INTERVISTA A SISTO TURRA

Sisto Turra ha imparato a nascondere il dolore. Anche quello causato dal ricordo di quei giorni di fine estate del 1995.
Il messaggio lasciato sulla segreteria telefonica da un maresciallo della Questura di Padova, che annuncia la morte di suo figlio Giacomo, di 24 anni,  nella splendida città coloniale di Cartagena de Indias. La conferma del funzionario del Ministero degli Esteri, che parla di overdose. Il viaggio da Parigi a Bogotà per recuperare il cadavere di Giacomo, con il pianto incontenibile a diecimila metri, durante la lunga traversata dell'Atlantico. L'incontro all'obitorio con i suoi resti appoggiati sul marmo. Un corpo che sembra passato in un frullatore.  Sisto, che aveva regalato quella vacanza al figlio, laureando in antropologia e appassionato di civiltà precolombiane, non riesce a riconoscerlo. L'addetto dell'ambasciata italiana in Colombia quasi si arrabbia: il professor Turra, con cattedra di Ortopedia all'università di Padova, "deve sapere accettare la verità". E allora Sisto esplode contro "la verità ufficiale": quello non è il cadavere di un tossico fulminato da una dose micidiale, ma di un ragazzo massacrato di botte.
Basta poco per capire cosa sia successo.
Due notti prima Giacomo è stato pestato da alcuni rapinatori e poi da una pattuglia di poliziotti, loro soci in ruberie. Un massacro iniziato sulla soglia del ristorante cinese di Bocagrande, Mee Wah, e proseguito nel vicino commissariato con una furia gratuita e insieme normale in un paese in cui gli uomini in uniforme godono per legge della licenza di uccidere.
Chi gli racconta i particolari  dell'assassinio lo invita a rassegnarsi e a caricare subito la bara sul primo aereo per l'Italia. E' il fatalismo di chi si è abituato a subire. Nonostante i diritti umani vengano violati come accade al mondo soltanto in Burundi, Ruanda e Zaire, in Colombia non c'è un solo militare in galera per avere torturato, sequestrato o ucciso. La ragione è molto semplice: qualunque delitto commetta, un ufficiale, un soldato o un poliziotto risponde sempre e soltanto alla giustizia militare, che garantisce l'assoluta impunità.
Sui giornali locali le cosidette autorità liquidano "el caso Turra" con comodi e offensivi luoghi comuni: "la maggioranza dei turisti stranieri viene a Cartagena per riempirsi di cocaina e marijuana,  che li trasformano in esseri paranoici e violenti". Per la polizia, Giacomo si sarebbe fracassato da solo braccia, bacino, femore, costole, avventandosi, sotto effetto della cocaina, contro un palo della luce.
Ma Giacomo non si drogava. Era un ragazzo limpido e rigoroso. Quasi un moralista. Nonostante la prima autopsia non riscontri nessuna traccia di stupefacente, il ritornello insultante sull'italiano drogato continua, secondo una consuetudine del cortile di casa degli Stati Uniti.. Con la scusa della droga o della guerra alla droga, da un decennio in America Latina si compiono e si coprono le peggiori nefandezze, dall'invasione dei marines di Panama con 4mila vittime, ai massacri delle minoranze etniche e degli oppositori politici fino, appunto, agli omicidi di gente comune come Giacomo.
Per Sisto è troppo. Non potrà ridare la vita a suo figlio, ma otterrà giustizia. A qualunque costo. A sostenerlo sono la moglie Simonetta, la figlia Giuditta, la fidanzata di Giacomo e i suoi amici del centro sociale "Pedro", che per non dimenticarlo, disegnano all'ingresso della casina occupata un grande murale con il loro amico morto, avvolto nella bandiera colombiana, e con la scritta "Giacomo nel cuore".
Sisto riesce a spostare montagne. Commuove e convince  anche i più apatici tra deputati, diplomatici, giornalisti e intellettuali. In Italia, nel Parlamento europeo e in Colombia. Sul "caso Turra" indaga la scuola di giornalismo del Nobel Gabriel Garcia Marquez. E scrivono quasi ogni giorno i giornali colombiani, sorpresi per i problemi creati da un morto solo, visto che nel loro paese i trentamila omicidi all'anno vengono considerati soltanto un fastidioso dato statistico.
Il governo Prodi congela la firma di un accordo di cooperazione giudiziaria. fino a quando non verranno condannati gli assassini di Giacomo. Per tentare di normalizzare i rapporti diplomatici con l'Italia, a metà luglio, è arrivato a Roma il ministro degli esteri colombiano, Maria Emma Mejia, che oltre a Prodi e il suo collega  Dini, ha voluto incontrare Sisto Turra. Per rassicurarlo che giustizia sarà fatta, ma anche per ripetergli la favola della "giustizia indipendente" in uno stato diritto.
Un miracolo comunque è già accaduto. I cinque poliziotti che ammazzarono Giacomo, sono agli arresti domiciliari, inchiodati anche dalla testimonianza di un ragazzo, Julio Cesar Londoño,  che quella notte del 3 settembre 1995 vide il massacro. Dopo essere stato punito per il suo coraggio civile con un pestaggio pistola alla tempia, Julio Cesar si è rifugiato in Italia. In Colombia la sua vita non vale più niente.
Le manovre dei giudici militari per liberare gli assassini e insabbiare l'inchiesta sono fortissime. Aspettano soltanto che Sisto si stanchi.
Ma il papà di Giacomo non dà affatto la sensazione di mollare.
"Tante volte sono stato sul punto di rassegnarmi e lasciar perdere. Sono andato avanti solo per ribellarmi all'arroganza  del potere e alla rassegnazione della gente" dice parlando del progetto di una Fondazione dedicata a suo figlio, che promuova il rispetto dei diritti umani nei paesi latinoamericani e faccia conoscere i valori che aveva Giacomo. E, con questi,  le sue poesie di lotta, rabbia e dolcezza.  Una loro parziale raccolta è stata pubblicata dalla Marsilio con il titolo "Il mio viaggio" (pag.196, 35mila lire). E' un diario in versi, bellissimo, commovente e straordinariamente premonitore. "Forse un giorno ci rivedremo / non so, / forse la vita è un gioco /  e deve durare poco" scrive Giacomo che invoca, in But I still..., : "GIUSTIZIA / e lo chiedo con tutto il mio cuore / di povero zero assoluto".
Sono versi che vincolano per sempre Sisto. Nonostante la tragedia che gli è franata addosso, la sua faccia rimane simpatica e gioviale. Viene da fare gli auguri a questo ragazzo di 58 anni. Le battaglie "inutili" come le sue servono a cambiare il mondo. E, soprattutto, dimostrano che è possibile farlo senza aspettare il Messia o il Partito.

3)Pochi giorni fa il Senato Accademico dell'università di Padova ha votato all'unanimità di dedicare un'aula a Giacomo Turra, il ragazzo ucciso due anni fa in Colombia, dov'era andato per completare la tesi in antropologia.
Un riconoscimento importante per Giacomo e una grande spinta per suo padre Sisto, docente di Ortopedia nel Policlinico di Padova, a continuare la sua coraggiosa battaglia per ottenere giustizia per quell'omicidio. L'incubo di Sisto ebbe inizio il 4 settembre 1995, quando venne informato da  un funzionario della Questura che suo figlio era morto per overdose nella splendida città caraibica di Cartagena de Indias. Una notizia tremenda e incredibile, visto che Giacomo era contrario persino agli spinelli. Quando Sisto vide sul marmo dell'obitorio di Cartagena i resti di suo figlio non ebbe dubbi.  Quello non era il cadavere di un ragazzo ucciso dalla droga, come sosteneva il comando locale di polizia, ma un corpo distrutto dalla furia omicida di un gruppo di uomini, che si rivelarono subito essere dei militari. Una barbarie  gratuita e insieme normale in un paese in cui gli uomini in uniforme hanno per legge licenza di uccidere.
Il dolore di padre si trasformò subito in sdegno e determinazione. Sisto non avrebbe più potuto ridare la vita a Giacomo, ma avrebbe ottenuto a qualunque costo giustizia. Sembrava un'impresa impossibile. Nonostante in  Colombia i diritti umani vengano violati sistematicamente, nel paese di Macondo non c'è un solo militare in galera per reati di lesa umanità, come tortura, sequestro di persona o omicidio.
Ma in questi anni, Sisto è riuscito a spostare montagne. Insieme agli amici di Giacomo, ha commosso e convinto ministri, deputati, diplomatici, giornalisti e intellettuali. In Italia, al Parlamento europeo e in Colombia. Sul "caso Turra" ha indagato la scuola di giornalismo del Nobel Gabriel Garcia Marquez e sta scrivendo un libro un altro famoso saggista colombiano, German Castro Caycedo. Il governo Prodi ha congelato la firma di accordi di cooperazione giudiziaria, fino a quando non verranno condannati gli assassini di Giacomo.
Per ora -fatto più unico che raro in Colombia- i cinque poliziotti di Cartagena, che picchiarono a morte Giacomo, sono agli arresti domiciliari, ma le manovre della compiacente giustizia militare per liberarli e insabbiare l'inchiesta sono fortissime.
"Tante volte sono stato sul punto di rassegnarmi e lasciar perdere. Ma l'arroganza degli assassini di Giacomo, dei loro superiori e di molte autorità colombiane è stata così sfrontata da convincermi ad andare avanti" dice Sisto che sta organizzando una Fondazione dedicata a Giacomo, che promuova il rispetto dei diritti umani nei paesi latinoamericani e faccia conoscere le sue poesie, una cui selezione è stata pubblicata dalla Marsilio sotto il titolo "Il mio viaggio" (pag.196, 35mila lire). E' un diario in versi di una straordinaria sensibilità accompagnata da un'autoironia che è prerogativa di ogni autentico poeta e  da una preveggenza che sconvolge. "Forse un giorno ci rivedremo / non so, / forse la vita è un gioco /  e deve durare poco" scrive Giacomo che, come se conoscesse già il suo destino, invoca "GIUSTIZIA / e lo chiedo con tutto il mio cuore / di povero zero assoluto".  Questa consapevolezza tragica non impedisce al libro di essere pervaso dall'amore anche per la terra, dove verrà ammazzato come un cane. In una delle sue ultime posie, Turra scrive: "Arrivo a Cartagena e inizia la pace... / Come giovane e bella sei tu America Latina!/ La tua ingenuità ti rende vulnerabile ma tu hai cuore e uno spirito/  Il ritmo della tua naturalezza sopisce ogni pensiero malvagio, il tuo splendore offusca tutti gli errori. Sì, tu sei parte della terra, una parte che rivendica".
Tra Italia e Colombia è ormai guerra fredda. Mentre il governo Prodi  sembra deciso a chiedere alla Comunità Economica Europea l'imposizione di severi sanzioni economiche, nei giorni scorsi le commissioni estere del Senato e della Camera colombiane hanno approvato all'unanimità un durissimo documento di rifiuto di presunte "ingerenze affari interni" e di censura dell'operato del  coraggioso ambasciatore italiano a Bogotà, il napoletano Francesco Capece Galeota. Iniziative che potrebbero portare i governi di Roma e Bogotà ad un clamoroso congelamento delle relazioni diplomatiche.
Stavolta, a mettere sotto accusa lo stato sudamericano non è la sua storica connivenza col fenomeno del narcotraffico, ma le sue reiterate violazioni dei diritti umani. Il "casus belli" è l'omicidio dello studente padovano Giacomo Turra, avvenuto ad opera di un gruppo di poliziotti, nella notte del 3 settembre 1995, davanti ad un ristorante cinese della zona residenziale di Bocagrande della città caraibica  di Cartagena,.
Allora, alla sua famiglia e ai giornalisti le autorità di polizia dissero che il giovane turista era morto per "overdose". Poi, visto che l'autopsia aveva attribuito il suo decesso ad una devastante emorragia, causata da contusioni e traumi, le stesse autorità sostennero che il giovane se la sarebbe procurata da solo, avventandosi con una furia autolesionista contro le pareti e le colonne del ristorante.
Di fronte all'ostinata ricerca della verità dei familiari e degli amici di Giacomo, spalleggiati dal nostro ministero degli Esteri e dall'ambasciata italiana, è iniziato l'estenuante calvario di inchieste e contro-inchieste, richieste di archiviazione, tentativi di insabbiamento e minacce di morte, che hanno  intimidito molti testi e hanno costretto uno di loro,  Julio Cesar Londoño, l'amministratore dell'hotel dove era ospitato il giovane, a rifugiarsi in Italia per salvare la propria vita.
Un rituale ben conosciuto in Colombia, paese che  assicura ai suoi militari, soldati e poliziotti, una vera e propria "licenza di uccidere". Il meccanismo è molto semplice: qualunque delitto commettano, vengono sempre e comunque giudicati da un tribunale militare, che garantisce la più assoluta impunità. Nel paese che le Nazioni Unite pongono al terzo paese nella classifica delle violazioni dei diritti umani, dopo il Burundi e il Papua Nuova Guinea,  nessun militare va o rimane in galera per delitti come omicidio, tortura o sparizione di persona. La cosidetta "giustizia militare" è un pilastro dello stato colombiano. Persino l'avanzatissima Costituzione, promulgata nel 1991, non ha minimamente intaccato i privilegi delle Forze Armate, potere reale in Colombia e nella maggioranza dei paesi latino-americani.



 
 
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