Sembra assurdo ma e' cosi': non sempre nuove scoperte e ritrovamenti archeologici sono accettati con la dovuta serenita' e vagliati con il necessario rigore scientifico dagli esperti.
Invece che salutare con entusiamo la consegna alla Soprintendenza Archeologica un reperto che al contrario rischiava di essere venduto nel solito mercato clandestino illegale, si preferisce minimizzare la portata del ritrovamento o addirittura arrivare ad insinuare che sia stato artefatto.
Certo risentimenti e gelosie possono essere comprensibili anche in questo campo, ma mai dovrebbero prevalere sull' interesse alla conoscenza e al rigore scientifico.
L' appassionate storia della tavoletta in bronzo del Sinis, affascinante terra ricca di siti archeologici della Sardegna centro occidentale (Italia), nasce nel 1996 quando due studiosi oristanesi Gianni Atzori e Gigi Sanna mettono nella prima pagina del loro storia della letteratura sarda "Lingua " (edito da Castello) una foto di una misteriosa tavoletta .
Si tratta di una foto di un calco di un ritrovamento avvenuto nel Sinis di Cabras.
Dell' originale pero' non c'e' malauguratamente nessuna traccia .
Nel frattempo ancora Atzori e Sanna, sembre basandosi sulla foto a loro pervenuta, e non purtroppo sul reperto originale, pubblicano un secondo libro," Omines", interamente dedicato alla tavoletta in bronzo che viene accuratamente studiata e comparata con gli anolghi piu' noti ritrovamenti del mediterraneo di iscrizioni e antropomorfi.
Conclusione dello studio comparato : la tavoletta e' un sigillo reale di tipo funerario, databile tar il XIV e il XII sec. a.C..
La sua eccezionalita' e' data dal fatto che si tratta del primo ritrovamento in Sardegna, che connota una vera e propria scrittura nuragica, una scrittura cuneiforme di tipo ugaritico, proveniente cioe' dall' antica citta di Ugarit, in Siria.
E ,sempre secondo gli studiosi oristanesi, il reperto bronzeo presenta anche alcuni caratteri protosinaitici, protopalestinesi e fenici che attestano un contatto diretto tra la civilta Nuragica dei Sardi e le culture orientali.
Nostante la pubblicazione dello studio , plurime presentazioni in pubblico, ufficialmente l'archeologia ufficiale non si sbilancia.
No comment, sembra essere la parola d'ordine ufficiale degli accademici e dura per piu' di due anni.
Le cose improvvisamente e radicalmente cambiano il 19 giugno 1998.
In quella data avviene una sorta di terremoto per l'archeologia sarda: un giovane agricoltore di Cabras, Andrea Porcu, 26 anni, consegna al prof. Raimondo Zucca la famosa tavoletta bronzea, gia' pubblicata nelle foto dei calchi, in originale.
Il reperto c'e' e inizia subito a scottare .
Anziche' usare un minimo di cautela o prudenza la reazione del curatore del Museo di Oristano, che ha ricevuto formalmente la tavoletta, e' scomposta ed emotiva. Bastano pochi minuti e il reperto che fa crollare i testi sacri della storia antica dell' isola, viene fatto diventare una sorta di patacca costruita ad arte.
<< Deve formularsi ogni dubbio -ha dichiarato ufficialmente a tutti gli organi d'informazione il docente univeristario- sull'origine e sulla cronologia dell' oggetto costituente un ' mostrum' tipologico e caratterizzato da una differenza di patina tra il diritto ( recante i segni) e il rovescio, cosi' da autorizzare l'ipotesi di un intervento secondario per la realizzazione dei segni stessi.>>
Dunque meglio dichiarare che la tavoletta e' falsa piuttosto che serenamente ammettere l'esistenza di una comunicazione, con una propria definita scrittura, della civilta' nuragica .Ipotesi sempre esclusa ufficialmente.
In sostanza, secondo il prof. Zucca percio', ma probabilmente anche per qualcuno con posizione piu' elevata (solo in gerarchia accademica), l' agricoltore di Cabras, Andrea Porcu, che a suo rischio e pericolo si e' assunto la responsabilita' del ritrovamento, ha scherzato e si sarebbe clamorosamente inventato tutto senza motivo.
E percio', sempre secondo queste sconcertanti dichiarazioni ufficiali di Raimondo Zucca, gli studiosi Gianni Atzori e Gigi Sanna non sarebbero altro che dei volgari pataccari.
Tutto cio' e' veramente molto triste e ovviamente l'unica conseguenza diretta di questo atteggiamento e' che quando qualcuno a Cabras nuovamente trovera' dei reperti, ovviamente per non passare per scemo e falsario, preferira' consegnarli furtivamente ancora a qualche miliardario continentale piuttosto che alla Soprintendenza archeologica.
Come potra' sentirsi infatti chi ha aspettato cosi' tanto tempo, circa due anni, forse con tanta titubanza, per consegnare , come prevede la legge, quanto casualmente trovato in campagna?
Comportarsi bene con le istituzioni sembra proprio inutile e tanto meno conveniente. Di fatto viene cosi ad essere incentivato oggi , con questo incredibile episodio della tavoletta che svilisce e insulta chi vuole collaborare con la Soprintendenza, proprio il commercio illegale di reperti archeologici che si dice di voler combattere.
Il rischio concreto pero' stavolta e' anche un altro, ma altrettanto grave e irresponsabile: l'accantonamento di un reperto dal valore incredibile per qualche nuovo millennio , magari in qualche scantinato buio e pieno di ragnatele di museo.
Il motivo ? E' diventato incredibilmente scomodo a qualcuno.