Il Paradosso Templare

 

Riceviamo e pubblichiamo un interessante articolo di Giuseppe R. (grizzlyb@tin.it) riguardante la doppia figura del Templare: Monaco e Cavaliere.


La nascita degli Ordini Militari, nella storia del Monachesimo, s'inserisce in un più vasto capitolo, segnato dalla forte esigenza di rinnovamento della tradizionale esperienza benedettina, che aveva raggiunto il suo massimo, opulento splendore ma inesorabilmente anche il proprio inaridimento spirituale, con Cluny .

In questo fervore di rinascita di antichi ideali cristiani, quali la povertà, si riflettevano una generale evoluzione del sentimento religioso e la progressiva attenzione prestata anche alla natura umana del Cristo - basti vedere l'evoluzione nella raffigurazione del Crocefisso - che videro naturalmente emergere, accanto alla rinascita "more patrum" di forti esperienze eremitiche, l'esigenza nuova di unire al servizio a Dio l'esercizio attivo della carità verso i fratelli: poveri, malati, pellegrini...

E' in questa luce che va vista la nascita dei vari ordini Ospitalieri, dai più importanti e conosciuti sino ai più piccoli e locali , e anche quella dei cavalieri Templari che dovevano proteggere il viaggio di quanti si recavano in pellegrinaggio in Terrasanta.

C'è tuttavia un aspetto del cavaliere Templare che occorre sottolineare:

egli é un monaco ed è un cavaliere, realizzando di fatto un paradosso. Egli infatti assomma in sè due delle tre ,ormai classiche, funzioni sociali individuate ed ampiamente studiate nelle società indoeuropee dall'antropologo Georges Dumézil , e nelle quali si articola anche la società medievale occidentale, e cioè: quella propria degli "oratores", socialmente preminente, e quella propria dei "bellatores". Uno dei rischi più insidiosi cui si espone chi affronti un evento storico, soprattutto se così distante - nel senso più vasto del termine - da noi, è quello di cedere alla tentazione di interpretarlo secondo le categorie mentali proprie della cultura a lui contemporanea: alla luce della nostra etica, che tende a vedere "colui che prega" come uomo di pace per definizione, risulta sicuramente incomprensibile come potessero convivere nella medesima istituzione due istanze così palesemente contraddittorie, opposte fra loro, come quella religiosa e quella guerriera. Ma nella società medievale occidentale del XII secolo, in cui fiorisce il fenomeno degli Ordini Militari, era così ? e se tale carattere di "mostruosità sociale" esisteva anche per la società loro contemporanea, è lecito chiedersi se e quanto tale fatto possa sotteraneamente aver inciso sulla storia e sulla tragica fine dell'Ordine Templare, che fra tutti gli Ordini Militari era sicuramente il più spiccatamente guerriero, come sancito già dalla bolla papale "Omne datum otium" emessa da Innocenzo II nel 1139 che, senza riferimento alcuno al servizio di protezione dei pellegrini, sottolinea come i Templari , "immergendo le mani nel sangue dei miscredenti" le consacrassero di fatto a Dio? Non abbiamo la pretesa di fornire risposte ma solo spunti di riflessione, e proprio questa bolla papale - che segue di pochi anni il concilio di Troyes (1128) che sancisce l'istituzione dell'Ordine - ratificando autorevolmente lo status religioso dei Templari, potrebbe indirettamente testimoniare della posizione contraddittoria in cui di fatto si trovavano i monaci-guerrieri figli di Ugo di Payns, piccolo nobile della Champagne infiammato da un amore tutto cavalleresco e terreno di Cristo. Un amore che , dal momento che la Chiesa vietava il passaggio dal Tempio ad altro Ordine religioso monastico, pare rimanere nella considerazione ecclesiastica di un gradino più basso rispetto a quello, puro e spirituale, di chi sceglieva di servire il Nazareno fra le silenziose solitudini del "deserto", reale o convenzionale che esso fosse, seguendo quella spinta assoluta di ricerca del Cristo (che inizia già ad essere un po' meno Re ed un poco più Redentore) che ha animato quella feconda stagione di rinascita del monachesimo iniziata al volgere del millennio , di cui si diceva, e che avrebbe portato via via Camaldoli, La Chartreuse, Cistercium...

Un amore dunque che aveva mani, seppure consacrate a Dio, troppo grondanti sangue per non risultare imbarazzanti fra le mura di un convento, riproponendo a suo modo l'antica contrapposizione fra la militia Christi e la militia saeculi ( ricordiamo che fra i mestieri illeciti proibiti ai chierici vi era anche quello del soldato, segnato dal tabù del sangue). In realtà sarebbe interessante - e forse anche stimolante e non così anacronistico - seguire lo svilupparsi del concetto di "guerra", prima ancora che santa, "giusta", che da Aurelio Agostino (" una guerra può dirsi giusta quando ci si propone di punire una violazione del diritto... quando si tratta ad esempio di punire un popolo che si rifiuta di riparare un'azione ingiusta" , tuttavia "colui che è in grado di pensare alla guerra e sopportare questo pensiero senza provare in sé un gran dolore, ha perduto veramente il senso umano" ) in poi si è elaborato in una società, come quella occidentale, così fortemente influenzata dal Cristianesimo, che sancisce l'irrinunciabile condanna dell'omicidio come suprema colpa. Tale strada però ci porterebbe assai lontano, giungendo fra l'altro a porci di fronte alla necessità di analisi di un altro concetto evangelicamente "scandaloso", e cioè quello di "pace ingiusta". Ci accontenteremo perciò di ricordare come la Chiesa, nel tentativo di arginare la violenta turbolenza di una feudalità già agli albori della sua crisi , si ponesse l'obiettivo di convertirla al servizio di Dio, indirizzando tale potenziale aggressivo all'esterno della Cristianità - e gli scritti sulla crociata di Bernardo di Clairvaux stesso, padre spirituale del Tempio, non lasciano dubbi circa il suo pensiero al proposito! - trasportando così su di un livello universale, cosmico la lotta intima di ciascun credente contro il Male. La guerra contro i non cristiani - infedeli, ma non dimentichiamoci gli eretici che videro anch'essi armare contro di loro una crociata - così acquistò un significato escatologico di "malicidio" che, appoggiandosi più all'Antico Testamento che non al Nuovo - dove pure la Chiesa leggeva " ... non veni pace mittere, sed gladium"(Mt 10,34) a dimostrazione che non alla pace fra gli uomini Cristo si riferiva, ma esclusivamente a quella con Dio - rendeva legittimo anche l'omicidio, che non solo non era più una colpa ma diventata un servizio meritevole reso alla causa divina. Nasceva così anche per il Cristianesimo la guerra santa - paragonabile per certi versi alla jihad islamica tuttora esistente - riassumibile nel pensiero di Bernardo: "Il Cavaliere di Cristo uccide in piena coscienza e muore tranquillo: morendo si salva, uccidendo lavora per il Cristo" e forse ancor più esemplarmente nell'ormai proverbiale, giacché per noi inconcepibile, battuta attribuita da Cesario di Heisterbach a Simon de Monfort di fronte all'eccidio dei cittadini (catari e cristiani) di Béziers: "Uccideteli tutti: Dio riconoscerà i suoi!" "Dio li distinguerà!".

Questo il panorama filosofico, dominato dal pensiero agostiniano per il quale, nella guerra, ciò che è condannabile per il vero cristiano non è tanto la morte di uomini comunque votati ad essa dalla loro condizione mortale, quanto il colpevole desiderio di nuocere ai propri simili; è il panorama restituitoci dai documenti scritti, di fatto riferibili in genere solo a quella limitata cerchia di esseri umani - costituita quasi esclusivamente dai rappresentanti colti dell' alto clero - che finisce con l'essere l'unica di cui spesso si ha testimonianza diretta ,al punto da scordare talvolta quanto poco rappresentativo campione dell'intera società essa fosse.

Non ci è dato sapere quali fossero in realtà i pensieri e i sentimenti al riguardo della restante popolazione, se non attraverso quelle che potremmo definire "prove indiziarie": la voce, sia pure pressoché isolata, di Pier Damiani, camaldolese (1007-1072) che sosteneva come "in nessuna circostanza è consentito prendere le armi per la difesa della fede della Chiesa Universale; ancor meno gli uomini possono dar battaglia per beni terrestri e transitori" (Patr. Lat., CXLIV ); la testimonianza muta ma eloquente di quanti, tornati dalla Crociata e segnati nell'intimo dall'esperienza vissuta, davanti al notaio si spogliavano dei beni materiali per votare la propria vita a Dio; infine le defezioni che, nonostante la formale proibizione della Chiesa, dai ranghi del Tempio condussero numerosi Templari a spogliarsi della loro anima guerriera per divenire monaci a tutti gli effetti - un esempio eccellente per tutti: il terzo Gran Maestro dell'Ordine Everardo des Barres (1149 - 52) che decise di entrare a Clairvaux.

Eppure, al di là di crisi di coscienza da una parte e fanatismi (perlomeno fino alla definitiva perdita di Gerusalemme, da poco riconquistata, nel 1244 e che venne letta da molti come drammatico segno dello sfavore di Dio), incrollabilmente convinti dell'alleanza divina dall'altra - non recitava forse il proverbio: arrogante, superbo come un Templare? - questi temibili guerrieri votati a Dio dovevano esercitare già tra i loro contemporanei parte di quel fascino che avrebbe fatto sopravvivere la loro leggenda fino a noi, se il poeta Wolfram von Eschenbach nel suo Parzival(1200 - 1210) decise di chiamare Templari i Cavalieri del Graal - e nel descrivere il loro Castello secondo alcuni s'ispirò al monastero cistercense di Clairvaux - e davvero, non riusciamo ad immaginare più nobile cavalleria di questa!

C'è poi, a nostro avviso, tra il Cavaliere e il Monaco, una terza figura importante nella genesi psicologica degli Ordini Militari, la quale assomma in sé aspetti di entrambe e che, dopo la ricca fioritura benedettina precedente, torna prepotentemente attuale a partire dal X secolo tanto da divenire poi nell'immaginario cortese l'ideale controparte religiosa del Cavaliere: l'Eremita. Chi infatti meglio dell'Eremita può incarnare l'aspetto eroico della fede, l'anelito ad una dimensione eroica nel vivere la fede?

Come resistere dunque al fascino dell'immagine, offertaci da Cardini, di un giovane Ugo che seguendo la Crociata fra sé medita come, in fondo, l'Uomo di Dio che affronta il Demonio sconfiggendolo con la forza che gli deriva dalla sua fede non sia dissimile dal Cavaliere che si arma per sconfiggere il Male incarnato dagli Infedeli deicidi?

Fonti e Bibliografia

Philippe Contamine- La guerra nel Medioevo - Il Mulino 1986

Claudio Risè - Psicanalisi della guerra - Immagini del profondo ed. RED 1997

Georges Dumézil - Gli dèi dei Germani - Adelphi 1974

Aurelio Agostino - Contra Faustum; Quaestiones in Heptateucum; Epistole

Aurelio Agostino - De Civitate Dei - Rusconi 1995

Franco Cardini - Alle origini della cavalleria medievale - La Nuova Italia 1997

Wolfram von Eschenbach - Parzival - TEA,1989

Aaron Gurevic - Contadini e santi - Einaudi Paperbacks, 1986

 

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