadino o di giurista debba comportarsi, quando è chiamato ad osservare una sentenza ritenuta ingiusta. Sorge, con evidente carattere di pregiudizialità, il più grave e complesso problema di vedere che cosa si debba intendere per diritto naturale, e se fino a qual punto sia possibile qualificare, in base al diritto naturale, sicuramente ingiusto il provvedimento emesso dal Pontefice Clemente V. Già Papa Pio XII, nel discorso tenuto in occasione del primo convegno nazionale di studi dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, ha parlato di contrarietà del diritto positivo e delle sentenze "alle leggi di Dio e della Chiesa", offrendo ai cattolici di tutto il mondo preziose precisazioni in materia di diritti dell'uomo, di giustizia sociale e di giustizia internazionale, ma ha lasciato ai giuristi cattolici il compito di determinare con maggiore precisazione quali leggi di Dio e della Chiesa debbano considerarsi costitutive del contenuto del diritto naturale; quali siano, in altri termini, "le norme di condotta universale che fanno parte dell'ordine obiettivo umano e civile stabilito dalla mente altissima del Primo Fattore". Certo non bisogna far ricorso alla cosiddetta legislazione del cuore, perché è ben vero che nella coscienza dell'uomo esiste una certa attitudine a distinguere in forma immediata il giusto dall'ingiusto, ed è anche vero, per chi possiede la fede religiosa, che la predetta attitudine è una potenza istintiva posta negli uomini da Dio, ma bisogna pur riconoscere che nelle situazioni di lineare semplicità (aperte violazioni dei comandamenti della legge di Dio, torture, responsabilità collettiva, persecuzioni, parità dei diritti negata agli Ebrei ecc..) gli uomini riescono, sulla base della predetta attitudine, a giudicare intorno alla giustizia ed all'ingiustizia di sentenze non conformi alle leggi. A ciò si deve aggiungere che le ragioni del cuore valgono, quando trattasi di dimostrare che una determinata decisione è ingiusta, purché vengano espresse in termini accettabili dalla ragione. Con ciò si intende assicurare l'esistenza del dono che Dio ha dato all'uomo infondendogli il senso morale, dono che offre, col sussidio della grazia divina, la possibilità di distinguere il bene dal male, nei limiti in cui tale distinzione è necessaria ai fini della salvezza dell'anima, senza affermare la possibilità di decidere in ogni caso intuitivamente se una sentenza sia giusta od ingiusta rispetto ai precetti della giustizia naturale, che secondo S. Tommaso è, si noti bene, soltanto un'ombra evanescente della giustizia divina. L'indirizzo prevalente di elevare a dignità costitutiva del contenuto del diritto naturale quel tanto di esso che è contenuto in Lege et in Evangelio e nella dottrina morale e sociale della Chiesa, suscita delle perplessità anche nella coscienza di un fervente cattolico, e ciò perché: a) le idealità etico-giuridiche suggerite dalla Chiesa da transuenti vicissitudini storiche e contrapposte, sotto la spinta di travolgenti crisi politiche ed economiche, agli ordinamenti giuridici positivi, devono, per non togliere al diritto naturale quei caratteri di universalità e di prennità che lo distinguono dallo ius in civitate positum, restare soltanto nel ristretto dominio della politica legislativa o Scienza della Legislazione (G. Filangieri), avente ad oggetto il miglior modo di organizzare e disciplinare la convivenza per il bene materiale e spirituale della collettività e dei suoi membri singolarmente considerati; b) mentre si ammette l'esigenza etica che la legge non sia mai contraria alla morale, non si ammette e non si riesce neppure a comprendere che ogni precetto morale contenuto nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, ed in generale nelle dottrine morali e sociali della Chiesa, possa entrare a far parte del contenuto del diritto naturale. Il contenutismo anti-Kantiano non deve essere spinto al punto di considerare precetti di diritto naturale anche il dovere morale di sopportare pazientemente le offese ricevute e di offrire la guancia sinistra a colui che ci ha colpito sulla guancia destra; o da considerare, nel problema in esame, giusto il provvedimento di Clemente V, con il quale sono stati condannati quei Templari che hanno peccato di idolatria, vizio e corruzione. Il contenuto da dare al diritto naturale va ricercato, è vero, nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, nella morale cattolica ed in genere negli insegnamenti della Chiesa Cattolica, ma in definitiva va poi fissato in pochi e generalissimi principi diretti ad assicurare la permanenza di condizioni indispensabili per la conservazione ed il perfezionamento della vita fisica e spirituale degli uomini e della società di cui essi fanno parte.
  2. Oggi, dopo molti secoli di vicissitudini storiche, più o meno cruente, e di fronte al crollo definitivo della rigida concezione liberale dello Stato ed alle istanze di una più concreta giustizia umana, il diritto naturale non può essere neutrale fino al punto di prescrivere la semplice sottomissione ai voleri di Dio (S. Agostino) o all'amore universale (S. Ambrogio), e perciò non si può non arricchire il diritto naturale tenendo conto dei nuovi valori spirituali affermatisi o rivelatisi attraverso l'esperienza individuale e collettiva, e l'elaborazione della dottrina. Non va dubbio pertanto che debbano far parte del contenuto del diritto naturale, oltre i precetti morali contenuti in Lege et in Evangelio o nelle dottrine della Chiesa, anche alcuni canoni fondamentali attinenti alla persona, alla proprietà ed al contratto, non senza mettere in rilievo i diritti che, sulla base degli attributi fondamentali della natura umana, ed in conformità e senza opposizione agli insegnamenti della Chiesa Cattolica, furono riconosciuti all'uomo con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, diritti che i Pontefici avevano in parte proclamato in una serie di messaggi ed encicliche, e che la dottrina Cattolica italiana aveva preso in esame sotto il profilo scientifico. Non illusoria pertanto, ma obiettiva è l'esistenza di esigenze perenni di moralità e di giustizia, che ripetono la loro origine dalla Giustizia divina, e sono come tali trascendenti ed immanenti insieme, e non è senza valore dimostrativo, a tale riguardo, il fatto che colossi del pensiero umano collocarono la giustizia nel cielo, raffigurandosela più bella delle stelle mattutine e delle stelle della sera (Aristotele), o altrettanto bella quanto il cielo stellato (Kant).
  3. Detto e messo in luce tutto ciò, va però rilevato che, anche quando il contenuto del diritto naturale sia stato ampliato ed arricchito nel senso di cui si è detto, si ha pur sempre una serie di precetti meramente orientativi, estremamente flessibili ed adattabili alle più disparate circostanze storiche, di fronte alle quali è meno facile di quanto generalmente si crede il decidere se l'Ordine dei Templari "Magnus ordo in Ecclesia" (Papa Alessandro III), contro il quale fu proibito "di pronunciare ogni e qualsiasi sentenza di scomunica o di interdizione" (Papa Clemente IV), possa fianlmente, senza ulteriore ritardo, ottenere la legittima riabilitazione. La critica della Bolla Clementina, ritenuta ingiusta, è razionalmente fondata e va considerata con molta serietà, attesa la dimostrazione che è contraria a chiari e precisi dettami di diritto naturale, ed è provvista di adeguata giustificazione etico - giuridica perché desume tale ingiustizia dalla contrarietà alle idealità dl predetto diritto. E' incontestabile il contrasto fra il diritto naturale ed il processo inquisitorio, cui furono sottoposti i Templari, incardinato in palese violazione dei canoni fondamentali del contraddittorio, della difesa e della sottomissione al Giudice naturale. Il diritto naturale altro non è che l'anima della morale sociale. Esso non intende affatto fermare la storia, inquadrare in astrali schemi le varie manifestazioni della vita, mummificare la realtà, ma intende far sentire nelle varie contingenze storiche l'esigenza di un criterio superiore di giustizia sulla base del principio neminem laedere, suum cuique tribuere. Il diritto naturale, in definitiva, non può che consistere nella riduzione del concetto di diritto al concetto di giustizia. Il diritto sta nella libertà, che non è altro che l'atto finale della ragione che ha determinato la volontà a manifestarsi all'esterno, ma se la ragione e la volontà fanno difetto non può certamente darsi l'ordine del diritto. L'ignoranza, l'errore, il dolo e la violenza che hanno consentito la promulgazione della Bolla Clementina evidenziano la parvenza ma non già la realtà della libertà e dell'atto giuridico in essa contenuta: Sotto il dominio del dolo e della violenza la libertà nei giudicanti è completamente mancata, da cui consegue che il provvedimento emanato è illegittimo; in particolare la violenza, che si oppone alla spontaneità e la nega, destituisce l'uomo della propria libertà, costringendolo a reprimere le sue aspirazioni religiose o glorificarle nel martirio. E tale violenza non va dubbio che è stata una realtà.

Riabilitazione secondo il diritto canonico

  1. Nell'ambito strettamente giuridico tutto il diritto divino, sia naturale che positivo, sussiste indipendentemente dalla sua recezione nel Codex juris canonici. Estratto da esso quel tenue gruppo di precetti che i teologi ritengono di diritto divino, per tutto il resto ci troviamo di fronte a raccomandazioni o a ordini di natura contingente. Nell'ambito estraneo alla sua struttura, la Chiesa, dove non è limitata dal diritto divino, non si lega mai a date forme politiche o a date strutture sociali. Se c'è un insegnamento che emerge chiaro da tutta la storia della Chiesa, è che essa ha potuto, di volta in volta, nella sua condotta pratica favorire date forme politiche ed osteggiarne altre, favorire certe strutture ed altre osteggiarne. Peraltro mai ha canonizzato il suo insegnamento nella condanna definitiva di un regime: quelli che si è limitata a dichiarare inattaccabili o invece a condannare, cono stati singoli punti, tratti dal diritto naturale e divino positivo. Non si trova nel Codex la normazione regolare dei rapporti tra cattolici e non cattolici, né la codificazione delle norme sulla tolleranza religiosa, e sui suoi limiti. La storia millenaria della Chiesa, in qualsiasi tempo la si consideri, ci mostra la sua estrema adattabilità; i principi di diritto divino sono sempre rispettati e fatti salvi. Le regole dettate da Bernardo di Chiaravalle scaturiscono dal diritto divino, e come tali non possono essere disattese dalla mancata riabilitazione dell'Ordine dei Templari da parte della Santa Sede. Il diritto pubblico e privato delle associazioni, che per statuto diffondono tali regole, coesiste con le prescrizioni del diritto divino interpretate dalla Chiesa.
  2. L'Ordine dei Templari fu riconosciuto da Papa Onorio II (1124-1130) che ne diede ufficialmente conferma a conclusione del Sinodo di Troyes del 1 gennaio 1128, e fu preso sotto la protezione della Chiesa con la Bolla del 18 giugno 1163 di Papa Alessandro III (1159-1181), e ciò con forza del can. 100 - § 1 del Codex: "..ex speciali competentis ecclesiastici concessione data per formale decretum…". Nella lettera di Baldovino II, Re di Gerusalemme, a San Bernardo di Chiaravalle "Constitutiones Templanorum taliter condide" si legge che l'Ordine Sovrano e Militare del Tempio di Gerusalemme è un'istituzione mondiale elettiva e non ereditaria secondo i principi iniziali dei Poveri Cavalieri di Cristo e del tempio di Salomone. Il carattere religioso dell'Ordine fu confermato dalla Santa Romana Chiesa con l'approvazione della Regola (Regula Pauperum Commilitonum Christi, Templique Salomonici), secondo i dettami di San Bernardo di Chiaravalle. Come tale l'Ordine venne incluso nei "Tertii ordines saeculares" (can. 702), qui "ad perfectiorem vitam christianam inter socios promovendam" ordinantur. Il diritto della Chiesa di acquisire, dopo la soppressione dell'Ordine dei Templari i suoi beni temporali (can. 1495-1496) e di disporne, per poi asegnarli all'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme - ad providam Christi Vicarii - non può far sorgere dubbi sulla collocazione del primo (can. 691) tra le personae morales collegiales e precisamente tra le Associationes (Tertii Ordines saeculares, Confraternitates, Piae Uniones), istituite con formale decreto. L'Ordine dei Templari venne riconosciuto dal diritto positivo dell'epoca, come anche la Chiesa ebbe a riconoscere la sua capacità giuridica a guisa della capacità dei privati fedeli. Il Codex gli ha riconosciuto il diritto al nome o ad un titolo proprio (can.688 e 710 e 492); il diritto al sigillo ed al bollo (can.703); il diritto alla precedenza onorifica (can.106) ed alla propria sede giuridica (can.1560 n°2 e 3). Va rilevato che diversamente dal diritto civile, che non prevede la perpetuità delle associazioni, il diritto canonico (can.102-§1) ha sempre ammesso un tale principio per le persone morali e collegiali, e quindi per l'Ordine dei templari: "Persona moralis, natura sua, perpetua est". Come è noto, infatti, nel diritto canonico la soppressione di una persona morale può avvenire solamente o in via amministrativa (per decretum) o per via giudiziaria (per sententiam). In virtù del canone 102-§1 la persona morale si estingue se viene soppressa dalla legittima autorità, o se per un periodo di cento anni è venuta a mancare. Tuttavia ciò che di fatto viene a mancare, non può dirsi estinto giuridicamente, e pertanto l'estinzione giuridica delle persone morali, come la loro costituzione, non nasce da un fatto meramente fisico, ma soltanto da un fatto giuridico, che certamente non è ravvisabile nel provvedimento Clementino. Nel rispetto quindi della perpetuità delle persone morali, come la loro costituzione non nasce da un fatto meramente fisico, ma soltanto da un fatto giuridico, che certamente non è ravvisabile nel provvedimento Clementino. Nel rispetto quindi della perpetuità delle persone morali il Papa Clemente V non ha potuto che emanare un decreto amministrativo di soppressione dellOrdine, e non già una sentenza (judicalitier) in mancanza dei presupposti di diritto sostanziale e processuale canonico; non a caso infatti, in detto decreto si legge "…non possum ferre de jure…", e lo stesso Pontefice aggiunge: "…Ora, è vero che dai processi contro questo ordine, esso non può canonicamente essere dichiarato eretico con sentenza definitiva"; a maggiore ragione, riteniamo con un "decreto assoluto" formula questa scelta dal Pontefice, poteva essere disposta la soppressione dell'Ordine, perché in contrasto con il predetto principio della sua perpetuità. Non è configurabile, inoltre, nel provvedimento Clementino un decreto amministrativo o a sentenza di soppressione dell'Ordine, pur ammettendosi l'esistenza di una causa grave (can.699) o di una vera, grande ed evidente utilità per la Chiesa (can.1423-§1), nella misura in cui la soppressione è un istituto che comporta la definitività dei suoi effetti, mentre nel provvedimento in questione si legge "…non per modum definitivae sententiae…". Avverso, poi, i decreti o le sentenze di soppressione delle persone morali collegiali appartenenti alla Chiesa, il diritto canonico prevede il ricorso al legittimo superiore; nella specie, però tale ricorso era improponibile dato che il legittimo superiore nell'occasione era rappresentato dalla stessa massima autorità ecclesiastica che emise il provvedimento, e cioè dalla assemblea conciliare presieduta dal Pontefice. Ne consegue che l'interpretazione logica e dottrinale della Bolla Clementina non può che portare all'esclusione di una sua qualificazione quale sentenza o decreto definitivi ed esecutivi, essendo stato precluso il ricorso in appello avverso gli stessi; ne consegue l'agile constatazione che il provvedimento in questione è stato emesso nel pieno disprezzo della legalità, insita nei canoni del diritto canonico. Ne consegue, altresì, che un tale provvedimento è da ritenersi inesistente, essendo evidente che con esso non si ha alcun atto giuridicamente rilevante o meglio rilevabile, che possa giustificare il criterio decisionale contenuto nell'inciso "non per modum definitivae sententiae". Anche il successivo inciso della Bolla "…sed per viam provvisionis seu ordinationis apostolicae…", va interpretato nel senso sopra detto, rilevandosi la sua non poca abnormaità nella sua concatenazione logica-giuridica; se si vuole, poi, interpretare l'intero contenuto della Bolla quale decisione individuale "motu proprio" (provvedimento apostolico) del Pontefice, va rilevato ugualmente che essa non poteva scaturire da un processo inquisitorio, irritualmente incardinato, nel quale l'accusa del potere temporale si era affiancata a quella del potere spirituale. Seri dubbi, però, possono nutrirsi sulla possibilità di considerare il provvedimento Clementino come emesso "motu proprio", considerato che esso è seguito all'approvazione dei partecipanti al Concilio "… sacro approbante concilio…". Appare in definitiva alquanto arduo individuare in modo preciso quelle che furono le reali intenzioni e volontà dei giudicanti: "legittima pronuntiatio qua judex causam a litigantibus propositam et judicali modo pertractatam definit" (can.1868 -§1).
  3. Va inoltre osservato che nel diritto processuale della Chiesa è stabilito il principio che le sentenze rese nelle cause riguardanti lo stato delle persone non sono suscettive di passaggio in giudicato (can.1903). Ne consegue che la cosa giudicata non si forma per le sentenze relative all'ordinazione ed alla professione religiosa ed in genere per tutte le sentenze limitatrici della libertà personale (es.: interdizione). Per tali cause privilegiate è consentito il riesame giudiziale d'ufficio solo sulla base di nuovi e gravi argomenti o documenti (can.1903). All'Ordine dei Templari va pertanto riconosciuto (can.1687 -§1 e 1868) il privilegio della riabilitazione: privilegium restitutionis in integrum", istituto questo di estrema importanza sulla quale è necessario che si ponga la dovuta attenzione. Un tale privilegio è dovuto in considerazione della profonda evoluzione che la sovranità della Chiesa ha raggiunto nel tempo. All'epoca, infatti le alte autorità ecclesiastiche si riunivano nei concili ecumenici; però soltanto l'Imperatore aveva il diritto di convocare il Concilio e di presiederlo, nonché di fissarne preventivamente le materie di discussione; non solo: ma i decreti del Concilio non potevano avere valore se non in seguito alla sanzione imperiale. Le lesioni di diritto scaturite dal provvedimento Clementino, pur ammettendo la loro provenienza da atti validi ma rescindibili non valendo all'uopo le ordinarie azioni, possono essere eliminate, o riparate ex aequitate, ad istanza degli stessi Templari ed oggi d'ufficio, essendo scaduti i termini di prescrizione o decadenza. La restitutio in integrum applicata alle sentenze costituisce un rimedio straordinario di cui non è consentito fare uso se non quando sia impossibile ricorrere ad altri mezzi di impugnativa. La condizione generale perché possa essere richiesta la restitutio in integrum è che si abbia una sentenza ingiusta, e come tale lesiva dei diritti di tutti i Templari; tale ingiustizia consta in modo evidente, in aderenza ai motivi di evidenza previsti dal Codex: a) Fondatezza su documenti, testimonianze ed interrogatori privati, di cui sia stata, dopo l'emanazione della sentenza stessa e non importa ad opera di chi, scoperta la falsità; trattasi nella specie di falsità intellettuale relativa alle prove allegate, nulla importando se provocata dal Re, dai suoi legisti o dallo stesso Pontefice, purchè l'assemblea Conciliare ne fosse ignara. Questa ultima addirittura si oppose a una condanna dell'Ordine senza che gli venisse accordato il diritto a un regolare processo, precipuamente il diritto a una difesa (solo cinque prelati - francesi ovviamente - concordarono di dichiararsi contrari ad ogni forma di difesa). Di certo, dopo l'emissione della Bolla, i membri del Concilio sapevano che la decisione Pontificia era stata il frutto delle trattative tra il papa ed il re. Sotto il profilo di ogni più elementare e fondamentale principio giuridico non va dubbio che la sentenza in esame è inficiata di un errore commesso dai giudicanti, e ciò perché gli elementi istruttori raccolti e poi riconosciuti falsi, e quindi inefficaci, costituiscono l'unica, esclusiva base probatoria della sentenza (can.1905 §2 n.1). b) Altro errore di fatto in cui caddero i giudicanti, provocando così il diritto alla restitutio in integrum, si ebbe quando dopo la sentenza si scoprirono documenti da cui scaturì la prova di fatti nuovi determinanti una decisione diversa da quella contenuta nella sentenza (can.1905 §2 n.2). La copiosa postuma documentazione reperita e la relativa interpretazione scientifica testimoniano in modo incontestabile gli strumenti inumani, cui ricorsero il potere temporale prima e quello spirituale poi, per inscenare un processo, della cui farsa probabilmente non era a conoscenza l'assemblea Conciliare, ad eccezione certamente del Pontefice. Ne consegue che il rapporto di casualità immediata e necessaria tra le prove utilizzate e la loro quasi totale falsità non deve essere estraneo al concetto di straordinarietà del rimedio della restitutio in integrum; esso deve operare a posteriori e dall'esterno nel senso che il fatto nuovo, una volta provato, esige una decisione diversa da quella resa dal Papa Clemente V. c) Terzo motivo di restitutio in integrum si ha quando la sentenza sia il prodotto del dolo di una parte in danno dell'altra. Questo, perché operi utilmente nel caso in questione, non occorre che sia particolarmente qualificato né è necessario che si abbia, tra esso e la sentenza, quello stretto rapporto di casualità che si è visto condizionare la funzionalità dei precedenti due motivi di restitutio in integrum. Poco importa che tale dolo incidens sia stato rivolto ai Templari o direttamente alla Curia da parte del Re. d) Infine la restitutio in integrum si può ottenere quando la sentenza è il prodotto di una inosservanza della legge. E' questo l'unico motivo di diritto considerato dal codex. Il testo del canone più che di violazione parla di inosservanza; ma non vi è dubbio che questa debba intendersi sia quale falsa applicazione che quale violazione. Numerosi sono i motivi di tale inosservanza, e giova ancora una volta enumerarli: d1) Nel processo inquisitorio di cui trattasi il promotore di giustizia (Pubblico Ministero nel processo penale) assume la funzione di difensore della professione religiosa (can.665 §2 e 1589 §2), ed a lui è riservata l'inchiesta sulle accuse fattegli dal terzo; nel processo ai Templari invece fu il grande inquisitore di Francia Guglielmo Imbert, al servizio del Re Filippo il Bello, che ottenne le confessioni di coloro qui semper negaverunt et negant e portò avanti l'istruttoria, spesso con l'introdotto nuovo metodo legista della tortura, pur di raggiungere il fine prefissato, e cioè quello di influenzare le deposizioni dei Templari dinnanzi ai giudici ecclesiastici. Una tale istruttoria svolta dall'inquisitore sia pure con legittimo potere nei confronti dei singoli Templari eretici, pur se religiosi appartenenti ad un Ordine esente, non poteva però costituire i cardini su cui poggiare contemporaneamente e successivamente il processo inquisitorio riservato alla piena autonomia dell'autorità ecclesiastica, e per di più non poteva valere in alcun modo per l'intero Ordine, perché il Gran Maestro e le massime autorità del Tempio erano dignitari di una istituzione sovrana, e come tali non potevano essere detenuti dal re e dall'inquisitore, e per di più essere giustiziati. d2) Le prove raccolte dalle commissioni ecclesiastiche con processo istruttorio del tutto ispirato ai criteri assolutamente illegittimi applicati dall'inquisitore, sono consistite in confessioni stragiudiziali, fatte senza la esatta cognizione di quelle che potevano essere le loro ripercussioni sul terreno giudiziario. In ogni caso, pur essendo la valutazione di tali elementi probatori rimessa al giudizio discrezionale dei giudicanti (e siamo certi che non poté che essere negativo, tranne naturalmente quello del Pontefice e di qualche suo seguace), essa doveva essere espressa nei confronti del singolo accusato e giammai nei confronti di tutti gli adepti, francesi e non, non destinatari delle infami accuse. Tali confessioni, inoltre, necessitavano di una puntuale conferma in sede conciliare per poter essere assunte quali uniche prove legali, visto che le testimonianze raccolte dal Nogaret erano troppo inverosimili per poter motivare la detenzione di più di mille cavalieri arrestati per eresia in virtù del suo potere inquisitorio. Di contro lo stesso Pontefice Clemente V ha convalidato le accuse fatte ai Templari basandosi: sulle informazioni ed istruzioni che Filippo IV (già scomunicato per gli avvenimenti dolorosi di Anagni contro Papa Bonifacio VIII e poi benevolmente liberato da Papa Benedetto XI) gli fece pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere; sulle voci infamanti contro i Templari ed il loro Ordine sempre più consistenti; sulle dichiarazioni a lui fatte da un semplice soldato dello stesso ordine appartenente all'alta nobiltà e come tale molto stimato, e sulle confessioni di molti priori, sacerdoti e soldati confermate in Concistoro alla presenza di un Notaio. Nella bolla Vox in excelso del 22 marzo 1312 si appalesa, tuttavia, lo stato d'animo dell'incostante e pauroso Clemente, il quale, tra l'altro afferma di non possedere gli elementi necessari per un'esplicita condanna dell'Ordine dei Templari caduto in odio al re. Ciò affermando ammette implicitamente che non esistevano la causa grave e la vera, grande ed evidente utilità per la Chiesa che potessero giustificare un provvedimento di soppressione in base ai canoni del diritto canonico. In definitiva l'esperito procedimento istruttorio di assunzione di prove venne stigmatizzato o, se non altro, ritenuto inopportuno negli immediatamente successivi decreti di rforma, nei quali in merito ai "Frati minori" si legge: "Le persone che tendono in modo particolare alla perfezione devono evitare non solo ciò che è ritenuto male, ma anche l'apparenza del male… Non devono, quindi, quelli che hanno professato questo voto e questa regola immischiarsi nei tribunali e nelle cause, perché possano avere testimonianza da quelli che sono fuori, soddisfino alla purezza del voto e si possa evitare con ciò lo scandalo del prossimo". d3) Il diritto alla difesa negato agli accusati (sette templari che si presentarono nella cattedrale di Vienna per patrocinare l'Ordine vennero arrestati) ha comportato anche che gli stessi non hanno potuto pregiudizialmente sollevare l'exceptio suspicionis (can.1614 -§3). Clemente V, infatti, nella sua commissione nominò dei nemici dichiarati dell'Ordine, di concerto con gli strateghi del re: Pierre Dubois e Guglielmo di Nogaret, quest'ultimo scomunicato da ben tre Pontefici. d4) Illegale fu la condanna a morte dei cinquantaquattro Templari emessa dall'Arcivescovo di Sens. Con questo massacro venne influenzato il tribunale Pontificio, perché i testi ebbero modo di constatare che le loro deposizioni non rimanevano segrete. d5) Contrario infine ad ogni principio morale, giuridico e religioso è stato il comportamento del Pontefice nell'incorrere nel grave reato di corruzione, per aver percepito dal Re quale "donazione" per l'effettuata operazione la somma di centomila lire tornesi; lo stesso dicasi per la somma che il papa riscosse dai gerosolimitani.
  4. L'inspiegabile rifiuto da parte della Santa Sede di procedere alla legittima riabilitazione dell'Ordine dei Templari, pur consentendosi, con tanto di benedizione, che lo stesso continui a professare la sua religiosa attività istituzionale (riconoscimenti non ufficiali ed addirittura sacralizzazioni autorizzate di sacerdoti), viene, a quanto pare, sommessamente giustificato con l'opportunità di non sconfessare la cosiddetta infallibilità del Vicario di Cristo. Pur aderendo ad una siffatta impostazione, va però osservato che la Bolla "ad providam" del 12 maggio 1312 non può essere interpretata quale pronunziamento dogmatico, come tale perpetuamente incensurabile. Il dogma non è che un vero religioso assunto a forma di verità assoluta, tramite un processo logico che si svolge in tre successivi momenti: il primo della spontaneità della coscienza del popolo credente in una verità religiosa; il secondo della riflessione dei dottori elevante questa verità ai gradi di scienza; il terzo della conferma di questa stessa verità per opera delle superiori intelligenze raccolte nel sacro Concilio. Questo ultimo momento, quindi, non potrà imprimere a tale accertata verità la legittima sanzione e proclamarla come dogma se non scaturita dal predetto logico processo, che solo vale a provare l'universalità e l'identità perpetua della verità assunta a dogma, e quindi attribuirle il carattere dell'assoluto. E' oggi incontestato che il citato processo logico non si è verificato in occasione dell'emissione della Bolla Clementina, la quale pertanto, se intesa quale dogma, non poteva essere pronunziata ed avere, quindi, alcuna efficacia giuridica per il diritto canonico. Ciò perché: a) il popolo credente non è stato testimone delle nefande ed infondate accuse lanciate dal Re nei confronti dei Tempalri francesi, scaturite dalle confidenze, poi ritrattate, di certo Noffo Dei e da quelle di Guglielmo di Nogaret, anima nera di Filippo il Bello, accusatore anche del Papa Bonifacio VIII, le cui malefatte, anch'esse inveritiere, vennero strumentalizzate a mò di ricatto per processare successivamente i Templari; b) i dottori ordinari (in verità gli agenti ed i magistrati del Re, incaricati di condurre l'inchiesta nelle rispettive giurisdizioni, esclusa quella francese, non riuscirono nell'intento premeditato di elevare a scienza la verità sulle terribili accuse rivolte ai Templari; c) tale verità non venne confermata nell'ambito conciliare, i cui membri partecipanti, almeno quello ecclesiastici, si videro costretti a prendere atto, puramente e semplicemente, della decisione premeditata e programmata dal Pontefice Clemente V, dopo essersi rifiutati di riconoscere negli elementi probatori forniti, sia pure numerosi, la fondatezza giuridica delle accuse. Del resto il Cibrario, insigne magistrato, ponendo l'accento, sotto il profilo processuale, sull'assoluta incompetenza a procedere e giudicare del Re di Francia, del suo Guardasigilli Nogaret, dei suoi cancellieri agenti e balivi, ha evidenziato nel merito la mancanza di prove univoche e serie contro l'Ordine e contro i singoli Templari. La Bolla in esame pertanto, se considerata quale semplice provvedimento amministrativo e se condivisa la cennata tesi della sua non dogmaticità, si rivela del tutto abnorme perché in contrasto con la precedente Bolla (questa sì dogmatica!) dell'8 giugno 1265 di Papa Clemente IV, con la quale venne proibito a tutti gli ecclesiastici "di pronunciar ogni e qualsiasi sentenza di scomunica e di interdizione contro iTemplari". Quantunque il Codex juris canonici (can. 699-2) preveda che le "associationes ab ipsa Apostolica Sede erectae nonnisi ab eadem supprimi possunt", lo stesso insegna anche che la estinzione giuridica delle persone morali non può nascere da un fatto fisico ma solamente da un fatto giuridico, presupposto questo, come detto, del tutto carente nel processo ai Templari. Le regole di S. Bernardo sono ispirate a rigore, a disciplina, a doveri che non lasciano spazio ad eresie, per cui la condanna dell'Ordine non poteva certamente derivare dalla regola accettata dai cavalieri all'atto del loro inserimento nell'Ordine. Quanto sopra si è argomentato sul presupposto della appartenenza dell'Ordine dei Templari alle persone morali collegiali della Chiesa; diversamente l'intera questione va valutata secondo l'aspetto del diritto internazionale per riaffermare il sacrosanto diritto dell'Ordine ad essere ricompreso sotto la protezione della Santa Sede, in virtù delle norme di diritto ecclesiastico, dello stesso diritto canonico e soprattutto dello spirito del Concilio Vaticano II°.
  5. Si legge infatti, nel proemio della Costituzione conciliare SACROSANTUM CONCILIUM sulla sacra liturgia del 4 dicembre 1963 "Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire alla unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa". Nella Costituzione dogmatica LUMEN GENTIUM sulla Chiesa del 21 novembre 1964, cap. II n°14 viene affermato che tutti gli uomini sono chiamati alla cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e che a tale unità appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo e sia infine gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza. Nel successivo cap. IV n°33 si raccomanda: "Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare, perché il disegno divino di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra. Sia perciò loro aperta qualunque via affinchè, secondo le loro forze e le necessità dei tempi, anche essi partecipino all'opera salvifica della Chiesa". I laici quindi, occupati in cure temprali, devono esercitare una preziosa azione per l'evangelizzazione del mondo, ed a tale azione non vengono certo meno i templari. Eloquente si appalesa l'inciso a proposito della riforma della Chiesa (Decreto UNITATIS REDINTEGRATIO sull'ecumenismo del 21 novembre 1964 - cap. II n° 6): "Siccome ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento presso l'unità. ..Se dunque alcune cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche nel modo di enunziare la dottrina - che bisogna distinguere con cura dal deposito vero e proprio della fede - sono state osservate meno accuratamente, a seguito delle circostanze, siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine. Questo rinnovamento ha quindi un'importanza ecumenica singolare..". Nel successivo cap. III, par. II, n°24 si esprime il desiderio del Concilio di vedere procedere congiunte le iniziative dei figli della Chiesa con quelle dei fratelli separati, senza che siano frapposti ostacoli alle vie della Provvidenza o si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo. Ed ancora nel Decreto PERFECTAE CARITATIS sul rinnovamento della vita religiosa del 28 ottobre 1965, al punto 11 sulla vita religiosa laicale, viene affermato che gli istituti secolari, pur non essendo istituti religiosi, tuttavia comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, riconosciuta come tale dalla Chiesa. Tale professione conferisce una consacrazione agli uomini e alle donne, ai laici e ai chierici che vivono nel mondo. I predetti istituti debbono conservare la loro particolare fisionomia, cioè quella secolare, per essere in grado di esercitare efficacemente e dovunque il loro specifico apostolato nella vita secolare. Di certo non meno interessante è il decreto APOSTOLICA ACTUASITATEM sull'apostolato dei laici del 18 novembre 1965, che al n° 6 del II cap. evidenzia l'esortazione del Concilio a tutti i laici, perché secondo la misura dei loro talenti e della loro fondazione dottrinale, e seguendo il pensiero della Chiesa, difendano ed applichino rettamente i principi cristiani ai problemi attuali. E ciò siccome in questo nostro tempo nascono nuove questioni e si diffondono gravissimi errori che cercano di abbattere dalle fondamenta la religione, l'ordine morale e la stessa società umana. Nel successivo punto n° 18 si legge: "I fedeli sono dunque chiamati ad esercitare l'apostolato individuale nelle diverse condizioni della loro vita; tuttavia ricordino che l'uomo, per natura sua, è sociale e che piacque a Dio di riunire i credenti in Cristo per farne il popolo di Dio e un unico corpo. Quindi l'apostolato associato corrisponde felicemente alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si mostra come segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Cristo che disse "Dove sono due o tre riuniti in mio nome, io sono in mezzo a loro". Perciò i fedeli esercitino il loro apostolato accordandosi su uno stesso fine (cfr. Pio XII, Alloc. Al I° congresso mondiale dell'Apostolato dei Laici, 15 ottobre 1951). Siano apostoli …in quelle libere istituzioni nelle quali si vorranno riunire". Del tutto significativo è il successivo punto n° 25, in cui si legge: "Ricordino i vescovi, i parroci e gli altri sacerdoti dell'uno e dell'altro clero, che il diritto e il dovere di esercitare l'apostolato è comune a tutti i fedeli, sia chierici, sia laici, e che anche i laici hanno compiti propri nell'edificazione della Chiesa. Per ciò lavorino fraternamente con i laici nella Chiesa e per la Chiesa, ed abbiano una cura speciale dei laici nel loro lavoro apostolico (cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, n° 37). Nella dichiarazione DIGNITATIS HUMANAE sulla libertà religiosa del 7 dicembre 1965 viene esaltata l'esigenza di libertà nella convivenza umana con riferimento ai valori dello spirito, ed in particolare al libero esercizio della religione nella società. Con tale proposizione il Concilio Vaticano II° rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa e, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana ed all'ordinamento giuridico della società. Il diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. "…Si fa quindi ingiuria alla persona umana ed allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia". Ai gruppi religiosi deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa e nel sostenerli col proprio insegnamento. Deve essere riconosciuto il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede. Infine nella Costituzione pastorale GAUDIUM ET SPES sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del 7 dicembre 1965, al punto n° 90 sulla partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali, tra l'altro viene affermato che "… le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero dei cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco ad istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali". I predetti innovativi propositi Conciliari pertanto, vanno seriamente eseguiti nel modo più ampio e senza alcuno strumentalismo, nel senso che ai suoi preziosi intendimenti devono necessariamente seguire nella pratica comportamenti della Santa Sede, che in alcun modo possano limitare o condizionare il predetto diritto alla libertà religiosa.
  6. La mancata riabilitazione ufficiale dell'Ordine dei Templari costituisce, senza dubbio, un limite di tale diritto, un innegabile condizionamento, a livello di inconscio, allo sviluppo della sua professata attività religiosa, o meglio, al ritorno ai suoi antichi splendori che la storia ci ha tramandato. E' pur vero che il decreto del Santo Ufficio del 17 agosto 1893, approvato dal Papa Leone XIII, e con il quale venne interdetto ai cattolici di far parte dell' Ordo independes bonorum Templariorum perché di origine massonica, venne abolito dal successivo decreto del Papa Paolo VI nel Congresso tenutosi il 15 luglio 1965: "Attese le attuali circostanze dell'Associazione, il Sant'Uffizio non insiste sulla proibizione precedente data ai cattolici di far parte dell'Ordine"; è pur vero, ripetesi, quanto sopra, ma ciò non è sufficiente per fugare ogni incertezza su quella che deve essere la precisa fisionomia e l'ufficiale natura giuridico-religiosa dell'Ordine dei Templari. Pur tuttavia, per quanto possa occorrere, è opportuno evidenziare che la scienza canonica nel determinare i requisiti naturali ed oggettivi (elemento materiale ed elemento formale) per la costituzione di una persona morale con decreto di concessione della competente superiore autorità, fa prevalere la tesi che per la predetta costituzione è sufficiente che nel relativo decreto formale sia concessa la personalità giuridica implicitamente o in modo equivalente -implicite seu aequivalenter-. Tale criterio è appunto applicabile nel predetto decreto di Papa Paolo VI, del 15 luglio 1965. In definitiva le deduzioni ed i rilievi sopra esposti non ci sembrano evidenziare precisi ed individuabili fatti giuridici ostativi a che l'Ordine dei Templari, considerate le sue dimensioni internazionali, venga nuovamente eretto sotto la protezione della Santa Sede, così come previsto dal can. 312 del Codex, con provvedimentodemandato alla competenza del Consiglio Pontificale per i laici, il quale ha già provveduto in tal senso ormai da qualche anno per l'Ordine dei Cavalieri di Notre-Dame.

Riabilitazione secondo il diritto internazionale

  1. Le norme che sono poste non dalla volontà di uno Stato, ma dalla volontà comune a più Stati manifestata mediante accordi internazionali, costituiscono il diritto internazionale o diritto della comunità internazionale. Il fenomeno religioso non è soltanto di natura morale: la religione, specie quando comprende la totalità o quasi della popolazione di un determinato Stato, dà vita ad organi, ad istituti, ad un complesso di mezzi reali diretti a raggiungere taluni scopi pratici nei quali si concretano le esigenze del culto e della fede religiosa. La religione si rivela, così, un fenomeno eminentemente collettivo, che esce dalla sfera degli interessi privati per incidere in quella degli interessi pubblici ed in quella stessa dello Stato. A motivo di ciò, lo Stato indirizza una parte delle proprie norme alla disciplina della condizione giuridica delle diverse religioni. Nel regolare questa particolare classe di rapporti, gli Stati del mondo europeo si ispirano a principi similari, in quanto si trovano di fronte alla religione cristiana. Nell'ambito della fede cristiana, poi, la Chiesa cattolica rappresenta non solo una grande istituzione, ma un ordinamento giuridico originario, il cosiddetto diritto canonico. Occorre, quindi, differenziare nettamente il diritto proprio della Chiesa cattolica (diritto canonico) dal diritto statuale in materia ecclesiastica (diritto ecclesiastico), costituito dal complesso delle norme emanate dallo Stato e l'ordinamento della Chiesa. Attraverso le forme individuali di popoli, nazioni e stati indipendenti, si reintegra il concetto dell'umanità, come la più alta forma della collettività umana. La più alta realizzazione dell'uomo è nell'umanità. La stessa umanità non può disconoscere la individualità degli Ordini, come espressione di individualità nazionali e storiche dei popoli.
  2. Il diritto internazionale è diritto, la forma di idee giuridiche, di esigenze giuridiche, e non pura espressione di idee morali e politiche, o di esigenze morali o politiche. L'apparizione del Cristianesimo, mitigando l'odio verso il nemico ed opponendo come dovere religioso diligite inimicos, apportò al diritto internazionale un più umano carattere. Sviluppandosi nel seno della Chiesa il diritto canonico, che doveva fondere l'elemento religioso, morale e giuridico, vennero a cessare gli empi usi di guerra, e la cattività fu condannata. Nella lotta tra il Papa e l'imperatore per la supremazia universale, si attuò il tentativo di comporre la universale famiglia dei popoli. La Chiesa esercitò una benevola influenza nel Medio Evo, apparendo come l'elemento unificatore in mezzo al disgregamento feudale di quell'epoca. Ma il contatto delle due diverse potestà, per loro natura diverse (temporale ed ecclesiastica), non tardò a generare il contrasto fra le stesse, e l'unione non logica tra l'impero e la Chiesa partorì il conflitto tra loro. La teocrazia individuata nella sovranità politica del papato si rivelò alla coscienza dei popoli civili nella palese contraddizione con l'Idea cristiana e con lo spirito della Chiesa fondata da Cristo. Non potè tale situazione non far nascere dolorosi effetti per la Chiesa. Fu allora che Diritto e Religione si appuntarono nell'uomo, ed infiniti furono i loro punti d'incontro. Già nella pretesa della Chiesa di essere garantita dal diritto, si rivelò evidente il punto di incontro tra queste due sfere della vita. La formula libera Chiesa in libero Stato va pertanto determinata nel suo contenuto, perché non vi è separazione assoluta tra Chiesa e Stato: azione della Chiesa ed azione dello Stato concorrono al completamento etico dell'uomo come universale (umanità). Lo Stato ha contratto con la Chiesa un rapporto di unione, ponendo tra i suoi fini la cura degli interessi religiosi del suo popolo, ed a tale cura non provvede unicamente da sé, cioè in modo unilaterale, ma è addivenuto a preventivi accordi con la Chiesa, instaurando una coordinazione di attività con la medesima.
  3. Superato quindi l'aspetto teocratico del sistema di unione fra Chiesa e Stato, la loro unione paritaria venne consacrata in un esplicito accordo, detto concordato, che riflette le materie così dette mixtae, cioè le materie di comune dominio: l'esercizio del culto, la provvista dei benefici ecclesiastici, le prerogative e le esenzioni dei ministri di culto, il riconoscimento della personalità giuridica agli enti ecclesiastici e, ciò che ci riguarda da vicino, il riconoscimento degli atti e delle sentenze delle autorità ecclesiastiche. Secondo la prevalente dottrina che rileva la posizione paritaria assunta dallo Stato e dalla Santa Sede nella stipulazione del concordato, quest'ultimo viene equiparato ad un trattato internazionale, in forza del quale, secondo il carattere precipuo del laicismo, è concesso ai cittadini, fedeli di una determinata religione, di potersi associare secondo le comuni o particolari norme di diritto privato, consentendosi, quindi, alle associazioni così formate di perseguire scopi di culto. Le associazioni religiose, come qualsiasi altra associazione privata, possono ottenere la personalità giuridica, e, in conseguenza, risultano legittimate a possedere e gestire una chiesa, possedere un patrimonio o delle rendite devoluti alle spese di culto. Tale personalità giuridica, stante la sua sovranità non territoriale, ottenne l'Ordine Militare dei Templari, che non sorse per fini di una sola generazione di uomini, perché i fattori che ne determinarono la formazione e ne impongono oggi la conservazione sono stati la religione, la difesa del Tempio, la cristianità, la cultura, la dignità, la carità, la solidarietà, la fratellanza e principalmente la tradizione storica. Tali fattori si fanno sentire per dei secoli, e nessuno può essere in grado di determinare la durata massima della loro azione. Solo in tal senso va interpretata la Bolla Clementina; non già quale provvedimento di soppressione o estinzione dell'Ordine, bensì quale provvedimento temporaneo o provvisorio di sospensione o interdizione a divinis. Certamente esistono prove sufficienti per credere che i Cavalieri di Cristo del Tempio Giudeo non hanno considerato la Bolla Clementina come una minaccia alla loro sovranità, ma come un atto di ostilità politica che non solo li portò al rogo, ma anche alla perdita dei loro beni materiali. Alcuni Cavalieri poterono continuare a vivere nell'Ordine considerando la Bolla Clementina tamquam non esset, e ciò è stato possibile in base alla presunzione assoluta della propria sovranità davanti alla Santa sede e davanti al Re. L'esistenza di tale sovranità, infatti, è strettamente connessa al principio dell'efficienza, ed esiste quando è ufficialmente e concretamente riconosciuta dai soggetti di diritto internazionale. Tale riconoscimento, nell'ambito europeo, si ebbe presso la Santa Sede nel corso del 15° e 19° secolo, presso il Re di Francia, l'Impero Napoleonico e la Repubblica Francese dal secolo 15° al 20°, presso la Regina d'Inghilterra nel 19° secolo e presso l'Impero Germanico intorno al 20° secolo. In particolare per quanto riguarda la santa Sede, Robert de Lenoncourt, legato pontificio in Francia del Papa Sisto IV, riconobbe la sovranità dell'Ordine e la nullità della Bolla Clementina, accettando di essere eletto Gran Maestro nrl 1478. Detto riconoscimento di sovranità non venne mai negato dalla Santa Sede fino al 19° secolo; in data 13 marzo 1845, infatti, il Principe Alfonso di Chimay e di Caramann venne nominato dall'Ordine Supremo e Militare del Tempio Giudeo quale legato Pontificio Magistrale presso la Santa Sede. Si ritiene superfluo, come ripromessoci all'inizio di questo studio, soffermarsi oltre (in questa sede) sul riconoscimento che nel corso dei secoli ebbero da parte della Santa Sede i Gran Maestri dell'Ordine che si succedettero, nonché le onorificenze attribuite dall'Ordine a grandi capi di Stato. Il riconoscimento quindi per facta concludentia riservato all'Ordine dalla storia, può essere ricompreso nello spirito delle norme concordatarie, in forza delle quali la generazione vivente deve considerarsi come investita del mandato di gestire un patrimonio spirituale e religioso che non è suo e trasmetterlo, possibilmente ingrandito, alla generazione successiva. Si può dire che la necessità che i membri di un aggregato sociale religioso non disperdano i propri valori spirituali fa sorgere l'Ordine, e la necessità che lo stesso sia posto sotto la protezione della Chiesa esige a sua volta che nella Chiesa non vi sia altro sovrano all'infuori della legge di Dio. Solo la legge di Dio è sovrana e nessun ordine può essere dato che non si fondi sopra di essa. Ciò che non è proibito dalla legge di Dio non può essere impedito.
  4. Le norme contenute nel diritto internazionale pubblico e privato (ed in particolare nel diritto ecclesiastico) vanno osservate, in linea generale, senza indagare se esse siano giuste od ingiuste, giacchè la moralità delle leggi sta nell'essere esse volute dalla maggioranza (volontà divina). La volontà del tutto irrazionale ed arbitraria contenuta nella Bolla Clementina è, dunque, del tutto eccezionale, da non poter essere adottata come argomento contro la bontà del principio di maggioranza. Certamente ciò che è bene e conforme all'ordine è tale per la natura delle cose ed indipendentemente dalle convenzioni umane, ed ogni giustizia viene da Dio, che ne è la sorgente; della natura delle cose e della giustizia di Dio gli uomini, come pensavano i padri della Chiesa e lo stesso S. Tommaso, non possono avere che una pallida idea; un'idea che in certi casi è come quella luce che il filosofo Iacobi, a suo dire, portava nel cuore, ma si spegneva quando egli cercava di afferrarla per trasportarla all'intelletto. In parte quindi aveva ragione l'Hobbes quando scriveva: "Regulae quibus definuntur bonum, malum, licitum, illicitum habente potestatem summam prescribendae sunt". Dovrebbe essere consentito, contro la possibile iniquità della giustizia umana, invocare le leggi non scritte contro la legge scritta, in quanto la mostruosità di una sentenza costituisce la eccezione e non la regola; e ciò, anche se si è certi della infallibilità dei principi morali insegnati dalla religione. Pur riconoscendo che nell'immenso campo in cui agisce, il sovrano può dire come disse un giorno Luigi XVI a proposito di un suo provvedimento: "E' legale perché lo voglio!", in quanto parole del popolo, si deve pure ammettere che la sovranità non può essere illimitata. Va rilevato che la Giustizia, data l'assolutezza e la neutralità dei suoi precetti rispetto all'esperienza giuridica, può giovare agli uomini solo a condizione che scenda dal cielo alla terra. Occorre, in altri termini, che il verbo della Giustizia divenga, per così dire carne, giustizia umanizzata, perdendo la sua assolutezza e la sua perfezione, giacchè solo il Verbo Divino potè incarnarsi senza perdere la sua divinità. Diversamente avremmo attentati alla libertà, alla Giustizia ed alla Morale, che in tutti i tempi sono stati perpetrati ed oggi ancora si vanno perpetrando nei paesi a regime dispotico in nome del diritto libero depositato nella coscienza del partito dominante o di un diabolico pastore di popoli. E' stato il Cristianesimo che, esaltando l'elemento spirituale dell'uomo, ed assegnando allo stesso un'origine ed una destinazione entrambe divine, pose le basi eterne della elevazione della personalità umana, e tanto efficacemente agì in tal senso, da provocare la scomparsa di istituti giuridici millenari, come quello della schiavitù. Ma l'uomo non deve limitarsi a ricordare di essere dotato di una insopprimibile dignità umana; egli deve ricordare anche che la sua volontà, quando è conforme alla legge, deve divenire azione. Sotto il profilo del diritto internazionale e del diritto ecclesiastico quindi, L'Ordine dei Templari va ancora oggi accreditato quale soggetto internazionale di natura spirituale, ente giuridico primario, autonomo, sovrano, dotato di propria personalità giuridica e va riconosciuto come libero membro della comunità internazionale presso la Santa Sede e gli altri Stati. Ciò perché: per la sua originaria personalità giuridica, provvista di un'autonoma giurisdizione, non poteva essere sottoposto alla giurisdizione, o potestà giudiziale, ecclesiastica per qualsiasi decisione sulla sua sopravvivenza o sui limiti da imporre alla sua personalità giuridica; le relazioni con la Santa Sede erano di natura particolare e relazioni speciali esistevano tra il codice delle leggi dell'Ordine ed il diritto canonico; relazioni dovute al fatto che i cavalieri avevano pronunziato i voti di sottomissione alla regola e che tra loro vi erano cappellani ordinati sacerdoti. La Bolla "Magnus Ordo in Ecclesia" del Papa Alessandro III, in data 18 giugno 1163, ha liberato l'Ordine da qualsiasi forma di sottomissione al sovrano temporale, mentre con la Bolla "Dignis esse conspicimus" del Papa Clemente IV, in data 8 giugno 1265, l'Ordine ha ottenuto anche la liberazione da qualsiasi forma di soggezione. L'Ordine infatti, ha goduto di sovranità assoluta fin da 1265 anche dal punto di vista religioso, da quando il Papa Clemente IV destituì tutte le autorità ecclesiastiche, compresa la Santa Sede, da qualsiasi potere sul Tempio. Ne conseguì che tra i due poteri esistettero soltanto relazioni di diritto internazionale non soggette al codice interno della Santa Sede, che potesse minare l'indipendenza dell'Ordine nel raggiungimento del proprio scopo istituzionale.
  5. La famiglia è una prima società voluta dalla natura per garantire l'esistenza e rendere la vita degna dell'uomo. La società civile, a sua volta, interviene per assicurare l'ordine esterno, per supplire alla privata iniziativa là dove risultasse inefficiente. A fianco di queste due società naturali prende posto, come società religiosa, perfetta, universale e soprannaturale, la Chiesa di Gesù Cristo, che si fonda sul diritto positivo divino. I due predetti ordini (civile e religioso o ecclesiastico) sono destinati a svolgersi separatamente, ed ognuno entro il limiti della propria sfera, ma non debbono opporsi fra di loro, né isolarsi l'uno dall'altro, ma debbono coesistere armonicamente. Ciò comporta che le forme dell'esistenza della Chiesa debbono armonizzare con lo sviluppo della civiltà della nazione. Un tale sviluppo, progredendo nel tempo, è giunto alla determinazione dello Stato di diritto, nel quale il processo inquisitorio avvenuto in Francia nei confronti dei Templari non è assolutamente ipotizzabile. Non può pertanto la Chiesa, e quindi la forma esterna della sua esistenza, collocarsi e vivere in contraddizione facendo emergere l'opposizione tra lo scopo etico e finale della società e la religione, tra questa e la civiltà. In una sifatta contraddizione è appunto caduta la Chiesa quando ha voluto allontanare dal suo grembo i Templari. I due grandi padri dell'incivilimento del nostro pensiero letterario, filosofico e politico, Dante e Machiavelli, ci hanno insegnato che il più forte ostacolo alla salute della civiltà, della religione e dello Stato fu il papato politico. La triste esperienza patita dai Templari non è mai caduta dalla mente e dall'animo di tutti i credenti, i quali hanno lavorato, attraverso i secoli, perché la terra possa essere un giorno illuminata dal chiaro sole della civiltà e della religione. La religione è un particolare desiderio dello spirito del Templare, è un lato speciale della sua vita, è una delle sue aspirazioni distinte dalle altre alle quali tende per la varietà delle sue capacità. Questa particolare sfera nella quale la facoltà religiosa del suo spirito è portata a svilupparsi costituisce la causa per l'origine di un proprio diritto all'esplicazione del proprio sentimento e pensiero religioso, e del culto divino in cui ama di completarsi. La religione erompente dall'individuale coscienza del Templare, ed il culto cristiano in cui la manifesta, costituiscono un suo diritto, necessario ed inviolabile quanto la facoltà dello spirito che lo produce, e come tale un diritto religioso. Consapevoli di tale diritto operano i Cavalieri templari di oggi, nello spirito di quanto già affermò Baldovino II, Re di Gerusalemme, saggiamente interpretato da Maria Lo Mastro, Dama Templare,: "Non case, non castelli, non feudi né volontà di rivincita, ma Cavalieri di una fede aperta, una fede profonda, libera e perenne, una fede che non volge gli occhi a Dio solo nel momento del bisogno, ma sempre. Una fede che ha per altare il cielo e la nuda terra in rappresentanza della polvere, quella polvere a cui tutti ritorneranno, ricchi e poveri, laici e religiosi, potenti e miseri, bianche i neri, gialli e rossi, senza alcuna distinzione".

Riabilitazione secondo il diritto positivo privato

  1. La coscienza religiosa dell'uomo lo porta ad associarsi con quella che è determinata dalla stessa idea e dal medesimo sentimento di altri. Da questa comunanza di idee e sentimenti nasce una comunità religiosa che assume la forma organica di un'associazione di medesimi credenti, di una corporazione di uomini legati da una stessa fede. La comunità dei Templari si basa sulla spontaneità della individuale coscienza religiosa, per cui ne consegue che il loro diritto religioso è essenzialmente un diritto individuale, appartenente alla categoria del diritto privato-sociale, appunto perché si svolge, si compie e si perfeziona nel seno della religiosa comunità o della Chiesa. Tale diritto, come detto in precedenza, è significativamente ed espressamente riconosciuto dal Concilio Vaticano II°: Dichiarazione Dignitatis del 7 dicembre 1965. E pertanto la purezza di tale diritto religioso rimane offesa nel momento in cui non le viene riconosciuto il dovuto rispetto e riconoscimento. Tenendo conto del tempo appare innegabile che le misure di disciplina, ordinate dalla Chiesa cattolica nei confronti dell'Ordine dei Templari nell'età delle barbarie, non convengono più ai mutati tempi civili, e l'ostinarsi a mantenerle cre a una certa dissonanza tra canoni ecclesiastici e la coscienza dei fedeli. Lo spirito religioso dei tempi moderni, essendo progredito rispetto a quello del medio evo, non è più in armonia con gli istituti disciplinari di quell'epoca. Tutte le prescrizioni che la disciplina del medio evo dettò sono ripugnanti per lo spirito religioso moderno (Concilio Vaticano II°), che chiede che siano abolite. Ripugnanti sotto il profilo del diritto privato in quanto il diritto del cittadino di associarsi (riconosciuto anche all'epoca) non può essere soppresso, con la soppressione dell'associazione di appartenenza, se con atto amministrativo o legge della autorità dello Stato (un tale provvedimento il Re Filippo IV il Bello si guardò bene dal prendere, ma si affidò opportunamente alla giurisdizione ecclesiastica, incompetente secondo il diritto internazionale). Questo è un principio cardine del diritto privato, per cui qualunque forma di relazioni giuridiche, che contengono elementi di feudalità dovesse essere conservata, essa dovrà cessare perché non vale la condizione del tempo a conservarla. E ciò perché il cammino della civiltà avanza, esplicando in misura sempre più ampia gli umani diritti di uguaglianza e di libertà, distruggendo le vestigia che ancora rimangono delle istituzioni medioevali, che sono in contrasto con tali diritti.
  2. Il voler rispettare ancora oggi la pretesa giuridica della Bolla Clementina, la quale contiene, non ci stancheremo mai di evidenziarlo, lesioni ed attentati ai diritti dell'umana personalità, non può aver per sé oggi altro argomento che quello del diritto storico, fondato unicamente sulla ragione del tempo. Diritto che non è solo spogliato nel suo ordine razionale della intrinseca legittimità, ma anche del diritto positivo, perché quando la coscienza civile dei popoli è pervenuta alla ripugnanza di sé stessa con un fatto che prima forse riteneva giuridico, intuendolo come opposto al bene ed al giusto, a tale fatto viene addirittura meno la base storica. Non ci pare, pertanto, azzardato sostenere la necessità della emanazione di un provvedimento ecclesiastico che retroagisca sugli effetti deleteri ed illegittimi della Bolla Clementina, per proibire che perdurino nel tempo, siccome cominciarono ad esistere. Non è possibile l'ammettere delle verità e dei principi assoluti nelle umane conoscenze quando si persiste a negare la verità e l'essere reale per essenza. O non si danno dei principi necessari ma solo delle impressioni puramente soggettive, o bisogna riconoscere che gli stessi presuppongono come necessità logica un essere assoluto ed immutabile. L'autorità civile proviene da Dio; perciò non appena si neghi questa sua origine trascendentale, da una parte, non si spiega più il diritto di comandare; dall'altra diventa un non senso il dovere ubbidire. L'empirismo toglie al potere civile la sua base etico-giuridica, e, ciò che è peggio, propaga tra le masse i principi della miscredenza e dell'ateismo. "Lo spirito del Cristianesimo", nota Rosmini, "appunto perché qualcosa di più che umano, non transige, non si fa connivente a nessun errore, a nessuna debolezza, a nessuna inclinazione cieca e perniciosa (nella specie la Bolla Clementina); egli ha il coraggio, ha la potenza di contrapporsi alle opinioni delle masse, di guadagnare le stesse masse coll'illuminarle, di raffrenarle, di guidarle: questo coraggio è sovrumano; questa potenza è misteriosa". Ancorati ad una tale concezione di rifiuto dell'empirismo, da ritenersi ormai universale, va osservato che secondo il diritto positivo, e specificatamente il diritto civile, un provvedimento di misura interdittiva comminata nei confronti di chiunque deve, se non è perpetua come quella contenuta nella Bolla Clementina: non per modum definitivae sententiae, essere assoggettato ad un termine finale, decorso il quale deve legittimamente seguire un provvedimento di assoluzione o di condanna definitiva. Scartata quest'ultima ipotesi per il generale consenso anche della Chiesa, ogni ritardo nel pronunciamento della definitiva riabilitazione dell'Ordine dei Templari si manifesta del tutto ingiustificato ed ingiustificabile, soprattutto perché contrario ai canoni fondamentali sui quali si fondano la religione cristiana e la società civile.
  3. Va osservato inoltre, sempre nello spirito di armonia in cui le regole civili e religiose debbono convivere, che il diritto soggettivo privato di un cittadino alla libertà religiosa rientra nella categoria di quei diritti insopprimibili garantiti dalla Costituzione dello Stato, e come tali non possono essere limitati od affievoliti se non da misure del tutto eccezionali di natura pubblicistica-penalistica di competenza esclusiva dello Stato. Ancora una volta corre il dovere di evidenziare come tale diritto fosse sottratto, all'epoca, all'autorità ecclesiastica, il cui intervento ha prodotto senza dubbio effetti deleteri sotto il profilo morale-giuridico nella sfera giuridica del privato cittadino.
  4. Altro aspetto da esaminare sotto il profilo del diritto privato odierno, e non certo di quello dell'epoca non contrapposto a quello pubblico, lo si riscontra nel criterio adottato nel provvedimento Clementino di estensione della misura interdittiva a tutti i Cavalieri dell'Ordine, ed in particolare a quest'ultimo, quale struttura autonoma ed indipendente dalle persone dei suoi associati. A parte le riflessioni precedentemente fatte sull'incompetenza del potere spirituale a giudicare l'intero Ordine dei Templari, va sgombrato il campo da ogni dubbio sulla natura ad personam di ogni provvedimento punitivo emesso nei confronti di ciascun individuo, nell'esplicazione dei suoi rapporti civili, etico-sociali, politici e religiosi. Ne consegue che, pur ammettendosi la fondatezza delle accuse rivolte ai singoli Cavalieri che furono processati, il relativo provvedimento disciplinare andava emesso esclusivamente nei confronti degli stessi, e non già presuntivamente nei confronti di tutti gli appartenenti allOrdine, non assoggettati personalmente al processo inquisitorio. A maggior ragione la misura interdittiva non poteva colpire l'Ordine, quale struttura, ripetesi, indipendente dai suoi associati nei confronti dei quali aveva lui l'esclusivo potere disciplinare. A meno che non si voglia, commettendosi, però, in tal modo un'evidente forzatura, intravedere nelle norme del diritto canonico e positivo dell'epoca l'ipotesi moderna del crimine organizzato in forma associativa. Si è confortati nell'esposizione della cennata tesi difensiva dalla certezza che la Santa Sede oggi non adotterebbe un provvedimento di soppressione o di interdizione nei confronti dell'eccellentissimo Ordine dei Cavalieri di Malta, qualora dovessero emergere gravi accuse di eresia nei confronti di alcuni dei suoi adepti.

Conclusione

Da quanto sopra esposto non pare arduo trarre la conclusione, non senza prima evidenziare alcune riflessioni finali che dovrebbero costituire il presupposto di ogni legittima istanza dell'Ordine dei Templari. L'educazione del sentimento del Diritto deve essere tale che ogni cittadino senta di dovere considerare la violazione della legge come una violazione della sua personalità, anche quando non sia stato direttamente colpito nei suoi interessi e nei suoi diritti. Poiché un così elevato sentimento del Diritto non si trova e difficilmente si può far sorgere mediante l'educazione in tutti gli uomini, bisogna provvedere ad educare, per purificarlo quanto più è possibile dal calcolo interessato e dall'egoismo, quel meno elevato sentimento del Diritto di chi non sa vedere l'ingiustizia se non attraverso l'offesa arrecata dagli altri ai suoi diritti. Tale necessità di educazione è fondamentale anche nel rapporto uomo-Chiesa, perché il credente deve essere educato in modo da essere edotto e convinto non solo dell'inviolabilità dei valori spirituali e religiosi e della doverosa necessità di non rinunziare alla difesa degli stessi, ma anche all'intima connessione che esiste tra la sua fede e gli insegnamenti della Chiesa, dai quali quella scaturisce, e della necessità che egli difenda la sua fede tradita non solo per ottenere la rimozione del torto che gli è stato fatto, ma anche per evitare che s'indebolisca e crolli l'intero edificio su cui la stessa fede poggia. Per ovviare quindi ad una siffatta inauspicabile evenienza la Santa Sede non può ulteriormente sottrarsi al suo doveroso intervento per dissolvere definitivamente ogni incertezza nell'opinione pubblica circa la legittimità spirituale dell'opera umanistico-cristiana svolta dall'Ordine dei Templari, e per evitare il tremendo imbarazzo ed avvilimento a quel Cavaliere Templare, riconquistato alla fede, che nella sua opera di proselitismo, si vede, a volte, ingiustamente additato a mo' di mercante di fede dall'interlocutore ignorante ed infido, facentesi forte del suo ricordo vago e non preciso di un provvedimento ecclesiastico equiparato alla scomunica. Il credente ha un fine da raggiungere che è il suo perfezionamento. Ma tale fine non si può conseguire in modo degno senza la Chiesa. Donde il credente è tenuto a vivere nell'unione della comunità cristiana. E siccome non si concepisce la Chiesa senza un principio unitivo, ne consegue il diritto di questa di comandare tutto ciò che è necessario perché l'unione diventi efficace, mentre il credente ha il dovere di cooperare, ubbidendo ai comandi della Chiesa; il tutto nello spirito degli insegnamenti del Concilio Vaticano II°.

Roma 7 luglio 1994


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