TECNICA E SVILUPPO POLITICO:
LA TECNOCRAZIA
Riassunto della comunicazione letta al Congresso "Tecnica e umanesimo", Madrid, C.S.I.C., il 13 aprile 1977, pubblicata in "Mas sobre temas de hoy", Speiro 1979
Il dizionario ci offre tre significati del termine tecnica, che possono essere messi in relazione con la politica:
- insieme di conoscenze delle quali si serve la scienza politica con finalità operativa;
- insieme di procedimenti e risorse inclusi nell’arte della politica;
- la perizia e abilità di una persona [tecnocrate?] nell’uso di quei procedimenti e risorse in politica.
Secondo lo stesso dizionario, sviluppo è azione o effetto di accrescere che, a sua volta, significa "accrescere o dare incremento a una cosa" oppure portare una teoria alle sue ultime conseguenze.
Messi in relazione questi significati, si stabilisce qual’è il significato dello sviluppo o crescita che la tecnica, appoggiata alla scienza operativa e applicata all’arte della politica, vorrebbe in estensione e intensità, del potere dello Stato. Ma ciò è
- per reggere maggiormente e meglio, e con quale criterio, gli affari pubblici?
- oppure per il raggiungimento ed il mantenimento del potere scientifico?
a) un cambio di prospettiva che cessa di contemplare il mondo nella sua universalità, come un ordine dinamico insito nella sua creazione, per osservare le cose e i loro fenomeni solo singolarmente, in modo empirico e limitatamente al campo delle scienze fisiche.
b) un cambiamento della situazione dal punto di vista dell’uomo che osserva la natura: non già dal di dentro per trasparenza, come formando parte della medesima, bensì dal di fuori, collocando la res cogitans come osservatrice della res extensa, mera materia, a cui è ridotta la natura.
c) Una conseguente disintegrazione di spirito e materia: l’intelligenza è devitalizzata, autoalimentandosi, a partire dal cogito ergo sum; la natura, ridotta all’aspetto materiale e bruto, senza anima nè intelligenza, resta mutilata delle sue cause formali e finali, delle qualità non misurabili e dei legami umani naturali, per cui l’uomo è visto solo come essere isolato, astorico e astratto.
d) Una modifica dello stesso concetto di scienza e dei suoi obiettivi (concretatasi nell’empirismo sperimentale), che prende un atteggiamento non ricettivo, poichè si tratta solo di indagare ciò che interessa dal punto di vista operativo, al fine di creare un mondo artificiale prodotto dal pensiero umano.
e) Da qui, la svolta copernicana di Kant; l’Ego di Fichte (che crea il mondo del senso e dell’intendimento nelle nostre menti e per le nostre menti, a loro volta, assorbite nella Una-Eterna-Volontà Infinita dello Stato), e la affermazione di Marx secondo cui non si tratta di conoscere il mondo ma di cambiarlo.
Così la scienza politica ha cessato di essere theoria in senso stretto, per trasformarsi in una poiesis che, prima fabbrica mentalmente un modello ideale, e poi, studia come metterlo in pratica e che tecniche devono adoperarsi allo scopo.
Conseguentemente, l’arte della politica si trasforma in una praxis, guidata da quella poiesis, che realizza un’opera razionalizzatrice e quantificatrice, la quale determina una nuova concezione della azione politica che si traduce in un facere strutturale di una nuova società e, anche, di un uomo nuovo, conforme al modello proposto, che inevitabilmente produce:
- una operatività - razionalizzatrice e quantificatrice - dello Stato rispetto alla società, che si estende a tutti gli ambiti e che tende a condurlo al totalitarismo;
- la massificazione sociale, oggetto di quella operatività diretta alla omogeneizzazione, alla liberazione dai vecchi legami e al superamento dello stato di necessità.
II. Frutto della sostituzione della metafisica da parte della scienza operativa, guidato da un idealismo o dall’altro (confesso o meno), la tecnica, come insieme di processi e strumenti che vengono inclusi nell’arte della politica, determina una nuova concezione dell’azione politica, trasformata in tecnica razionalizzatrice e quantificatrice conformemente al modello proposto.
Lo Stato si trasforma in "un artefatto strumentale", in "un vasto e complesso meccanismo utilitario", che sradica gli individui dai loro vincoli naturali, li rende uniformi, convertendoli in amministrati e assicurati sociali, e conduce a un nuovo totalitarismo, intravisto già un secolo fa da Tocqueville, profetizzato da Adolf Huxley e descritto nell’attuale modello svedese da Roland Huntford, in una società di massa intravista da Ortega y Gasset.
Questa prassi razionalizzatrice, svolta mediante la quantificazione, produce nello Stato il sorgere di una nuova classe: la tecnocrazia, capace di utilizzare i migliori progressi tecnici per pianificare centralmente tutte le attività sociali, e che suppone una concezione ideologica del mondo che ammette la meccanizzazione diretta centralmente da alcuni cervelli capaci di darle impulso nel modo più efficiente:
- preparando la coscienza collettiva, e
- smontando la realtà, pezzo per pezzo, per ricostruirla conformemente al modello prefabbricato.
Le conseguenze principali prodotte a causa di questa attitudine sono costituite, oggi:
- dalla qualificata ribellione delle cose;
- dal deterioramento individuale e sociale;
- dalla minaccia di un totalitarismo mai immaginato, poichè, come ha riconosciuto il Presidente Georges Pompidou:
"... l’uomo si trova dotato, a causa delle sue scoperte scientifiche, di un potere di azione sugli elementi, certamente, ma anche sull’uomo; potere assolutamente nuovo e smisurato, che, nell’essenziale, si concentra nella mani di uno Stato e di una amministrazione che inquadrano gli individui, li collocano in schede perforate, domani saranno identificati da un numero, determinando la progressione del livello di vita, le attività desiderabili e il loro reparto geografico, prendendo in carico l’educazione, l’istruzione, la formazione professionale, e, molto presto, il dovere e il diritto alla procreazione...".
E’ questo il nodo gordiano che è necessario tagliare.