La Guardia di Frontiera - Molti anni fa, durante i miei giorni all' universitá, ero un membro dell' A.I.E.S.E.C., ossia L' Association Internationale des Etudiantes en Sciences Economique et Commerciales, un'organizazione internazionale di studenti universitarii formata per offrire ai membri l'opportunitá di lavorare all'estero. Potei usufluire di ques'opportunitá e scelsi Pirelli Spa. a Milano, Italia, come posto di lavoro, cio'che, incidentemente, mi avrebbe consentito di visitare i nonni in Sicilia. Ero molto orgoglioso quando ottenni il mio primo Passaporto statunitense. Lo estraevo e leggevo e rileggevo il contenuto, guardavo la mia fotografia, e le molte pagine vuote dove immaginavo vederli pieni di visa e timbri coll' entrate ed uscite di frontiera dei vari meravigliosi paesi del mondo. Nel passaporto c'era una pagina dove si poteva mettere l'indirizzo del soggiorno all'estero e che io immediatemente riempi' mettendo l'indirizzo dei miei nonni. Mentre a Milano, incontrai un rappresentate della Pirelli. Divenimmo amici, e un giorno mi propose di venire con lui ed alcuni suoi amici nel villino di famiglia nel Piemonte vicino a Monte Rosa. Mentr'eravamo laggiú, il gruppo decise di passare una giornata in Svizzera. Si guidava in quelle pericolose e strette strade con precipizii profondi che sovrastavano le immacolate piccole case di campagna svizzere e i piccoli villaggi tra i monti. Andammo anche attorno lo splendido Lago Maggiore. In Svizzera, il mio amico Piemontese, un fumatore abituale, non pote' resistere l'occasione di comprare parecchie cartoni di sigarette svizzere dei quali dichiarava di essere superiori a quelli prodotte in Italia sotto un monopolio di stato. Al ritorno, viaggiammo su strade secondarie per godere meglio il panorama svizzero e arrivammo alla frontiera secondaria Svizzera-Italia dove il confine era ancora marcato con barriere e dove era obligatorio fermarsi sia dalla parte svizzera sia quella italiana. All'entrata in Italia, la guardia comincio' a farci molte domande, nel modo brusco ed autoriatario di guardie di frontiera prevalente a quei tempi dovunque nel mondo, sul motivo della nostra visita in Svizzera. Immancabilmente, la guardia chiese che il mio amico aprisse il bagagliaio per ispezionarlo e com'era prevedibile, le sigarette furono scoperte. La guardia comincio' a scrivere un verbale mentre continuava a fare delle domande e a farci capire che il contrabando era una cosa molto seria. Dopo, intraprese a confiscare le sigarette. Io domandai all guardia se un cittadino statunitense entrando in Italia avrebbe potuto portare con se un paio di cartoni di sigarette senza pagare il dazio. Mi rispose domandandomi a suo turno di mostrargli il mio passaporto. Glielo porsi e comincio' ad esaminarlo attentamente con un'espressione severa nella faccia. Tutt'ad un tratto la sua espressione cambio'. Punto' il dito nell'indirizzo straniero ch'io avevo scritto nel passaporto prima di lasciare gli Stati Uniti e mi disse che veniva da una cittadina vicino a quella dei miei nonni dove la sua famiglia abitava e dove la sua fidanzata l'aspettava. "Certamente che non c'erano dei problemi! E che volevo dire che ero americano, dopo tutto eravamo paesani!" Immediatamente rimise tutto nel portabagagli continuando a parlare del suo paese e quanto gli rincresceva non vivere la'. Non vedeva l'ora di acquistare abbastanza anzianita' per potersi sposare e ritornare in Sicilia. Non fu che molti anni dopo, pensando a quell'incidente che percepi' la triste ed isolata esistenza che viveva quella guardia; lontano dai suoi, in una zona d'Italia che gli era stata fatta aliena ad esso come i piu' lontani paesi stranieri.
La Stazione Ferroviaria - Il giorno dopo Capodanno, non molti anni fa, mi trovai alla stazione di Margellina presso Napoli. Avevo molto tempo da trascorrere e cominciai a passeggiare nella stazione. Improvvisatamente, senti' il forte, penetrante squillo del campanello della stazione che annunciava l'arrivo di un treno. Era un treno molto lungo, composto principalmente di vagoni di seconda classe. Tipico dei posti di seconda classe su treni italiani, le vetture erano piene di persone, molte in piedi su i corridoi, altri affacciati dai finestrini aperti. Dal modo di vestirsi era ovvio che erano operai. Dalle piccole targhette gialle affissate nei vagoni che indicavano "Passo del Brennero" fu facile indovinare che la destinazione era la Germania. Essendo l'ora del pranzo, alcuni cominciarono a scendere dal portabagagli le loro vecchie valigie estraendo enormi pezzi di pane, salame, e formaggio, fette dei quali vennero generosamente distribuite fra i passeggeri come ugualmente venne distibuito il vino casalingo dei loro paesi. Un venditore ambulante sulla piattaforma gridava la sua tavola calda, ma pochi venivano a comprare. Nella piattaforma c'erano famiglie che circondavano il padre o sposo per dargli l'addio. Qualche donna o bambino piangeva, ma la maggior parte guardavano impassibili avendo gia' vissuto queste occasioni parecchie volte. Queste persone erano operai saltuarii, lavoratori che l'Italia fornisce agli altri paesi europei. Lasciano i loro paesi natii ed una situazione impossibile e disperata per mancanza di lavoro per vivere una triste e monotona vita lontano dalle loro famiglie ed amici, nelle grandi citta' della Germania, Svizzera, e Francia. A differenza della loro immeritata reputazione, lavarono duramente in quelle citta' e si privano di molti conforti sognando i giorni quando avrebbero risparmiato abbastanza capitale per ritornare ai loro paesi e forse poter permettersi di comprare un "pezzo di terra" che possono chiamare proprio. Certo loro non capiscono che quel terreno che compreranno ha una produttivita' marginale e non condice a un profitto nell'economia europea odierna. Questo fatto pero' non ha nessuna importanza per loro perche' questo e' stato sempre il loro sogno. La scena si ripete' molte volte quel giorno. Lasciai la stazione mesto ma anche nello stesso tempo adirato. Mesto per la dificile condizione di questa gente; sanno che sono accettati in quei paesi con riluttanza e solamente per necessita' economica. Triste perche' il loro duro lavoro contribuisce alla ricchezza di quei paesi mentre rappresenta un maggior salasso per l'Italia che si priva di questa manodopera industriale molto apprezzata in tutto il mondo tranne forse dalla stessa Italia. In collera perche so che nonstante la discriminazione ed il disprezzo che li confrontano si troverebbero in peggiori circostanze nelle citta' dell'Italia del Nord e forse anche nei loro paesi - cioe' nell'Italia stessa!!! Adirato perche' sebbene contribuiscono al reddito nazionale, il governo italiano li fornisce poca assistenza e sostegno sia in Italia sia all'estero. Si potrebbe evitare questa piaga e vergogna? Certo! Se gl'italiani stessi abbandonassero il loro provincialismo e credessero profondamente che l'Italia, L'Italia! e' una potente nazione economica come d'altronte gl'italiani professano, e come cittadini di questa potenza economica, avrebbero il volere, l'obligo, e l'impegno di risolvere la disparita' economica tra il Nord e il Sud creando una potente nazione rispettata in tutto il mondo.
La Cartina
della Sicilia - Di costume, dopo un incarico in paesi stranieri, un permesso
di soggiorno negli Stati Uniti viene concesso agl'impiegati e la loro famiglia
per riabituarsi a vivere negli Stati Uniti e allo stesso tempo accudire ai vari
affari che si accumulano duriante la lunga assenza oltremare. In quel tempo,
la mia residenza ufficiale era nello stato delle Hawaii. Dato che la mia famiglia
e quella di mia moglie risiedono nella California, passammo una porzione del
soggiorno in quello stato e non mi preoccupai di notificare qualcuno del mio
arrivo nelle Hawaii. Dopo aver visitato il mio ufficio, decisi di visitare la
nostra sede principale. Entrai nell'ufficio del Direttore e lo trovai immerso
a studiare una grande carta geografica della Sicilia distesa sopra la sua scrivania.
Certe citta' della mappa erano stati messi in rilievo con un "marker"
giallo. Gli domandai, scherzando, se stava progettando una seconda invasione
della Sicilia. Mi diede una strana risposta, dicendomi che si era accorto che
i cognomi di molti siciliani erano basati ai nomi delle citta' siciliane e volle
sapere dove stava la citta' col mio nome. Gli risposi che non tutti i cognomi
siciliani provenivano dalle citta' ed in ogni modo, gente di altre nazioni avevano
il cognome basato su nomi di citta'. Quest'esperienza mi lascio' un po' perplesso
dato che le sue azioni non coincidevano, neanche vagamente, con le sue manzioni
ufficiali e neppure quelle del suo uffiicio.Che cosa faceva quest'alto funzionario
del governo, e nietemeno nelle ore di lavoro, a perlustrare laboriosamente e
marcare questa carta geografica? Che cosa cercava di realizare? Qual'era il
suo motivo? Lascio al lettore di arrivare ad una propria conclusione su quei
fatti.
La mia città natale – Son nato in una città di medie dimensioni di circa 45 000 abitanti, Ionia, Sicilia. La città, per essere una città siciliana, è abbastanza movimentata grazie alle attività commerciali. Dovunque tu vada puoi trovare negozietti, boutique, negozi tipici e di manufatti, autofficine, istituti culturali abbastanza ampi, pescherie locali e magazzini all'ingrosso pel travaso e la spedizione del vino e d'altri prodotti agricoli della campagna circostante. Il centro vanta un piccolo porto che, prima dell'avvento delle autostrade, era utilizzato per inviare vascelli verso altre zone d'Italia e d'Europa; un'accademia marina mercantile, una stazione ferroviaria sulla linea principale verso Nord; ed un'uscita dell'autostrada per la costa orientale della Sicilia… No, non seccatevi cercando questa città sulla mappa: non la troverete! Davvero, neppure sulla più dettagliata o ampia mappa dell'area. Non la troverete in nessuna enciclopedia che cataloghi città della sua statura, neppure in quelle italiane. Non la troverete neppure sull'Interrete. Eppure il mio certificato di nascita indica senz'ombra di dubbio Ionia, Italia, come luogo di nascita. Dov'è questa città? C'è ancora; solo è divisa in due comuni separati. Ionia fu costituita negli anni 30 quando il governo fascista tentò di unificare i comuni minori con città che li fiancheggiavano in modo tale da essere indistinguibili in città più grandi; riorganizzare l'amministrazione locale per renderla più efficiente; ridurre la burocrazia; e presentare un'immagine dell'Italia che potesse mostrare le città italiane con una popolazione ed una vitalità maggiori. L'idea fu un gran parlare. L'esecuzione del progetto, com'era tipico del regime fascista, nollo fu. Nessun tentativo fu attuato per consultare la popolazione locale ed ottenere il loro consenso che avrebbe assicurato stabilità a questi cambiamenti. Per essere onesti verso gli organizzatori, data la mentalità degli abitanti, ottenere il loto consenso sarebbe stato forse impossibile. Fatto sta che colla caduta del Fascismo si iniziarono a sentir lamentele più o meno fondate: dato che il municipio era più vicino al centro d'uno dei due comuni rispetto all'altro (per nientemeno che 1/4 di miglio)… la cittadinanza non era rappresentata in maniera giusta ed equa (i politici adoravano questa situazione dato che la scissione avrebbe voluto dire due sindaci, due collegi d'assessori, due capi della Polizia Comunale)… Gli interessi della gente dei due comuni differivano e quindi una politica locale che vi fosse stata installata non avrebbe potuto essere paritaria con tutti. Il brontolio continuò fino a quando si prese la decisione di riportare i due comuni alla suddivisione politica originaria. Questo fu fatto senza considerare, o persino disinteressandosi del fatto che Ionia avrebbe perso la sua importanza politica ed economica e che l'influenza ch'essa aveva nel suo correlarsi con, od ottenendo risorse dal governo regionale e provinciale. Ciò è senz'altro sconfortante! Come possono gli Italiani aspirare alla tanto necessaria unità se non sono neanche in grado di unire amministrativamente due comuni i cui centri abitati sono fisicamente uniti, i cui cittadini si sposano costantemente tra loro e che condividono, per la maggior parte, interessi economici coincidenti?
La tavola–calda - Qualche anno fa ero ad una conferenza a Francoforte, Germania, con un gruppo di colleghi da varie parti d'Europa. Facemmo una pausa per pranzo ed il nostro ospite tedesco ci propose d'andare in un piccolo mini–mercato d'una coppia turca presso il quale si serviva una specialità del loro paese (porzione d'agnello e carne da pascolo arrostita lentamente su d'uno spiedo verticale e tagliato in fettine). Entrammo ed andammo alla cassa per dare le nostre ordinazioni prima di sederci. Era un localino. Oltre ad offrire una tavola–calda, il locale proponeva una serie di cibi diversi da varie parti d'Europa e del Medio Oriente. Mentre stavamo aspettando per ordinare, più conversazioni esplosero disordinatamente nelle varie lingue dei presenti che comprendevo e parlavo con diversi gradi di padronanza. La mia attenzione fu distolta dall'entrata nel negozio d'una giovane donna e della sua bimba, che sembrava essere una ragazzetta di sei o sette anni. Entrambe erano pulite, ma poveramente abbigliate. Dal litigio che stavano avendo, tipico d'una madre e d'una figlia di quell'età, mi fu chiaro che parlavano un dialetto dell'Italia meridionale. La madre si mosse verso la cassa ed ordinò degli alimentari, mentre la figlia era attirata da una vetrina di pacchetti di caramelle italiane. La bimba s'avvicinò alla madre e le chiese se poteva comprare le caramelle. La madre le rispose ch'erano troppo care e che non potevano permettersi di spendere soldi in quelle. Con uno sguardo di disapprovazione la ragazzina tornò a fissare la vetrina delle caramelle. Mentre stavo osservando questa scena la mia mente si sprofondò nei ragionamenti. Ragionamenti sull'Italia e gli Italiani; mi domandavo che vita doveva essere quella di questa donna e della sua famiglia; il motivo per cui queste persone abbandonavano la loro terra natale per un paese così straniero per loro; l'emigrazione della mia famiglia verso l'America. Stavo ancora ascoltando il parlottio dei miei colleghi, ma era come se fossero molto distanti. Mi venne l'idea d'acquistare un pacchetto di quelle caramelle per quella bimba… un gesto che, per me, sarebbe stato insignificante per il prezzo. Eppure esitai. Non mi potevo decidere a far ciò. Stavo la come in trance. All'improvviso sentii una mano sulla spalla. Mi girai e vidi un collega che mi stava dicendo qualcosa ed anche se avevo capito ch'era il mio turno a dare l'ordinazione, non potei subito capire in che lingua me lo stava dicendo. Forse ero stato colpito dalle così tante lingue parlate contemporaneamente in quel negozio che la mia mente era satura e sovraccarica. Forse la scena di madre e figlia m'aveva colpito più di quanto ritenessi possibile. I miei colleghi italiani, sia del nord sia del sud, non sembravano essersi accorti di quel ch'avevo osservato. Forse c'è una semplice spiegazione per il peso c'ho dato a quest'esperienza. Una cosa è certa, comunque: quando penso a quel giorno mi pento di non aver comprato a quella ragazzina quel pacchetto di caramelle che avrebbe potuto portare un po' di gioia in quella che dev'essere stata per lei una triste esistenza.
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