La pittura di Domenico Fiorentino
Di Piero Girace
A
certa pittura cerebralistica, astrattiva, dichiarata spesso " intelligente " dai professori tipo Líonello Venturi, io preferisco quella cosiddetta " istintiva " dove si dà modo di avvertire una intelligenza più positiva e persuasiva nei riguardi dell'arte, e cioè l'intelligenza " cieca " dell'istinto, di cui parla Bergson nella sua " Evoluzione creatrice ".Questo pensiero mi tornava in mente l'altro giorno a Sorrento, mentre osservavo i dipinti di un giovanissimo e pressoché oscuro pittore del luogo.
Domenico Fiorentino, che aveva allestito una piccola mostra nei locali del " Circolo dei Forestieri " dove visitatori distratti nemmeno si accorgono di trovarsi di fronte ad un serio artista, che domani, svincolato dalla chiusa cerchia paesana, potrà dare delle sorprese e non poco filo da torcere a tanti " aggiornatissimi " (con le tricromie dell'Ecole de Paris) giovani "rivoluzionari ", ormai prigionieri dei facili schemi di una comoda ed anche parecchio cretina accademia.
Domenico Fiorentino è un giovane esile dall'aria imbambolata, che non sa fare "discorsi eruditi" sulla pittura come i suoi colleghi di Roma e Milano: che si aggira per Sorrento e dintorni dalla spiaggia alle colline pietrose, sempre con la sua " cassettina " e indugia presso un gruppo di ulivi e davanti a una casa colonica dall'intonaco rosa, e poi torna a casa felice, con una tavoletta o due per rnostrarla più che agli amici, alla sua cara mamma, la quale, pur intendendosi poco di pittura, come tutte le madri dotate di buono intuito, ha fiducia nei suo ragazzo; vederlo così mite, così umile, così distaccato dalla realtà (e Mancini era lo stesso) lo si direbbe soltanto un bravo figliuolo. Ma basta trovarsi davanti ai suoi dipinti per cambiare subito opinione ed avvertire una intelligenza meravigliosa ed una violenza nell'attuare certe sintesi, specialmente nei paesaggi, con pennellate nervose, rapidissime di una materia preziosa, smaltata, dai toni netti e vibrati, che assolvono funzioni di colore e di forma, in modo deciso, o meglio ancora conclusive. Il suo istinto prepotente si manifesta in ogni dipinto sia esso la bella spiaggia di Puolo fusa in una così fitta trama di pennellate da raggiungere effetti espressionistici sia nel " Museo Correale ", con gli alberi scheletrici che scandiscono l'atmosfera invernale, sia nei suoi acquarelli immersi in una luminosità dove forme assumono carattere di parvenza. Si dirà che è soltanto un vedutista. Anche Giacinto Gigante era un vedutista sulle cui " vedute ", che egli dipingeva per i " forestieri " (badate per i forestieri, non per i critici d'arte, professori di filosofia!) oggi la critica continua le sue indagini.
Il giovanissimo Domenico Fiorentino ha studiato alla scuola d'arte di Sorrento; poi ha avuto per maestro Luigi Crisconio, che andava a villeggiare a Meta; e fu appunto Crisconio che gli diede con esempio gli insegnamenti più utili per il raggiungimento di una pittura emotiva.
Poi ha fatto da sé, e si è svincolato anche, e credo in modo definitivo, dall'influenza di Crisconio, riuscendo a dare alla sua arte un carattere del tutto personale, che potrebbe avere parentele inconsapevoli con pittori internazionali come Wlaminck, e perfino con Cézanne.
Ma come si diceva innanzi, Domenico Fiorentino non sa fare discorsi eruditi sulla pittura e non ha visto quindi né Wlaminck né Cézanne.
Tutto quello che fa viene fuori dalle sue sincere emozioni.
da " La Voce di Napoli
del 5 marzo 1949
P. GIRACE