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Cagliari: istituzione lettorato. Primo a
sx
Don Michele Casula, Il parroco di Orgosolo
«Il delitto commesso è gravissimo e terribile,
perchè si è colpito un uomo di Dio, un uomo che alla violenza risponde disarmato. Ma non
serve generalizzare, non per questo il dolore diminuisce. E allora stiamo attenti a non
criminalizzare tutti. Orgosolo ha ancora risorse spirituali e valori, qui la stragrande
maggioranza è buona».
«Don Graziano, noi andiamo avanti»
28 dicembre 1998, ore 8, 30... Le ultime donne sono
uscite dalla chiesa... dopo giorni di "straordinaria presenza" e di mille parole
mi ritrovo solo nell'ufficio parrocchiale: la vita nella sua sconcertante
"normalità" deve continuare... ma il pensiero è sempre fisso là su quel
vicolo reso ancora più buio dalle tenebre della morte. È da lì che riprende la vita,
pensando che, nonostante tutto, è necessario continuare, anche se viene la tentazione di
mollare, di andare via, non per paura, ma per un umanissimo sentimento di impotenza.
Durante questi giorni terribili ho lasciato "spazi e parole" ed altri e ho
voluto quasi con pudore nascondere il mio immenso dolore, anche con un sorriso rigato di
lacrime, un dolore dai mille volti: per la perdita tragica non solo del mio più stretto
collaboratore, ma anche di un amico conosciuto da tutta la vita in esperienze fantastiche
di ragazzo e adolescente, per l'oltraggio alla sacralità dell'uomo di Dio (dentro di me
risuona sempre una parola per molti forse insignificante ma gravida di peccato mortale: sacrilegio!); per una sorella che iniziava
con saggezza e discrezione a dedicare il suo tempo ai bambini di Orgosolo, nel cammino
catechistico; per l'umiliazione e le angosce della gente buona di Orgosolo, che mi ha
urlato il desiderio di essere perdonata...
Don Giovanni Sanna, ex parroco di Orgosolo
C'è solo da piangere davanti a questi crimini. Non ci sono motivi per giustificare un
atto del genere. Anch'io per tanti anni ho detto la verità a tutti, sono stati sincero
sino all'incoscienza. Il mio "peccato" è stato proprio questo. Ma non me ne
pento, perché la sincerità è la caratteristica principale del sacerdote: avere il
coraggio di condannare ciò che è male perché in questo modo si dimostra l'amore verso
chi sbaglia. Non tutta Orgosolo è da condannare: c'è tanta gente buona e generosa. I
disonesti sono davvero pochi, pochissimi».
Don Pietro Muggianu, nativo di Orgosolo
«Sono sgomento provo dolore e vergogna. Orgosolo godeva di
una malafama, ma non aveva mai toccato questi abissi. Purtroppo quando c'è da dialogare
manca la massa e questo significa che c'è ancora molto da fare. Serve invece un impegno
comune. Bisogna quasi costringere i giovani a frequentare i corsi professionali e metterli
poi davanti all'aut aut: o lavori o ti si rende difficile la vita. Infine debbo purtroppo
rilevare che la polizia, pur con tutta la buona volontà che profonde, riesce a fare un
lavoro quasi esclusivamente burocratico».
Fonni 1990: la sua prima messa
don Salvatore Bussu, è stato cappellano delle
carceri di Badu 'e Carros e direttore de L'Ortobene
Dolore, angoscia, preoccupazione, sono i sentimenti che pervadono oggi questa nostra terra
di Barbagia. L'icona di un vescovo affranto che piange e parla e grida la tristezza di una
terra offesa su quanto vi è di più sacro domina immensa sullo schermo televisivo di ogni
casa. E chi si era illuso che certe cose non potessero più succedere, dopo l'assassinio
di don Graziano Muntoni deve ricredersi. Il mostro, che credevamo ucciso per sempre, è
ancora vivo. Perché «il grembo da cui nacque è ancora fecondo» (Brecht).
Orgosolo, nella sua stragrande maggioranza pulita e onesta, se da una parte ha bisogno di
tanta comprensione per una triste immagine che circola di essa in Italia e nel mondo,
dall'altra, in un sussulto di dignità e di coraggio, deve pur riconoscere quel che è
stata e ancora è: un grembo amcora fecondo che produce mostri. Perché, oltre ai tanti
fattacci che avvengono nel suo territorio, non è nuova in quest'opera dissacrante verso i
ministri di Dio. Alla fine degli anni 40 il parroco don Francesco Lai, che era in
compagnia del viceparroco don Lostia, venne costretto col mitra puntato in testa a
consegnare l'oro della Vergine Assunta; e, mentre una sera si intratteneva, con un gruppo
di giovani nel terrazzo del salone, fu fatto segno di una sparatoria, per fortuna senza
alcuna conseguenza; e qualche tempo dopo gli fu somministrato il veleno da cui a stento
riuscì a salvarsi. Nel 1955 il parroco don Michele Cadoni, impegnatissimo nel campo
sociale, scampò alla morte per caso; sbagliando il tiro, al suo posto venne ucciso il
sarto Adolfo Senes. Poi agli inizi degli anni 80 don Ariosto Columbu, riconosciuto in
tutta la diocesi come un angelo di bontà, legato a una sedia venne torturato per tre ore:
si saprà soltanto dopo la sua morte. E adesso l'assassinio di don Graziano Muntoni. Si è
toccato davvero il fondo dell'abisso.
Don Graziano, rispetto agli altri sacerdoti, aveva una marcia in più. Entrato da piccolo
in seminario, l'aveva dovuto abbandonare per motivi di salute. Ma non abbandonerà il
sogno di diventare sacerdote sempre presente nella sua vita: prima nella Chiesa, come
animatore dell'Azione cattolica in tanti campeggi e campi scuola, poi nella società
civile come presidente della Pro loco, consigliere comunale, capogruppo, assessore allo
sport, turismo e cultura, consigliere alla comunità montana. Arriva al sacerdozio molto
tardi, all'età di 50 anni, dopo oltre un ventennio di insegnante di lettere nelle scuole
medie, insegnamento che continuerà anche da prete. Come viceparroco di Orgosolo diventa
il punto di riferimento di tanti ragazzi e giovani, e delle loro famiglie. Era un uomo
schietto, generoso, francescanamente semplice, quasi ingenuo. Diceva francamente la
verità a tutti. E forse per questo dava fastidio. L'hanno ucciso: come don Puglisi a
Palermo, come tanti altri sacerdoti nel mondo...
Orgosolo violenta, e pur tanto amata, che uccidi i tuoi sacerdoti «tra il vestibolo e
l'altare»! Questo, come hanno detto e scritto i vescovi sardi in una lettera di qualche
giorno fa, è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. «Non toccate i miei
consacrati, non fate alcun male ai miei profeti», ha detto il Signore (Salmo 105,15). Per
carità, se Orgosolo e tutta la comunità barbaricina non sono ancora capaci di estirpare
la violenza e di partorire la pace, almeno non mi si insegni a giocare d'astuzia con il
testo del libro sacro: la comprensione e il perdono ci devono essere, ma la giustizia non
deve mancare. Bisogna avere il senso dello Stato e della legalità. Su questo dobbiamo
fare un esame di coscienza tutti; noi sacerdoti per primi, le forze sociali locali, le
famiglie, la scuola. I delinquenti vanno riconosciuti e considerati tali, vanno
denunciati, vanno consegnati alla giustizia. Dobbiamo riprenderci il diritto-dovere della
parola. Anche il non parlare è un peccato. Lo stesso don Graziano, un sacerdote che
viveva tra la gente e con la gente, qualche giorno prima della morte, si lamentava con un
confratello; purtroppo anche gente vicina a noi tutto scusa e su tutto chiude gli occhi,
persino di fronte al marcio che è palese.
Lo si sa; quella nuorese è una Chiesa di frontiera. E questo, nonostante quello che ne
pensino altri che guardano la nostra realtà dal di fuori. Molti poveri preti buttati
nella tormenta di un malessere endemico, che tracima dagli argini e sommerge tutti, hanno
bisogno di essere sostenuti, non solo dalle autorità religiose (sostegno che non è
venuto mi meno), ma anche dalle autorità civili e dalle forze dell'ordine.
Don Graziano una volta mi disse: «Ci sono notti che non possiamo dormire. I giovinastri
fanno schiamazzo tutta la notte vicino alla porta di casa. Più volte ho invitato le forze
dell'ordine e non sono mai venute. Una volta che sono arrivate, anziché prendersela con
quelli e inseguirli, hanno bisticciato con me che li avevo disturbati».
È impossibile accettare la situazione com'è e continuare indefinitivamente una storia
che è violenta. Tanto il giorno di Natale a Orgosolo quanto ieri, festa di Santo Stefano,
a Fonni, il vescovo, monsignor Pietro Meloni, ha detto con forza basta alla violenza e
all'omertà. E bene ha fatto il sindaco della comunità di Orgosolo a invitare tutta la
popolazione a reagire, a parlare, a denunciare, a consegnare le armi, annunciando anche
l'intenzione di volersi costituire, come Comune, parte civile contro l'ignoto o gli ignoti
uccisori.
Concludendo gridiamo con forza: è stato eliminato un sacerdote che non voleva omologarsi
al modo di pensare degli altri, ma don Graziano non è morto: è più vivo di prima. Parla
ancora con il suo sacrificio, con la sua testimonianza. Il suo sangue versato, forse,
nella società nuorese e sarda sarà dirompente, come una scossa tellurica; farà
riflettere non solo la Chiesa nel suo modo di fare pastorale, ma tutta la società. L'alba
del nostro riscatto forse è alle porte.
L'ex cappellano delle carceri: «Un
delitto che offende la Barbagia»
«Sono angosciato - afferma - è stato per me ma penso per tutti un colpo al cuore. Hanno
colpito fortemente la Chiesa nuorese. Don Muntoni era un sacerdote molto impegnato, un
prete che aveva una marcia in più. Era franco, aperto, solare. Era un educatore
preparato, speciale. Ripeteva che bisogna uscire dal tempio per andare in mezzo alla
gente. La sua uccisione vuol dire un ritorno alla barbarie. Un gesto comunque clamoroso. E
i gesti clamorosi devono essere capiti, non fraintesi. Orgosolo è oggi un paese
accasciato: la stragrande maggioranza dei suoi abitanti è avvilita e offesa. Vedo
purtroppo per la Barbagia un futuro molto fosco: il suo affrancamento dalla violenza si
allontana».
don Antonio Bussu, parroco in Fonni e
confessore di don Graziano
Don Antonio Bussu è parroco di "San Giovanni
Battista" a Fonni. È un uomo stanco, provato, ma sempre spiritualmente forte. Ha da
amministrare un popolo di anime numeroso in un paese da sempre considerato fra i più
religiosi della diocesi.
Era anche il padre spirituale, il confessore di don Graziano Muntoni. Di lui raccoglieva
"peccati" e angosce, rimorsi e speranze. È davvero un mistero per noi laici
come un prete possa inchinarsi davanti a un suo consimile per adempiere al sacramento
della confessione. Eppure accade. Cosa possano dirsi non si sa. Ma è certo che, quando
questo atto di contrizione si compie, ad animarlo è la sincerità. E di sincerità don
Muntoni era capace.
Egli, che prete era in assoluto, si emendava davanti a questo anziano parroco, originario
di Lodine e a Fonni da trent'anni.
Parla lentamente ora don Bussu. La voce è flebile. E si avverte che ha il pianto nel
cuore.
«Don Graziano Muntoni - esordisce - era un uomo di Dio, un santo sacerdote e ora è un
martire. Era amico dei giovani, ma faceva comunione con tutti. Godeva di una stima
generale: anche dall'Argentina hanno telefonato per esprimere il dolore dopo la sua
dipartita».
Qual era il tratto distintivo di questo prete?
«L'umiltà e la povertà. Era un prete umile e povero, di
una povertà integrale. Dava tutto quel poco che aveva. Ed era un sacerdote pio, di
delicata coscienza».
Come ha appreso della sua fine?
«Un amico mi ha preparato, sapendomi fragile. Poi mi ha
detto: "È morto Graziano". E solo più tardi: "L'hanno ucciso". Ho
saputo così, per gradi, la tragica notizia. Ma è stato ugualmente tremendo per me».
Lei ha confessato don Muntoni pochi giorni fa.
«Sì. Due sere prima di morire è venuto qui, per farmi gli
auguri di buon Natale e per confessarsi. Si è voluto purificare, quasi presago della fine
vicina. Ma era tranquillo, come sempre. E ci siamo lasciato per rivederci presto».
Come ha reagito il paese di Fonni alla notizia dell'uccisione
di don Muntoni?
«Graziano qui aveva lasciato un grande ricordo. Aveva
insegnato nelle scuole, aveva fatto l'amministratore. Il paese ha accolto la notizia del
suo assassinio con profonda costernazione. Il rimpianto per la sua perdita è enorme. La
chiesa si è riempita subito dopo che la voce è arrivata a tutti. La gente voleva
pregare».
Fonni ha avuto sempre la fama di essere un paese di grande
religiosità. È ancora così o quella fama sta scemando?
«Non è più così grande e diffuso il sentimento religioso
di una volta. Purtroppo tutto cambia e anche Fonni sta pagando il prezzo che si deve alla
diffusione di altri valori. O meglio dei disvalori».
L'ultimo ricordo di don Graziano Muntoni, lei che l'ha visto
per l'ultima volta in veste di amico e di penitente.
«È il ricordo struggente di chi senza saperlo ha salutato
per l'ultima volta chi conosceva e apprezzava da tanti anni. Lo rivedo sereno ripartire
per Orgosolo. Non immaginavo che non l'avrei rivisto più».
Don Bussu, un'ultima riflessione. A cosa può o meglio
dovrebbe servire il sacrificio di questo prete?
«Possiamo nutrire soltanto una speranza: che il suo sangue
serva a purificare la Barbagia tutta». G. P.
don Carta, Direttore del settimanale diocesano
l'Ortobene,
Don Giovanni Carta, ex parroco di Mamoiada, poi della parrocchia di San Francesco a Nuoro,
è direttore del settimanale diocesano L'Ortobene.
Dice: «Quanto è accaduto a Orgosolo giovedì mattina è fuori di ogni schema e di ogni
logica. Dobbiamo essere molto attenti: la cosa più semplice è sparare nel mucchio. Ma
non è giusto colpevolizzare tutta una popolazione che conta moltissimi onesti. Certe cose
comunque accadono quando si perde il senso di Dio e non si dà più senso all'uomo, che
quindi diventa un oggetto. Si tratta di un delitto che non ha spiegazioni. Un delitto e
basta, pur nella sua atrocità. Il fatto è che sta progressivamente mancando l'educazione
religiosa, il rispetto alla legge di Dio, che sono poi i Comandamenti. E allora si finisce
per perdere tutto».
don Albino Sanna, rettore del seminario di Nuoro,
«Ci sentiamo umiliati, questo sì». «Sono fatti che incidono nella coscienza di tutti.
Non ci resta che riflettere e pregare».
Don Giuseppe Mattana, nativo di Orgosolo, direttore
spirituale del seminario,
«Questo delitto è uno sfregio alla Chiesa e alla
comunità orgolese». «Non buttiamo la croce addosso a Orgosolo, che la sua croce ce l'ha
già e la dovrà portare ancora. A noi orgolesi basterà la vergogna. Don Muntoni era di
una povertà assoluta, donava tutto. La sua uccisione è il segno allarmante che sta
accadendo nella società orgolese qualcosa ci sfugge, che non riusciamo a capire».
Padre Gianni Estienne e don Mario Ullucci, parroci delle
Grazie e San Domenico Savio in Nuoro
«Non c'è spiegazione a crimini come questo», afferma
padre Estienne. «Su don Muntoni all'improvviso si è scatenata una tempesta. Di fronte al
messaggio del Natale, di pace e di amore, questo gesto è una profanazione, un
sacrilegio».
E don Ullucci: «Tutta la Chiesa nuorese è in lutto. È
come se ognuno di noi avesse un morto in casa. Don Muntoni ha cercato di mutare una
realtà, parlando firmiter ac suaditer. Era evidentemente scomodo a qualcuno».
Don Pietro Puggioni, parroco della Cattedrale di Nuoro
«L'avevo incontrato - dice - pochi giorni fa. Era sereno
e affabile, come sempre. Viviamo in una Barbagia abbandonata a se stessa, allo sbando.
Anche la Chiesa deve far sì che questo prete non sia morto invano».
Francesco Mariani, sociologo e Direttore Radio
Barbagia
f.t.
NUORO - «La vita umana conta come il due di bastoni». Don Francesco Mariani, prete e
sociologo, riflette sul male della Barbagia e ha parole dure per una società sempre più
violenta. «Anni fa - ricorda - quando dissi in una trasmissione televisiva che in
Barbagia in taluni strati della popolazione non c'è rispetto per la vita in quanto tale,
e quindi il riconoscimento per la sacralità e la funzione dell'individuo, da molti fui
sbeffeggiato e le mie considerazioni vennero scambiate per una calunnia nei confronti
della terra in cui sono nato e che io amo quanto me stesso. Purtroppo quelle
considerazione non erano fatte né per dispetto, né per un eccesso di critica. Se
ragionaniamo con animo sgombro in molti strati della popolazione e in talune sacche
consistenti del mondo giovanile un atteggiamento del genere c'è. Noi in questi anni, e
non invento nulla, abbiamo assistito a omicidi fatti su commissione per due lire, a
omicidi per ragioni del tutto banali, a omicidi fatti per scherzo, a rapine, a estorsioni,
in nome del nulla. Non possiamo dimenticare che prima di don Graziano Muntoni, dai
violenti sono stati toccati bambini, donne, anziani. Qualunque regola di quello che era il
codice della vendetta barbaricina, deprecabile, ma che comunque era una regola, è
saltata. Abbiamo a che fare con un tasso di violenza, non solo per le cose che vengono
compiute, ma strutturale, nel modo di parlare, nel modo di pensare, di atteggiarsi e di
relazionarsi con gli altri che ha raggiunto un livello inaudito».
UNA violenza, secondo don Mariani, che ha responsabilità diffuse e che chiama in causa
anche il ruolo degli intellettuali: «Mi chiedo: le istituzioni, sos istudiados, quello
che è il ceto abilitato a dare un indirizzo, il segnale di un passo in avanti, davvero
questo cose le capisce, o invece non contribuisce a incancrenirle?».
Un'assenza civile, quella che descrive il direttore di Radio Barbagia, l'emittente
diocesana nuorese, dove la dissoluzione dei valori tradizionali ha subito una mutazione
che dell'originaria cultura ha conservato solo gli aspetti più deteriori. «C'è un humus
di disgregazione sociale, nei nostri paesi, la trama di rapporti è talmente precaria e
aleatoria che non resiste neppure più il concetto di parentela, di "famiglia
nazione" come una volta, ma è tutto quanto vissuto sull'onda dell'alea - prosegue
don Mariani - che ci si può aspettare di tutto da un momento all'altro e la violenza
scatta per una parola in più, per uno sguardo che sembra offensivo, per un mezzo sorriso
che uno prende come un'offesa. Se ti va bene ti mettono la bomba, se ti va male ti
picchiano, se proprio ti odiano ti uccidono».
Il processo della violenza in Barbagia, per Mariani, percorre un filo che lega un'antica
cultura a una società in crisi, cambiata in fretta e senza regole.
«I pastori - dice - erano, un tempo, lo strato sociale dominante nei paesi, sia dal punto
di vista numerico, sia dal punto di vista culturale, oggi non lo sono più dal punto di
vista numerico e quella cultura si è sciolta in tutto il corpo sociale. Quello che era la
logica del "noi pastori" è oggi la logica del "noi infermieri" del
"noi professori" del "noi artigiani", solo che sono venute meno le
coordinate e questa logica dei pastori si è sposata in molte frange in una serie di
illusione di incantesimi, che un marxista chiamerebbe dell'alienazione della persona. Il
nostro vescovo ha detto che si spara come ai videoganme, ed effettivamente è così, tutto
sembra una recita e non viene percepita la gravità degli atti che si compiono. Quando
sparare ai lampioni, agli uffici pubblici, ai cassonetti, diventa normale, allora che cosa
è anormale? Ecco perché non possiamo illuderci che se oggi mettono la bomba a un
sindaco, domani all'anziano del paese, un giorno, come è accaduto, non venga ucciso anche
un prete».
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