Intervista con il dottor Rudolf Ehmann
Il composto RU 486 e il mito della "pillola"
Articolo apparso sul n. 169 di Cristianità

Nel dicembre del 1988 l'ARGE Art. 1 GG - Arbeitsgemeinschaft Artikel 1 Grundgesetz, il Gruppo di Lavoro Articolo 1 della Costituzione, un'associazione per la difesa del diritto alla vita nella Repubblica Federale di Germania - ha reso pubblico un documento sulla contraccezione ormonale, cioè sulla cosiddetta "pillola", e sul nuovo composto farmaceutico siglato RU 486. Nel marzo del 1989, in occasione di una riunione del direttivo dell'Associazione dei Medici Cattolici Svizzeri a Stans, nella Svizzera tedesca, ne tratto con il dottor Rudolf Ehmann, primario del reparto di ginecologia del locale ospedale cantonale, e autore della parte scientifica del documento stesso. Nato ad Augusta, nella Repubblica Federale di Germania, il 1° gennaio 1942, il dottor Rudolf Ehmann ha studiato presso le università di Monaco di Baviera, di Friburgo e di Berna, e si è specializzato in ginecologia presso l'ospedale cantonale di Olten, sempre nella Svizzera tedesca, quindi presso la clinica ginecologica dell'Università di Basilea. Successivamente è stato aiuto all'ospedale cantonale di Sciaffusa e - come ho già ricordato - dal 1° gennaio 1984 è primario del reparto di ginecologia e di ostetricia nell'ospedale cantonale di Nidwalden, a Stans. Vicepresidente dell'Associazione dei Medici Svizzeri per il Rispetto della Vita, egli fa parte della direzione della World Federation of Doctors who Respect Human Life, ed è membro del direttivo dell'Associazione dei Medici Cattolici Svizzeri. Da anni si dedica allo studio dei problemi relativi alla bioetica, alla medicina della riproduzione e alla regolazione delle nascite, soprattutto per quanto riguarda i suoi metodi, i suoi effetti principali e quelli collaterali, con particolare attenzione ai contraccettivi ormonali e ai diaframmi intrauterini o IUD.

D. In quanto redattore della parte scientifica del documento reso pubblico dall'ARGE Art. 1 GG, la prego di esporre le ragioni di questa presa di posizione.

R. I Laboratori Roussel Uclaf hanno prodotto una nuova sostanza chimica, il RU 486 o mifepristone, capace di bloccare il progesterone, cioè l'ormone della gravidanza. L'assunzione del RU 486 nelle prime settimane di gravidanza può provocare l'aborto in una percentuale elevata di casi. Per accrescerne l'efficacia viene associato a una prostaglandina, così l'aborto può avvenire circa nel 95% dei casi.

D. L'interruzione di gravidanza è depenalizzata o legale in molti paesi. Le statistiche riportano cifre crescenti di aborti: cosa può cambiare con l'immissione sul mercato del RU 486?

R. L'interruzione di gravidanza è un intervento chirurgico-ginecologico che richiede specifiche conoscenze tecniche e comporta un certo rischio, per cui deve essere praticato da medici e in ambiente sanitario. Inoltre, la legislazione di diversi paesi depenalizza esplicitamente l'aborto solo in presenza di determinate indicazioni e quando venga praticato da medici autorizzati oppure in strutture mediche riconosciute. Con il RU 486 l'interruzione di gravidanza viene indotta dalla semplice assunzione di una pillola , rendendone così praticamente impossibile il controllo da parte dell'autorità competente. Già oggi il controllo delle interruzioni di gravidanza è molto difficile. Per esempio, i controlli effettuati in certe zone della Repubblica Federale di Germania hanno dimostrato che il numero degli aborti fatturati alle casse mutue era molto superiore a quello degli aborti denunciati alle autorità sanitarie, per cui vi sono stati medici che non hanno ottemperato all'obbligo di comunicare gli aborti praticati, e questo fatto - fra l'altro - mette in dubbio l'attendibilità delle statistiche ufficiali. L'introduzione del RU 486 riduce l'interruzione di gravidanza all'assunzione di una pillola e quindi consentirebbe di eludere ancor più facilmente le disposizioni di legge, vanificandone in ultima analisi ogni regolamentazione legale. Inoltre, sempre allo scopo di sottrarsi a ogni regolamentazione legale, si può facilmente prevedere lo sviluppo di un fiorente mercato nero. Un tale sviluppo potrebbe avere conseguenze anche per la salute delle donne che ne fanno uso, in quanto l'aborto con il RU 486 non è privo di rischi: infatti, in un certo numero di casi esso è accompagnato da una grave emorragia. Inoltre, nei casi in cui l'assunzione del RU 486 non provoca l'aborto, aumenta il rischio di malformazioni nel nascituro.

D. Nel documento si mette in relazione il RU 486 con la pillola, ma il nesso non è assolutamente evidente. Di solito, infatti, la pillola viene presentata come il metodo contraccettivo più sicuro, quando non come il metodo sicuro per eccellenza. In base a queste informazioni si potrebbe pensare che proprio una diffusione capillare della pillola potrebbe evitare gravidanze indesiderate e quindi rendere superflue le interruzioni di gravidanza, con i metodi consueti oppure con il nuovo RU 486.

R. Effettivamente la pillola viene presentata come il metodo contraccettivo più sicuro, ma il problema della sicurezza deve essere affrontato in modo articolato. Infatti, già parlare di sicurezza della pillola è impreciso perché non esiste la pillola, ma esistono diversi preparati che differiscono per numero e per quantità di ormoni contenuti, e questo influenza in modo determinante il loro potere contraccettivo. Per esempio, il medico olandese P. Wibaut ha calcolato che, con i preparati monofasici con più di 0,05 mg. di etinilestradiolo, si verifica una percentuale di "insuccessi" dello 0,51%, e che questa percentuale sale allo 0,67% con preparati contenenti meno di 0,05 mg. di etinilestradiolo, al 3,7% con alcuni preparati bifasici, e addirittura al 13,7 % con le cosiddette " minipillole".

D. Come mai vengono prescritti preparati a basso dosaggio ormonale a scapito della sicurezza contraccettiva?

R. L'alto contenuto di estrogeni della pillola della prima generazione non provocava soltanto un'inibizione quasi totale dell'ovulazione, da cui è derivato il mito della sicurezza, ma comportava anche gravi effetti collaterali. Nelle pillole dell'ultima generazione è stato abbassato il contenuto di estrogeni, e questo ne ha certamente migliorato la tollerabilità, ma ne ha contemporaneamente ridotto l'efficacia. Si deve anche precisare che la sicurezza non dipende unicamente dal potere contraccettivo. A dosaggi inferiori di estrogeni l'inibizione dell'ovulazione non è più totale: già negli anni Sessanta è stato dimostrato che si aveva un'ovulazione nel 7% dei cicli; successivamente diversi autori hanno riportato percentuali notevolmente superiori, e comunque anche ditte farmaceutiche danno per scontato che pure in caso di assunzione regolare della pillola vi è un'ovulazione nel 6% dei casi.

D. Se, nonostante la pillola, vi sono ovulazioni, vi può essere il concepimento?

R. Certamente. Premesso che, secondo diversi autori, la pillola modificherebbe anche il muco cervicale, creando una barriera naturale alla penetrazione degli spermatozoi - e pure in questo caso si tratterebbe di attività contraccettiva - ,vi sono altri fattori che impediscono all'uovo eventualmente fecondato di annidarsi nella mucosa uterina. Il primo fattore è quello tubarico: la pillola modificherebbe il transito tubarico dell'uovo fecondato, che così giungerebbe con troppo ritardo nell'utero, e non sarebbe più capace di annidarsi e di svilupparsi. L'altro fattore è costituito dalle trasformazioni della mucosa uterina, sempre dovute alla pillola, che la renderebbero poco atta all'impianto dell'uovo fecondato. Nei casi in cui l'azione della pillola si esplica con questi due ultimi fattori, non la si può più considerare soltanto come un contraccettivo in quanto agisce provocando un aborto precoce. Proprio questa proprietà abortiva precoce può spiegare come mai il numero delle gravidanze indesiderate sia inferiore a quello che ci si dovrebbe attendere tenendo conto dell'incompleta inibizione dell'ovulazione.Quindi molti autori parlano di molteplici effetti della pillola, e ditte farmaceutiche considerano il fattore tubarico e la modificazione della mucosa uterina come un ulteriore fattore di sicurezza.

D. Non è possibile trovare un dosaggio di ormoni che possa conciliare sicurezza e tollerabilità?

R. Il problema è molto complesso. La sicurezza di un metodo contraccettivo viene normalmente espressa con il cosiddetto indice di Pearl, cioè con il numero di gravidanze indesiderate che si verificano in un anno su cento donne che utilizzano tale metodo. Si deve però distinguere la sicurezza del metodo dalla sicurezza d'uso. La sicurezza del metodo, quella che viene consuetamente pubblicizzata, è un valore teorico, ottenibile in condizioni ideali, ma che non tiene conto di tutta una serie di fattori e di errori, tanto frequenti da non poter essere considerati come eccezioni: per esempio, una ditta farmaceutica sostiene che tali errori - e quindi le gravidanze indesiderate - sono più frequenti fra le donne appartenenti a ceti inferiori, per cui già il ceto sociale può influenzare l'efficacia della contraccezione ormonale. Si deve poi tener conto del fatto che la concentrazione nel sangue di un preparato dipende non soltanto dalla dose, ma anche dalla regolarità dell'assunzione, dall'assorbimento più o meno completo, dalla velocità di metabolizzazione e di eliminazione. Tutti questi fattori presentano già una variabilità individuale e possono essere ulteriormente influenzati da numerose circostanze: disturbi gastrointestinali possono diminuire l'assorbimento; lo stesso vale se si usano lassativi. Inoltre, numerosi medicinali - come antibiotici e barbiturici - aumentano la metabolizzazione degli estrogeni , ma anche un abuso di alcool, di caffè oppure di nicotina diminuisce l'efficacia contraccettiva. Nelle pillole della nuova generazione il dosaggio degli estrogeni è talmente basso, il margine di sicurezza così esiguo che oscillazioni anche relativamente modeste della concentrazione del preparato possono comprometterne l'efficacia. Nelle normali condizioni d'uso la sicurezza della pillola, soprattutto per i preparati a basso dosaggio della nuova generazione, è molto inferiore ai valori puramente teorici di consueto forniti dalle ditte produttrici e su cui viene costruito il mito di una contraccezione sicura.

D. Questo significa che il numero di gravidanze indesiderate è superiore a quello che ci si dovrebbe attendere in base all'indice di Pearl così come è indicato dalle ditte farmaceutiche?

R. Esattamente. Il numero di gravidanze indesiderate in donne che fanno uso della pillola è in continuo aumento. Ci troviamo di fronte a due interessi inconciliabili: tollerabilità e sicurezza. Per contenere gli effetti collaterali e i danni alla salute entro limiti tollerabili è necessario ridurre il dosaggio degli ormoni a scapito della sicurezza, con un crescente numero di gravidanze indesiderate. L'uso sempre più diffuso della pillola, con l'illusione di "andare sul sicuro", alimentata dal mito della sua sicurezza, incoraggia la promiscuità sessuale ed è responsabile di un numero crescente di gravidanze indesiderate. Questo fatto minaccia di incrinare il mito della pillola e di mettere in discussione programmi di pianificazione con contraccettivi orali proprio in un periodo in cui si nota un risveglio di interesse per i metodi naturali e una maggiore sensibilità nei confronti dell'aborto. Il RU 486 si inscrive nella logica della pillola: una gravidanza indesiderata è un incidente, se la pillola fallisce si rimedia in qualche modo e una nuova pillola salva il mito della pillola.

D. Un'ultima domanda: in molti paesi la strategia di prevenzione dell'AIDS punta esclusivamente sulla diffusione di profilattici. Cosa ne pensa?

R. Prescindendo dagli aspetti morali della questione, mi sembra che anche in questo caso si cerchi di creare il mito della sicurezza. Ed è tanto più sorprendente se si tiene conto del fatto che, quando i profilattici vengono messi a confronto con altri contraccettivi, vengono considerati un metodo non molto sicuro, con un indice di Pearl relativamente alto. Non è chiaro perché almeno una parte dei fattori che limitano l'effetto contraccettivo dei profilattici non ne comprometta la protezione contro il virus dell'AIDS.

a cura di
Ermanno Pavesi

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