"SGUARDO D'ARTISTA IN UN INTERNO"
La casa di Domenico Fiorentino è uno scrigno d'arte che contiene una famiglia.
In essa è padrona la pittura: un libro aperto che parla con linguaggio
scabro ed essenziale"Tappezzata com' è di opere di vario formato, paesaggi, disegni ritratti, grumi di vita, potenti sentimenti, fremiti di spazi luminosi, interni intimi, scene campestri, ovili, cavalli, asini, sogni di fanciulle e lavori casalinghi, la casa di Domenico Fiorentino è uno scrigno d'arte che contiene una famiglia.
La padrona di casa è la pittura: un libro aperto che parla con linguaggio scabro, essenziale, sapido di radici sorrentine e di visioni di spazi naturalistici ed umani, mutabili alla luce che li scruta e li investiga perché comunichino alla visione intelligente, agli occhi del sentimento quello che le parole dei giorni comuni non sanno dire.
E' vero, è la pittura che domina, alimenta e vivifica una famiglia salda nei forti vincoli, tutti testimoniati nelle opere d'arte, dai pensieri poetici ai turbamenti, alle gioie alle lacerazioni che restano vive nella costante memoria dolorosa : la pittura accoglie l'ospite, lo scruta, chiede il "giudizio di famiglia" e, solo se tutti consentono, lo stesso scrigno espositivo, con un sorriso sornione, persuade il pittore ad aprire le stanze segrete, a portare fuori cioè quella produzione dì forme e colori che è la testimonianza più vera di una vita per arte e che non a tutti è concesso di vedere.
Premettiamo subito che oltre cinquant'anni di pittura , un mestiere esercitato, una concreta intuizione della scena, del fatto, della pulsione emozionale, colta sempre con sensualità aggressiva, con un istintaccio così naturale ed energico da apparire simbiotico alla tecne, alla perizia della professione, offrono opere sempre corrette ed attrattive, lo attestano le richieste degli amatori e il successo delle esposizioni, ma casa Fiorentino vha altri "segreti" di accenti pittorici di sublime poesia familiare.
Abbiamo avuto così il piacere di incontrare Domenico Fiorentino degli anni lontani, l'inquieto disegnatore, il cacciatore di immagini in piena luce, il sicure interprete di " messe in posa" che fanno rivivere altre stagioni e si elevano nell'armonia della loro forza cromatica, della coscienza intimistica , nel sorriso di una passione mai sopita.
C'è voluta tutta l'abilità consumata di un attento memorizzatore per dipanare il filo dell' indagine ìnterpretativa tra decine di tavolette di varia grandezza, addirittura miniature, conservate solo per "gli intimi", per parlare delle cose care al pittore, vissute con le prepotenti ragioni del sentimento e delle speranze.
Che straordinaria biografia per immagini potrebbe essere offerta al fruitore accompagnando le opere con un cenno sintentico, quasi un titolo un poco più lungo: la porta di casa paterna, le ortensie delle aiuole, la finestra, l'angolo intimo. i pescatori, le barche, uomini e volti, atteggiamenti di gente umile che non è passata del tutto dopo che è stata catturata dal gesto che ha siglato rapidi abbozzi, forti come ritratti compiuti.
E poi i paesaggi: luoghi dell'anima, spazi di un colloquio nel quale non c'era bisogno di parole, di espressioni forbite, di perifrasi. Alberi e colline, verdi di toni infiniti, colori resi forme: a furia di scrutare e lavorare in fretta per non perdere l'abbaglio felice, il palpito luminoso, l'ombra appena tremula sotto i rami, subito dopo la curva della strada, Domenico Fiorentino ha acquisito l'abitudine, un modo d'essere connaturato, come la passione per l'arte, di stringere gli occhi, di acuire la vista, di scrutare creando un raccordo di lucida sintonia tra il suo sentire e la visione che gli è davanti.
Ti fissa nella raggiera di rughe sottili e sorride , non a te, non al mondo che conosce negli aspetti magici della gioia e in quelli crudi dell'affanno e del dolore, ma alla pittura.
Quella strega lì non gliela ha insegnata nessuno. Ha avuto i suoi maestri alla Scuola d'Arte di Sorrento e all'Istituto d'Arte di Napoli ; ha avuto la guida di Striccoli, Viti, Casciaro, ma il senso umano e la natura, favola infinita, gli hanno dato i contenuti.
Forse la stessa "distanza" di sentire", il bisogno di una sincerità, di una verità che non fosse leziosa o frutto di ricerca esteriore e che talvolta avvertiva nei suoi maestri lo indussero alla inquietitudine, all'umile interrogativo che Luigi Crisconio risolse con l'autorità della sua grandezza di uomo e di pittore.
Quel giovanissimo che gli chiedeva se era il caso di continuare con l'arte , dovette suscitare il suo sorriso: comprese che il suo modello avrebbe influenzato quel temperamento che già amava la pennellata grumosa, intuitiva, resa forma e consistenza nelle distanze tra vari modi d'essere tra luci e spazi.
C'era poi un'altra prerogativa ai Fiorentino: la intuizione della centralità da individuare nel baricentro dell'opera. Quel baricentro è ombelico, è occhio ammiccante, è gioco di linee che si intersecano, di piani che si dispongono in armonia e non consentano sbilanciamenti o vuoti.
Carboncini, seppie, profili di coste, mari e giardini, volti e sagome,
invenzioni, nella luce, di bambini: ecco i figli, la figlia, modella preferita, da bambina, scrutata con affetto particolare, tenerezza quasi morbosa, come già aveva fatto con la moglie, messa in posa alla macchina da cucire. Nello scorcio della finestra, nella luce che va, come appare giovane quella sposa che attendeva un figlio. Si coglie il suo stato, avrebbe partorito il giorno dopo l'esecuzione del dipinto, e le ruote della macchina da cucire sembrano alludere a quelle della vita.
C'è la pittura degli eventi felici e quella che cerca le ragioni dell'infelicità, dei grandi interrogativi, del turbine improvviso.
Domenico Fiorentino che ha proposto la sua terra nella VI Quadriennale, esponendo accanto a Balla, a Parigi, in America, si trova poi a catturare immagini parigine per volontà di sua figlia, costretta a fare da spola tra la città natale e la capitale francese per quel destino che conduce ai cosiddetti viaggi della speranza. Domenico Fiorentino che ha tante "istantanee" pittoriche di sua figlia, che è stato acuto interprete degli stati d'animo della giovane e che aveva seguito nell'arte l'indirizzo paterno in quegli anni di attesa del miracolo ha dipinto Parigi per espressa volontà della sua creatura.
Ha ubbidito e dipinto, cogliendo visioni con dolcezza della poesia e la tenerezza di chi offre una visione suggestiva a una creatura amatissima.
Si sono sommate le finissime suggestioni parigine vissute nelle scelte più sentite e nel contrasto di sentimenti indocili alla persuasione, alla rassegnazione.
Si tratta di opere molto intense, rapide: costituiscono una rapsodia di delicate armonie, vissute tra batticuore, contemplazione e pensiero allucinato.
Sono un taccuino di pensieri cuciti in una veste di varie stagioni, vissute nella speranza che trionfasse la vita per amore della quale sono fioriti e fioriranno ancora i dipinti del ricordo.
Sarebbe interessante che qualche Istituto di Cultura ospitasse queste
opere che profumano di Parigi e hanno radici sorrentine.
Mimì sorride, mi chiama Angelo, com'è giusto. per un amico al quale si è parlato con sincerità e poi, con il sorriso dei suoi occhi stretti intorno a una visione intima, mi saluta nell'atmosfera post-natalizia sorrentina.
( Da il DOMANI Arte, Napoli 21 gennaio 1992)