Il liberalismo
Esiste una "questione liberale" all'interno della società italiana contemporanea - ma anche nelle altre nazioni occidentali - dovuta soprattutto alla necessità di descrivere le caratteristiche del liberalismo dopo la caduta del Muro di Berlino e la metamorfosi dell'ideologia socialcomunista, considerata dall'opinione pubblica come l'antagonista storica del liberalismo nel corso del secolo XX.
La questione ha una particolare rilevanza in Italia, in seguito alla costituzione del Polo delle Libertà e del Buon Governo poche settimane prima delle elezioni del 27 marzo 1994, in quanto nel Polo convivono forze politiche che si richiamano esplicitamente al liberalismo (Forza Italia e riformatori) e al cattolicesimo liberale (Centro Cristiano Democratico).
Inoltre, la questione ha una rilevanza politica generale considerando che anche le forze politiche progressiste ambiscono a definirsi liberali - come ultimamente ha fatto, per esempio, il segretario del PDS Massimo D'Alema - nella convinzione che la vittoria elettorale si ottenga occupando il centro dello schieramento politico, dove si conquisterebbero i voti moderati o liberali.
E qui si trova un primo equivoco largamente presente nell'opinione pubblica: l'equivalenza fra liberalismo e moderazione, per cui i liberali sarebbero coloro che hanno un atteggiamento equilibrato rispetto ai problemi politici, in contrasto con gli estremisti di destra (fascisti) o di sinistra (comunisti). L'equivoco consiste nel confondere un'ideologia, il liberalismo, con una virtù, la moderazione, e viene moltiplicato dal frequente uso equivalente dei due termini da parte del fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
Un secondo accorgimento per evitare la confusione dovrebbe arrivare da una definizione di liberalismo, compito peraltro non facile perché, come ha scritto un uomo politico senz'altro liberale come Valerio Zanone, "esistono molti e diversi modi di essere liberale", per cui il politologo Giovanni Sartori ha potuto scrivere che "un liberale americano non sarebbe chiamato liberale in nessun paese europeo; lo chiameremmo un radicale di sinistra. Viceversa, un liberale italiano negli Stati Uniti sarebbe definito un conservatore".
Tuttavia, al di là dell'obbiettiva difficoltà di collocare politicamente la posizione liberale, che era rivoluzionaria o di sinistra alla sua origine, nel Settecento, contro l'Antico Regime, e che si è spostata a destra o al centro quando la sinistra è stata occupata dalle forze socialiste o comuniste, rimane la possibilità di trovare nell'ideologia liberale qualcosa che la definisca comunque e ovunque. Anche perchè, se questo tentativo non venisse fatto, si legherebbe la "questione liberale" a una inutile discussione terminologica relativa alla collocazione politica dei liberali, assolutamente secondaria e priva di rilievo per la vita di un popolo.
Sempre Valerio Zanone, nel saggio sul liberalismo moderno comparso nella Storia delle idee politiche, economiche e sociali diretta da Luigi Firpo, aiuta a individuare i connotati fondanti l'ideologia liberale nella libertà slegata dalla verità e assunta a livello di religione, e nella ragione che si oppone alla metafisica, inaugurando così il moderno relativismo. Questa connotazione è sicuramente esatta almeno per quella forma di liberalismo che si può direttamente riallacciare ai princìpi della Rivoluzione francese e che fu l'artefice delle Rivoluzioni nazionalistiche del secolo XIX nel continente europeo. L'aspetto nazionalistico, soprattutto in Italia, appare dominante, ma se ben si osserva l'opera legislativa dei governi successivi all'unificazione italiana, si può facilmente riconoscerne l'impronta liberale, cioè relativistica, che da un punto di vista storico e politico si traduceva in quell'epoca nello smantellamento degli istituti e delle consuetudini naturali e cristiane del paese.
Il liberalismo anglosassone
Certamente esiste anche un'altro liberalismo, di derivazione anglosassone, che annovera fra i suoi principali esponenti intellettuali lo studioso austriaco Friedrich August von Hayek (1899-1992) e che viene più frequentemente definito con il termine di liberismo, per indicare l'antistatalismo della sua politica economica.
Il liberismo viene generalmente identificato, da un punto di vista della politica contemporanea, con il governo guidato da Margaret Thachter in Inghilterra e con le due successive elezioni di Ronald Reagan alla presidenza della Repubblica americana.
Questo diverso modo di essere liberali ha avuto poco seguito in Italia, sia a livello politico che intellettuale, fino alla decisione di Silvio Berlusconi di dedicarsi alla vita politica e alla conseguente nascita di Forza Italia, che annovera, fra altri suoi esponenti, un liberista da sempre come l'economista Antonio Martino, che è stato anche ministro degli Esteri nel governo Berlusconi.
Il fondatore di Forza Italia infatti ama definirsi liberale, ma il suo liberalismo è sempre stato anticomunista, fino ad allearsi con la destra nazionale e con forze uscite a destra dalla DC; tuttavia è sempre il suo liberalismo a portarlo ad allearsi anche con i radicali di Marco Pannella.
Anche se un'indagine sulle caratteristiche del liberalismo di Forza Italia non è ancora stata fatta in modo approfondito, è indubbio che il liberalismo di questa forza politica sembra aver poco a che vedere con quello che guarda alla Rivoluzione francese come alla propria origine. Non a caso l'Associazione del Buongoverno - fondata da Marcello dell'Utri, da Giuliano Urbani e da altri esponenti di spicco di Forza Italia, e che credo dovrebbe rappresentare il "pensatoio" del movimento di Berlusconi - ha pubblicato come suo primo quaderno, nel luglio 1994, un testo di Hayek intitolato appunto Liberalismo, con una presentazione di Giuliano Urbani.
In questo testo Hayek distingue radicalmente il liberalismo anglosassone - nato alla fine del XVII secolo e rappresentato, in Inghilterra, da David Hume, Adamo Smith, Edmund Burke (che non a caso sarà il primo critico integrale della Rivoluzione francese), Thomas B. Macaulay e Lord Acton - da quello continentale, fondato sul razionalismo costruttivistico e legato a intellettuali come Voltaire, Condorcet e Rousseau. Le due forme di liberalismo si fondano, secondo Hayek, su due concezioni filosofiche diverse: la prima, quella anglossassone, "poggia su una interpretazione evoluzionistica di tutti i fenomeni della cultura e dello spirito e sulla visione dei limitati poteri della ragione umana. La seconda si basa su ciò che è chiamato razionalismo "costruttivistico" , una concezione che tende a considerare tutti i fenomeni culturali come il prodotto di un preciso disegno, e sulla fiducia che sia possibile e desiderabile ricostruire conformemente ad un piano determinato ogni istituzione storica. La prima forma, di conseguenza, rispetta la tradizione e riconosce che ogni conoscenza e ogni civiltà riposano sulla tradizione, mentre il secondo tipo la disprezza poiché ritiene che un ragionamento sia di per se stesso in grado di esprimere una civiltà. (Si pensi all'asserzione di Voltaire: "Se volete buone leggi, bruciate quelle che avete e datevene di nuove"). Il primo è dunque una dottrina essenzialmente modesta, che fa affidamento sull'astrazione come un unico mezzo disponibile per ampliare il potere limitato della ragione, mentre il secondo rifiuta di riconoscere qualunque limite di questo tipo, e ritiene che la sola ragione possa provare la desiderabilità di particolari disposizioni concrete.
(Un risultato di questa differenza è che il liberalismo della prima forma è perlomeno non incompatibile con le credenze religiose e spesso è stato sostenuto e persino sviluppato da uomini con una fede religiosa molto salda, mentre il liberalismo di tipo "continentale" è stato spesso contrario a tutte le religioni e politicamente in costante conflitto con le religioni organizzate)".
Il liberalismo in Italia
Ripercorrendo la storia intellettuale dell'Occidente, sempre seguendo lo studio di Valerio Zanone, è possibile trovare nell'umanesimo rinascimentale e nel razionalismo cartesiano alcune delle posizioni anticipatrici e poi riprese dal pensiero liberale, quindi "esploso" a livello popolare con la capillare propaganda del movimento illuminista e diventato "regime" con la Rivoluzione del 1789, successivamente esportata anche nel nostro paese, dove si sposerà con l'idea di nazione dando vita al Risorgimento o Rivoluzione italiana.
Fra i primi promotori della Rivoluzione italiana troviamo il gruppo di intellettuali che daranno vita, nel 1818, alla rivista Il Conciliatore: fra di essi vi sono Porro Lambertenghi, Silvio Pellico, Federico Confalonieri, Giandomenico Romagnosi, Giovanni Berchet. Essi si ispirano al Romanticismo, che in Italia non sarà tanto anti-illuministico quanto contrario al classicismo e che esalterà il Medioevo italiano come epoca degli albori della tradizione nazionale, usandolo quindi in chiave anti-austriaca. L'esperimento de Il Conciliatore sarà seguito da un altro gruppo di intellettuali riuniti a Firenze attorno alla rivista L'Antologia, fondata nel 1821 da Gian Pietro Viesseux (1779-1863), un borghese di religione protestante di famiglia ginevrina trasferitasi in Toscana, culturalmente illuminista, che ebbe come principali collaboratori il marchese Gino Capponi, Cosimo Ridolfi e il sacerdote di idee liberali Raffaello Lambruschini.
Questo gruppo, unitamente ad alcuni cattolici come Alessandro Manzoni chiamati neo-guelfi, costituirà la componemte liberal-moderata della Rivoluzione italiana, erede dei riformisti del Settecento e dell'ambiente moderato che appoggiò i governi napoleonici in Italia dal 1796 al 1815. Nelle società segrete, molto diffuse negli anni della Restaurazione, incontreranno la componente democratica della Rivoluzione italiana, quella derivante dal giacobinismo diffuso soprattutto nel triennio rivoluzionario (1796-1799) e che verrà tenuta viva soprattutto attraverso l'azione settaria e clandestina di Filippo Buonarroti e dei suoi seguaci. Questa distinzione fra moderati e democratici sarà all'origine della classica divisione, negli artefici della Rivoluzione, fra la componente estremista, rappresentata da Giuseppe Garibaldi e da Giuseppe Mazzini, e quella moderata, identificata negli altri due "padri della Patria", Camillo Benso conte di Cavour e il re Vittorio Emanuele II.
Liberale sarà poi indistintamente tutta la classe dirigente post-unitaria, che manterrà la distinzione fra moderati (la destra storica) e democratici (la sinistra al potere dopo il 1876), peraltro in modo sempre più sfumato.
Nel 1898, il movimento liberale subirà una significativa divisione di fronte alla scelta se allearsi con i cattolici in funzione antisocialista (dalla quale sarebbe nato il clerico-moderatismo e il Patto Gentiloni del 1913) oppure se continuare a combattere sui due fronti, contro il movimento cattolico e contro quello socialista. La prima scelta, compiuta da Giovanni Giolitti, comporterà la rinuncia ai connotati anticattolici del liberalismo risorgimentale, l'introduzione del suffragio universale alle elezioni e molte concessioni alle richieste di socialisti e cattolici per migliorare la condizione sociale di operai e contadini: sarà una scelta non ideologica, conservatrice e vicina agli interessi reali della popolazione, molto simile a quella dei liberali che nelle elezioni del 27 marzo 1994 hanno dato vita al Polo delle libertà, anche se la differenza fra Giovanni Giolitti e Silvio Berlusconi è enorme. Meno netto è forse ciò che distingue il direttore del Corriere della Sera di allora, Luigi Albertini, principale oppositore liberale alla scelta di Giolitti e soprattutto al Patto Gentiloni, da Eugenio Scalfari, attuale direttore de la Repubblica e uno dei principali nemici della scelta conservatrice di molti liberali alle elezioni del 1994.
Molti liberali trovarono un modus vivendi con il regime fascista - entrando o rimanendo nell'apparato dello Stato o collaborando nella vita civile e economica - anche se il principale intellettuale liberale, Benedetto Croce, rappresentò per tutto il ventennio una sorta di opposizione morale e intellettuale accettata dal fascismo, a differenza dell'altro "grande" intellettuale di scuola liberale, Giovanni Gentile, che partecipò direttamente alla costruzione ideologica e politica del fascismo.
Proprio Benedetto Croce, dopo la caduta del regime fascista, sarà il punto di riferimento del ricostituito movimento liberale e sarà anche il primo Presidente del PLI, eletto dal primo Congresso del partito tenuto a Roma dal 29 aprile al 3 maggio 1946, il terzo della storia contando quelli svoltosi prima dell'instaurazione del regime fascista.
Il Partito Liberale Italiano (PLI)
Il PLI non svolgerà mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, né dal punto di vista intellettuale - con la rilevante eccezione della rivista della sinistra liberale Il Mondo, diretta da Mario Panunzio, che dal 1949 rappresenterà un punto di riferimento del laicismo nazionale - nè dal punto di vista politico, non raggiungendo mai la quota del 10% dei voti espressi. Affiancherà la DC e gli altri partiti di centro nei governi centristi successivi alle elezioni del 18 aprile 1948, occupando la posizione più conservatrice nella compagine governativa, ma soltanto per l'aspetto economico.
Infatti, per quanto riguarda i principi fondamentali della convivenza civile (vita, famiglia, religione), i liberali saranno spesso all'avanguardia nell'opera di scristianizzazione del paese, anche dopo la scissione del 1955, quando alcuni liberali, fra cui Eugenio Scalfari, lasceranno il PLI per fondare il partito radicale, certamente su posizioni più laiciste. Fin dal luglio 1967, il Consiglio Nazionale del partito approverà un odg favorevole all'introduzione del divorzio nell'ordinamento italiano e sarà naturalmente schierato contro l'abrogazione referendaria (1974) della legge Fortuna-Baslini che aveva introdotto il divorzio ( )
Come già era accaduto nel 1898, il movimento liberale si spaccherà in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994, dopo che Tangentopoli aveva duramente colpito la credibilità del PLI attraverso l'incriminazione del ministro alla Sanità De Lorenzo e dell'ultimo segretario del partito Altissimo: fra i progressisti si schiereranno alcuni uomini del PLI, come Valerio Zanone, mentre entreranno in Forza Italia Antonio Martino, figlio del ministro liberale degli anni Cinquanta, prima all'Istruzione e poi agli Esteri, e l'attuale Presidente del Senato, Carlo Scognamiglio, rettore della LUISS e Alfredo Biondi. Il deputato e ministro liberale Raffaele Costa costituirà invece l'Unione di Centro ed entrerà a far parte del Polo delle Libertà.
Per approfondire
De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Feltrinelli, Milano
Carlo Vallauri, I partiti italiani da De Gasperi a Berlusconi, Gangemi editore, Roma 1994.