La nozione di peccato
è di natura essenzialmente teologica, cioè religiosa; in filosofia ed in diritto si
parla di male morale, di errore, di colpa, sempre e soltanto in
relazione alla ragione o ad una legge naturale o positiva, mentre il peccato,
teologicamente inteso, è propriamente errore, colpa, male morale, ma concepito come
libera e volontaria trasgressione, in pensieri, parole, opere o omissioni, della volontà
di Dio, di cui ogni legge è espressione.
E' celebre la
definizione di S. Agostino (Contra Faustum, XXII, 27), il quale, volendo porre in
rilievo la parte materiale del peccato, lo definì: «Dictum, factum vel concupitum contra
legem æternam», ovvero «parole, opere o desideri contro la legge eterna».
Qualsiasi atto
contrario alla legge divina, considerato oggettivamente, costituisce peccato, ma soggettivamente
la maggiore o minore imputabilità di esso a chi lo commette dipende da tre condizioni:
1. materia grave
2. piena avvertenza dell'illiceità dell'atto (conoscenza di una legge
che lo vieta)
3. perfetto e deliberato consenso della volontà
Per quanto riguarda
la gravità della materia del peccato, risulta chiaro che, ad esempio, rubare
50 Lire non sia lo stesso che rubarne 500.000.
Per la piena avvertenza, si intende la consapevolezza che un'azione sia
illecita. Così, pur dandosi la gravità della materia, non per questo si compie peccato
mortale. Ad esempio, se non si conosce l'esistenza del precetto festivo (assistere alla
Messa la domenica e le feste comandate), l'atto contrario al precetto non è un peccato
mortale.
Per il perfetto consenso, si intende la possibilità di scegliere
volontariamente di compiere un'azione peccaminosa. Così, ad esempio, non pecca colui che
viene obbligato contro volontà a porre un atto che egli sa essere illecito.
I peccati non si
oppongono tutti nello stesso modo alla legge terna ed alla retta ragione. Evidentemente,
in ben diverso modi vi si oppongono l'omicidio e lo stupro, la bestemmia e il furto,
l'incredulità e la disperazione. Se ne deduce che i peccati sono tra loro diversi
specificamente. Tale diversità specifica proviene anzitutto dalla diversità dell'oggetto
formale, cioè dalla diversità dell'oggetto considerato non secondo il loro essere
fisico, ma secondo il loro essere morale.
Per questo
l'omicidio, l'adulterio e il furto, ad esempio, anche se compiuti contro una medesima
persona, sono peccati materialmente, formalmente e specificamente diversi. La differenza
specifica è determinata dal fatto che i peccati si oppongono a virtù diverse (nel caso
in esempio, la carità la purezza e la giustizia) o diversi comandamenti (il 5°, il 6°
ed il 7°).
II. PECCATI MORTALI E
PECCATI VENIALI
Dal punto di vista
oggettivo come da quello soggettivo, non si possono porre su uno stesso piano di gravità
tutti gli atti; a seconda e nel grado in cui le varie condizioni concorrono all'esecuzione
di un determinato atto, questo può essere - secondo la divisione della teologia cattolica
- mortale o veniale.
Contro la dottrina di
molte sette protestanti, le quali non ammettono la divisione e ritengono i peccati
ugualmente gravi, il Concilio di Trento (Sess. VI, cap. 5 e 15, can. 23, 25 e 27) ha
definito come dottrina di fede che il peccato mortale ed il peccato veniale sono l'uno
dall'altro distinti per loro natura.
La differenza
fondamentale sta in questo: il peccato mortale comporta un disordine rispetto al fine
ultimo, cioè l'allontanamento da Dio comme sommo Bene; il peccato veniale invece comporta
un disordine solo circa i beni inferiori, dipendenti dal Bene supremo e ad esso
subordinati.
Il peccato mortale è
l'atto della volotnà con cui riportiamo il nostro ultimo fine nei beni finiti, al posto
di Dio medesimo; questo peccato pone chi lo compie in uno stato di ribellione a Dio e
perciò lo rende meritevole della pena eterna e della morte spirituale.
Il peccato veniale è
un atto della volontà con cui si amano in modo eccessivo i beni creati, ma senza
preferirli al loro Creatore né riporre in essi il proprio ultimo fine; esso non toglie la
Grazia ma affievolisce la carità, predisponendo a commettere il peccato mortale; comunque
è meritevole di venia, cioè di indulgenza, il che - ben inteso - non lo rende
assolutamente lecito.
I mezzi per evitare
il peccato sono:
1. la preghiera
2. la meditazione
3. l'esame di coscienza
4. la frequenza dei Sacramenti
5. lo spirito di penitenza e di mortificazione
6. la fuga delle occasioni
7. la vigilanza
I peccati, qualunque
sia la loro gravità ed il loro numero, possono essere rimessi:
1. con il Battesimo,
se l'individuo non è ancora battezzato e - se adulto - crede fermamente nella virtù dei
Sacramenti
2. con la Confessione
sacramentale, a patto che esista vero pentimento dei propri peccati e ferma volontà di
non più peccare
3. con il Martirio
per la fede
Il peccato mortale,
nel battezzato, può essere rimesso solo tramite la Confessione; il peccato
veniale viene cancellato anche da pratiche di pietà accompagnate da vero pentimento. Si
ricorda il famoso distico:
Confiteor,
tundo,
aspergor,
conteror,
oro,
signor,
edo,
dono;
per hæc venialia pono. |
Mi
confesso,
mi batto il petto,
mi segno con l'acqua benedetta,
mi dolgo,
prego,
mi faccio il segno della Croce,
ricevo la Comunione,
faccio l'elemosina;
per mezzo di questo cancello le colpe veniali. |
Si
dice che vi è peccato materiale in un atto cattivo commesso per inavvertenza o
ignoranza non colpevole, senza partecipazione della libera volontà.
Si dice che vi è peccato formale, quando è commesso con conoscenza e libertà, e questo solo è
imputabile a colpa.
Come si vede, la sede
del peccato sta nella libera volontà; questa però, senza cessare di essere libera, può
essere mossa da altre cause, dette impulsive, cioè quelle che in linguaggio
teologico si dicono tentazioni e che sono eccitate in noi o dal mondo (l'ambiente
corrotto), o dalla carne (le passioni) o dal demonio.
III. ALTRE DIVISIONI DEL
PECCATO
Il peccato attuale è l'atto in sé, volontariamente commesso contro la volotnà di
Dio.
Il peccato abituale è lo stato dell'anima in cui si trova l'uomo quando è privo, a
causa del peccato, della Grazia santificante.
Il peccato può
essere contro Dio (sacrilegio, bestemmia), contro il prossimo (furto, omicidio, ingiuria) e contro se stessi (negligenza nella ricerca della salvezza eterna).
Il peccato può
essere di fragilità (dovuto alla debolezza umana) o di malizia (commessi con la libera determinazione della volontà perversa).
Distinzione
importante, è quella tra il peccato
personale (commesso dall'individuo) e
il peccato originale (commesso dai nostri progenitori all'inizio
dell'umanità e trasmesso poi con la generazione a tutti i loro discendenti).
IV. I PECCATI PIU' GRAVI
Vi sono alcuni
peccati particolarmente gravi: tra questi vi sono quelli contro lo Spirito Santo, cioè opposti alla Grazia dello Spirito Santo; essi sono più difficilment
rimessi di altri, perché per loro natura escludono le disposizioni dell'anima che la
rendono suscettibile della remissione.
Essi sono:
1. disperazione della
salvezza eterna
2. presunzione di salvarsi senza merito
3. impugnare la verità conosciuta
4. invidia della grazia altrui
5. ostinazione nei peccati
6. impenitenza finale
Altra classe di
peccati gravi sono quelli che gridano
vendetta al cospetto di Dio per la
loro straordinaria malizia:
1.
omicidio volontario
2. peccato carnale contro natura
3. oppressione dei poveri
4. defraudare della mercede gli operai
V. IL PECCATO ORIGINALE
Come detto, il
peccato originale è quello commesso dai nostri progenitori all'inizio dell'umanità e
trasmesso poi con la generazione a tutti i loro discendenti.
Per quanto riguarda i
progenitori, si parla di peccato
originale originante. Rispetto ai
discendenti, si parla di peccato
originale originato.
Il primo (cfr. Genesi,
III) fu compiuto da Adamo ed Eva, creati con la Grazia santificante ed arricchiti di doni
preternaturali, nel giardino dell'Eden: essi mangiarono - contro il divieto posto da Dio -
il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, su tentazione del demonio.
Il Concilio
Tridentino enumera le conseguenze del peccato originale:
1. Adamo ed Eva
persero i doni soprannaturali (Grazia e virtù infuse)
2. persero i doni preternaturali (integrità)
3. incorsero nell'ira e nello sdegno di Dio
4. furono resi schiavi di Satana e passibili perciò della pena eterna
5. furono infine vulnerati e in deterius commutati, sia riguardo all'anima che al
corpo, nel senso che fu infranta la prima armonia per cui le facoltà inferiori obbedivano
alle superiori, e queste a Dio.
Adamo, come capo di
tutta l'umanità, danneggiò non solo se stesso, ma a tutti i suoi discendenti; egli
perdette anche per essi la Grazia e la santità in cui era stato creato e ad essi pure
trasmise il reato di colpa per cui tutti nascono in peccato. Di qui il nome di peccato originale,
perché si contrae nella nostra stessa origine, senza alcuna volontaria e personale
cooperazione. Alla stessa maniera, se Adamo non avesse peccato, avrebbe trasmesso a tutta
la sua posterità i doni soprannaturali e preternaturali di cui Dio l'aveva arricchito.
Il peccato originale è
dogma di fede definito da numerosi Concili,
specialmente dal Concilio di Orange (529) e dal Tridentino.
Tale verità risulta dalla Scrittura e dalla Tradizione
e non può essere negata da nessun cattolico
senza porsi fuori della Chiesa.
VI. IL PECCATO OGGI
Secondo Pio XII, «il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso
del peccato». Perduto o laicizzato: essi possono avere ancora il senso della
colpa, un complesso di colpevolezza, ma non più il vero senso del peccato. Perciò
bisogna ritrovare il vero senso di Dio e dell'uomo, della creatura davanti al suo
Creatore; il peccato non è una semplice mancanza,: è una ribellione a Dio stesso, è
porre i beni transitori prima o al posto del Bene ultimo, che è Dio; anche la contrizione
è ben altra dal semplice dispetto di aver compiuto qualcosa di irregolare.
Bisogna tornare a concepire il
peccato nel suo senso teologico di offesa a Dio, il che suppone una retta
conoscenza della psicologia del peccatore e della sua vera responsabilità.